31 maggio 2011

Teaser Tuesdays [9]

Eccoci al nostro consueto appuntamento del martedì con la rubrica del Tueaser Tuesday.
Scegliere i libri per questa iniziativa è per me sempre fonte di molte riflessioni in quanto vorrei che i libri riuscissero a trasmettere qualcosa anche nella brevità del contenuto che viene mostrato, un teaser non permette certo una digressione completa, è poco più di un trafiletto e, come sapete, io e i riassunti e le sintesi non andiamo proprio d'amore e d'accordo.

Comunque per una volta ho fatto uno strappo alla regola e ho deciso di inserire un teaser dal libro che sto leggendo: Il bacio maledetto, che potrebbe essere considerata la versione per adulti di Angel's Friends, il cartone animato che spopola su Italia1.
La storia narra della liceale Frannie che si ritrova improvvisamente coinvolta in un singolare gruppo di personaggi tra cui spiccano l'enigmatico e pericoloso Luc Cain, l'affascinate e dolcissimo Gabe, la sua migliore amica mezza suonata Taylor e la sua famiglia cattolica con sei figli e un passato doloroso alle spalle.

Benchè si tratti chiaramente di un prodotto young adult del genere che adesso va tanto di moda, non è niente male, certo non sarà la Divina Commedia, ma non si discosta neanche tanto dal tema, se proprio vogliamo =)

Ecco il teaser di oggi, quindi

Scheda tecnica
Titolo: Il bacio maledetto
Titolo originale: Personal Demons
Autore: Lisa Desrochers
Editore: Newton CmptonPagina della citazione: 44
Scheda aNobii


Salto a bordo, giro la chiave e il motore prende vita rombando. La radio suona a tutto volume Sympathy for the Devil dei Rolling Stones e io alzo ancora. «Troppo bello». Mentre afferro il volante sorrido così tanto che mi fanno male le guance.
Gli occhi blu del nonno mi invitano a partire.
Sistemo il sedile e gli specchietti, ingrano la prima e pian piano esco dal parcheggio. Raggiunta la strada principale, lontani dalla folla, il nonno mi incita: «Dalle un po' di gas. Vediamo cosa sa fare».
Schiaccio il pedale dell'acceleratore e in un attimo arrivo alla quinta, col vento fra i capelli e il sole tiepido del mattino sulla pelle. «Va come un treno!» urlo cercando di sovrastare il motore, la radio e il vento.
Lo guardo un attimo e non mi sfugge la sua espressione d'orgoglio. «Hai fatto un ottimo lavoro».
«Nonno?»
«Sì?»
«Se il Diavolo avesse una macchina, che macchina sarebbe?».
La malizia nei suoi occhi è inequivocabile. «Una Shelby Cobra nera GT 500»
Faccio un salto. «Di che anno?»
«'67»

Per quanto riguarda la sottoscritta, non ho la più pallida idea di come sia fatta una chiave dinamometrica e il mio rapporto con una macchina è il medesimo che ha Emma del libro Letto di rose della Roberts: il meccanico mi vede solo quando la macchina non parte più.
Sono la classica "donna al volante" che non capisce niente di motori, ma guidare mi piace molto, una volta che riesco a lasciare da parte l'ansia, ho sempre paura di fare dei danni per strada e la gente non riesce a rilassarsi mentre guida, ma diventa nervosa e irritabile facendo di riflesso agitare anche me. Le strade in rettilineo sono le mie preferite, mi piace la velocità e andare in macchina con qualcuno non mi spaventa, per quanto possa salire il tachimetro, dicono che i segni d'aria siano fatti così, ma io penso che sia un riflesso del fatto che ci sono cresciuta, in questo modo.
Il brano che ho scelto parla di una sensazione simile, il senso di potere che trasmette mandare una macchina a tutta potenza, una macchina seria, non un triciclo e il diavolo che guida è un passaggio che mi ha colpita moltissimo.

Detto ciò, apro una domandina che ci siamo fatti in ufficio due settimane fa:
Quale macchina vorresti guidare?
Sicuramente ce n'è una che ispira più delle altre, qual è?

A presto,
baci

Mauser

29 maggio 2011

La credenza «china closet»

Cari lettori,
anche oggi un tuffo nel passato attraverso gli oggetti e l'arredamento del passato.

Un china closet a vetrina
singola
L'oggetto di oggi è un particolare tipo di credenza molto in voga in epoca vittoriana. Veniva chiamata china closet cioè armadio cinese, sebbene questo mobile avesse ben poco a che spartire con la Cina di allora, ed era un componente dell'arredamento tipico borghese in quanto combinava in maniera raffinata sia la praticità di utilizzo che la grazia delle forme.

Il nome singolare è intrecciato proprio alla natura di espositore di questo mobile, in quanto in origine venne progettato proprio per esporre le cineserie e più in generale ninnoli e suppellettili di piccole dimensioni.
Solo successivamente, durante la seconda metà dell'Ottocento, si cominciò ad usare il china closet per contenere ed esporre i servizi di stoviglie oltre agli inutili soprammobili e alloggiapolvere che invadevano la casa vittoriana e divenne un mobile di dimensioni imponenti, a voltre privo delle antine e del vetro e con tutta la "mercanzia" in bella mostra sui suoi ripiani.

Armadio originale cinese
A differenza delle credenze cinesi, alla cui struttura si ispira, il china closet sostituì la carta di riso o il legno delle ante con il vetro. A differenza dell'Europa, il vetro in Cina era molto meno diffuso e raramente impiegato nella mobilia, dove erano preferiti altri materiali, basti vedere la classica struttura delle abitazioni tradizionali orientali, in legno leggero con pareti di carta di riso e stuie di giunchi intrecciati.
Il china closet era inoltre caratterizzato da una struttura tripartita con una sezione centrale e due laterali. La parte centrale poteva essere leggermente prominente, più grande rispetto alle altre due, e con vetrine a riquadri che permettessero di scorgere le stoviglie ordinatamente impilate all'interno, il china closet, infatti, era una credenza da soggiorno e a differenza del modello originario non serviva per la biancheria.
Le due parti laterali, gemelle, completavano l'opera. Nelle creazioni tardo vittoriane queste avevano una forma arrotondata, donando eleganza e raffinatezza, ma in origine la simmetria perfetta imponeva anche che si esprimesse attraverso linee diritte e pulite, quindi niente curve.

Una particolarità era che in tutte le sue varianti il china closet possedeva quattro gambe di legno filiformi di altezza ridotta: anche nei casi in cui il mobile era alto, l'intera struttura era data dai cassetti e dalle ante, non dalle zampe.

Particolare delle gambe di un china closet
Una credenza china closet
del Settecento finemente dipinta

 
La vetrina era sicuramente la specialità di questo mobile che lo rendeva molto apprezzato. L'innovazione di introdurre le stoviglie in sala da pranzo, anzichè tenerle in cucina, è evidentemente borghese, le case di questa categoria di persone, infatti, non sono maestose e imponenti come le dimore delle antiche famiglie nobili, ma grandi a sufficienza per avere una sala da pranzo e importanti quel tanto per ricevere ospiti a cena e invitati ai tea party del pomeriggio.
Ecco quindi che la vetrinetta diventa non solo mezzo artistico per esporre la bellezza dei servizi o l'ordine della casa, ma anche la ricchezza degli stessi.
Questa anta trasparente era più ampia di quelle a cui si era abituati per le credenze da cucina, una volta imponenti e massicce, e trasformava il china closet in un espositore del servizio buono, delle suppellettili e dei piatti d'argento di famiglia che si conservavano per le occasioni.
Una credenza come un'altra, ma dotata di vetri, era infatti il metodo migliore per far notare, senza sembrare un'ostentazione, il proprio denaro agli ospiti, piatti e bicchieri infatti vedevano la luce solo in occasione di eventi particolarmente mondani (cene di famiglia, cene con amici, ricorrenze), in quel modo, invece, la minima scusa per avere ospiti permetteva di far circolare la voce circa le proprie ricchezze e, allo stesso tempo, permetteva di costruire un bel bluff in quanto l'esposizione poteva essere limitata al servizio migliore o agli elementi integri, mentre sotto si sarebbero nascosti i piatti sbreccati, i bicchieri spaiati e il servizio senza piattini.

China closet in stile Chippendale
La magia del china closet è stata mantenuta anche nel Novecento, sebbene il ritorno alla mobilia di struttura massiccia tipica del periodo di Guerra abbia indotto una fusione tra la vecchia credenza di cucina e la vetrinetta da soggiorno, facendo nascere la credenza da soggiorno, il tipico arredo anni Sessanta delle case italiane, dove si conservava il servizio buono da sfruttare esclusivamente per ospiti illustri e cerimonie particolari (nascite, battesimi, festività).
Ancora molto diffuso negli Stati Uniti, è elemento imprescindibile dei soggiorni di quasi tutti i Paesi anglosassoni compresi nel Commonwealth, quindi anche in Australia, Inghilterra, Canada, ecc, dove hanno ereditato la tipica struttura dell'abitazione sviluppatasi nel regno di Vittoria.

Spero davvero che questo approfondimento sulla mobilia dell'epoca Georgiana e Vittoriana sia stato interessante nonostante l'argomento un po' di nicchia.

Spero di poter scrivere presto, anche se per la prossima settimana mi aspetta una trasferta piuttosto impegnativa e quindi non so quando riuscirò a postare a parte il Teaser Tuesday di martedì.

Io dico baci e a presto sperando che sia così ^_^
con affetto




Mauser

24 maggio 2011

Teaser Tuesdays [8]

Teaser Tuesday numero 8, anche se sono a casa con l'influenza riesco a postare in ritardo, sigh...

La scelta di questa settimana è caduta su uno dei miei libri preferiti, il titolo è La mia famiglia e altri animali di Gerald Durrell, che in età adulta diventerà un famoso zoologo e studioso del comportamento animale, ma che qui ci narra della sua infanzia trascorsa nella tranquilla isola di Curfù prima dell'inizio della guerra.

Personalmente adoro questo libro per molti motivi, innanzi tutto intervallati alle descrizioni naturalistiche e di animali ci sono rari ma splendidi momenti di ironia domestica di questa famiglia composta dalla madre, dai quattro figli e dai mille personaggi a comparsa che si insinuano tra le pagine.
Questo libro mi fu prestato, e poi regalato, da mia madre che in me vedeva pressappoco lo stesso bambino curioso della natura e del selvatico che fu Durrell e infatti riscoprii tratti di me nel suo modo di fare e di agire, di scoprire e di andare all'avventura, forse complice del clima mediterraneo molto simile che si riscopre tra Corfù e la mia Liguria.

Mi piace dire che ad iniziarmi alla lettura furono tre libri, Il giardino segreto definì il mio amore per la storia e per l'introspezione, essendo un libro ben più maturo e profondo di quel che la gente crede, il secondo fu proprio La mia famiglia e altri animali che invece fece fiorire la mia creatività tanto a lungo soffocata dalla reclusione in casa a causa della mia salute, infine l'ultimo fu Il mistero di Agnes-Cecilia un autentico mystery svedese che non solo mi inquietò da morire, ma lasciò in me l'impronta per amare a sufficienza i thriller moderni. A volte mi chiedo come facessero in passato senza una narrativa tanto stimolante, ma naturalmente la mia mente mi ricorda che solo i fortunati avevano a disposizione libri e forse io non sarei stata una di quelli.

Vi lascio con un passaggio tratto dal romanzo, spero che vi diverta, so che molti non l'apprezzano a dovere, occorre un discreto amore per la natura, per la semplicità della vita e per l'avventura infantile, ma a suo modo credo che sia un capolavoro.

PS: non so quanto la pagina sia "a caso" visto quanto il libro è consumato ;)

Scheda tecnica
Titolo: La mia famiglia e altri animali
Titolo originale: My family and other animals
Autore: Gerald Durrell
Editore: Adelphi
Pagina della citazione: 20
Scheda aNobii

Viaggiammo leggeri, perchè avevamo preso soltanto le cose che ci sembravano essenziali per vivere. Quando aprimmo il bagaglio per l'ispezione doganale, il contenuto delle nostre valigie denotava in modo abbastanza sintomatico il caratere e gli interessi di ciascuno. Infatti il bagaglio di Margo conteneva un'infinità di indumenti diafani, tre libri di diete dimagranti e uno sterminio di bottigliette piene di vari elisir garantiti per curare l'acne. La cassetta di Lesli custodiva due pullover a collo alto e un paio di calzoni in cu erano avvoltolati due rivoltelle, una pistola ad aria compressa, un libro intitolato L'armaiolo in casa e una grossa bottiglia d'olio che perdeva. Larry era accompagnato da due bauli di libri e da una ventiquattrore coi suoi vestiti. Il bagaglio di mamma era giudiziosamente spartito tra effetti personali e vari libri di cucina e guardinaggio. Io mi portai dietro soltanto quelle cose che ritenevo necessarie per alleviare la noia di un lungo viaggio: quattro libri di storia naturale, un acchiappafarfalle, un cane e un barattolo di marmellata pieno di bruchi tutti in pericolo imminente di trasformarsi in crisalidi.


Noi ci vediamo presto,

baci





Mauser

22 maggio 2011

Le classi sociali

Dopo tanto parlare della società, mi sono accorta che uno degli argomenti su cui fin'ora avevo continuamente girato intorno senza mai approfondire è quello delle classi sociali.
Al giorno d'oggi, specialmente in Italia dove non valgono più i titoli nobiliari di alcun tipo [La contessina Giada De Blanc non è davvero contessa! I Principi della Rovere non sono principi, ecc.] la classe sociale è dettata più dall'impiego che dalla stratificazione: contadini, commercianti, impiegati, liberi professionisti...

Una volta le cose erano molto diverse.
Nell'intricato panorama vittoriano o regency dovete pensare alle classi sociali come alle parenti più prossime delle caste indiane.
Peccato solo che in India le caste siano 4, ermetiche e intoccabili, radicate nell'immaginario e nella società dalla notte dei tempi, mentre nel 1814 in Inghilterra le classi sociali fossero sette.
Qualche riferimento ad uno dei numeri biblici per antonomasia che indica l'infinito? Boh...
Vediamone alcune nel dettaglio e approfondiamo un po' la cosa.


Prima classe
La Prima Classe, o Highest Order, era costituita innanzi tutto dai membri della famiglia reale, a seguire erano conteggiati i grandi Ufficiali di Stato e tutti i nobili al di sopra del titolo di baronetto con le loro famiglie.
Approssimativamente: da 578 a 2.880 persone
La Regina Vittoria con il consorte Alberto e tutta la sua numerosa famiglia (figli, nipoti, bisnipoti, generi, nuore, ecc).
La famiglia reale, chiamata First family era la più importante del Paese e ricopriva la punta di diamante della piramide sociale.

Seconda classe
Una classe alquanto generica che comprendeva baronetti, cavalieri e gentiluomini di campagna (per la definizione si veda il post relativo ai titoli nobiliari e all'ordine di precedenza). Erano inoltre inseriti in questa classe tutti coloro che possedevano rendite molto significative in quanto rappresentavano, nella loro persona, la ricchezza del Paese.
Approssimativamente: da 48.861 a 234.305 persone


Terza classe
Abbandoniamo la nobiltà e ci caliamo direttamente tra i privi di titolo.
Un barrister cioè un
avvocato di alto livello.
Apparteneva alla terza
classe
sociale insieme a
chi lavorava nel foro
.
Apparteneva alla terza classe il clero anglicano di alto livello, i titolari di impieghi importanti, personaggi di spicco del foro inglse, cioè in ambito legale, studiosi di rilievo, mercanti di grandi ricchezze, imprenditori su larga scala, banchieri e le famiglie di tutti questi.
Approssimativamente: da 12.200 a 61.000 persone


Quarta classe
Non siamo abituati a parlare di classi al di sotto della terza, in quanto ciò che per allora era riservato alla third class per noi rappresenta un servizio appena accettabile, abbiamo standard molto elevati. Comunque, tornando alla quarta classe, vi si contavano tutti gli esponenti del clero e gli impiegati dello Stato, il clero di altre confessioni religiose, coloro che erano introdotti nell'ambito legale, gli insegnanti di ordini superiore (quindi del liceo e dell'università), i proprietari terrieri, armatori, commercianti e costruttori di non grande guadagno, proprietari di botteghe di un certo livello, artisti, meccanici e tutti coloro che potevano contare su un reddito medio. Insomma: questa era la classe dell'alta borghesia.
Approssimativamente: da 233.650 a 1.268.650 persone


Quinta classe
Qui ci troviamo di fronte ai proprietari di classe inferiore, negozianti di second'ordine, osti, i dediti al pubblico e tutti coloro i quali erano impiegati in attività varie, non necessariamente continuative, e vivevano insieme alle famiglie con reddito moderato.
Approssimativamente: da 564.799 a 2.798.475 persone


Sesta classe
Gli osti facevano parte della quinta classe
Lavoratori manuali, artigiani di basso livello, agricoltori e contadini, in genere appartegono a questa classe tutti coloro i quali vivono del lavoro dato dalle loro braccia.
Approssimativamente: da 2.126.095 a 8.792.800 persone


Settima classe e inferiori
Era detta la classe dei miserabili ed era abbastanza popolosa.
Si contavano poveri, clochard, zingari, ladri, vagabondi e coloro che vivevano di furti, crimini e delinquenza.
Approssimativamente: da 387.100 a 1.826.170 persone


Le classi militari
Come oggi, anche all'epoca esistevano due classi per gli appartenenti perenni all'Esercito e alla Marina di Sua Maestà.

La Higher class era costituita da ufficiali e mezzi ufficiali con le loro famiglie.
Contava circa dalle 10.500 alle 69.000 persone

Horatio Nelson, ammiraglio della
Royal Navy, la sua classe era la prima
di quelle destinate ai militari.
Alla Second class appartenevano invece soldati e marinai semplici, impiegati dell'Esercito e della Marina, pensionanti e lvoratori dell'indotto.
Il loro numero variava da 120.000 a 862.000 persone.


Questa era la distinzione ufficiale fatta negli atti statali della classe di appartenenza di una persona.
In realtà le classi realmente considerate nella vita quotidiana erano cinque e non sette, e la loro distinzione era molto più semplice, basata sul reddito fine a se stesso.


Upper class
La classe d'elite, vi appartenevano solo pochi fortunati; questa classe era dotata di enormi privilegi dovuti non solo alla possibilità che il denaro o la posizione sociale permetteva loro di acquistare, ma sopratutto al dovere che lo stato riteneva di avere nei loro confronti. Ecco quindi che era lo Stato stesso che si prodigava in facilitazioni verso costoro.
Erano l'1% della popolazione inglese e avevano una rendita annua altissima a cui si aggiungevano i privilegi su cui potevano contare, un po' come i politici moderni che non si sognerebbero mai di pagare una cena. Vi appartenevano tutte le categorie di nobili e gentiluomini, compresi i baronetti e cavalieri che, invece, nell'altra distinzione erano assimilati ad una classe inferiore.

All'interno della stessa upper class, nei paesi dove non esisteva l'aristocrazia che deteneva il primato all'interno della classe stessa, esisteva un'ulteriore distinzione.
  • La Upper upper class che comprendeva personaggi di grande ricchezza e di antica e prestigiosa famiglia, tant'è vero che erano etichettati come Old money negli ambienti più informali, negli Stati Uniti questa distinzione esiste ancora e fanno parte della categoria di Vanderbilt, i Rockefeller, ecc.
  • La Lower upper class erano definiti come New money e comprendevano tutti coloro che con gli affari avevano fatto grandissime ricchezze nello spazio di un'unica generazione.


Upper middle class
Siamo già in ambito borghese, come dice il nome stesso che fa riferimento alla middle class che dopo il matrimonio di Kate Middleton abbiamo sentito nominare ben più che a sproposito.
Insomma, ci riferiamo all'alta borghesia, imprenditori, armatori, proprietari di industrie e possidenti terrieri con grossi introiti. Vi si contavano inoltre gli alti appartenenti al foro ed eminenti studiosi.
Queste persone avevano di solito un livello di studio abbastanza elevato, avevano frequentato almeno le scuole superiori e alcuni anche l'università.
In questa fascia sociale era condensato il 15% della popolazione vittoriana.


Lower middle class
Sempre in ambito borghese ci affacciamo adesso verso il ramo meno ricco.
Nella lower middle class si potevano riconoscere onesti negozianti, medici, impiegati statali, artigiani con una certa autonomia, la maggior parte erano figure che lavoravano in proprio e non dipendevano da un padrone, sebbene il loro business non fosse grande come quello degli alto borghesi, avevano una vita abbastanza comoda e dignitosa che permetteva di non patire la fame alla famiglia. Tra i dipendenti che figuravano nella categoria erano tutti colletti bianchi, cioè personale che svolgeva funzioni che necessitavano di una certa cultura minima e non comprendevano lavori manuali, ma piuttosto impieghi da scribacchino e grattapennini come si soleva dire all'epoca.
Questa classe occupava circa il 32% della popolazione.


Working class o classe lavoratrice o proletaria
Erano il 32% della popolazione e comprendeva quasi esclusivamente lavoratori dipendenti di lavori di basso concetto: montatori, meccanici, scaricatori, riparatori... cen'era per tutti i gusti.
La sicurezza del loro posto di lavoro era sempre a rischio ed è per questo motivo che molti si battevano in lotte sindacali che spesso sfociavano nel sangue o in due punizioni da parte del datore di lavoro, a volte anche fisiche (cfr. I giorni del tè e delle rose).
Warwick, quartiere della classe proletaria.
La struttura delle abitazioni tutte uguali, di costruzione semplice e mai troppo distante dalla zona di lavoro, spesso nel comprensorio delle recinzioni dell'area industriale, era voluta dai padroni delle fabbriche per il controllo completo della vita dei dipendenti, anche in Italia abbiamo esempi simili come Busto Arsizio.
Il salario che acquisivano dal loro impiego a stento bastava a mantenere la famiglia, anche se poco numerosa e già da allora in un simile nucleo abitativo lavoravano entrambi i coniugi e più spesso anche eventuali ospiti paganti della casa, ad esempio zii o cugini trasferiti dalle campagne.


Lower class
Alla base della piramide stava la lower class, letteralmente la "classe più bassa". Vi appartenevano oltre a tutti i poveri, gli indigenti, zingari, clochard, prostitute di basso rango e il sottobosco malavitoso delle città, anche i lavoratori stagionali delle campagne.
I famosi lustrascarpe appartenevano
alla lower class ed erano molto diffusi.
Era una classe di disperati e di afflitti, senza vita, speranze o futuro che viveva alla giornata sui bordi delle strade, sfruttando come poteva la società e i suoi vizi nati dalla crescente ricchezza.
La percentuale di persone che ne faceva parte variava dal 14 al 20%, la cifra è poco chiara a causa della difficoltà di conteggio.


Bene, dopo questo post relativamente breve, ma spero contenente tutte le informazioni salienti, mi auguro che le idee riguardo la stratificata struttura dell'epoca settecentescha e ottocentesca siano un po' più chiare, se così non fosse, naturalmente, potremo tornare in furuo sull'argomento.
Una nota è d'obbligo e cioè sottolineare come questa fosse la struttura delle classi sociali del passato, al giorno d'oggi il grado di stratificazione risulta più avanzato e comprende il livello di specializzazione delle persone che nel corso del tempo, secondo un processo iniziato con la Seconda Rivoluzione Industriale, ha acquisito sempre maggior rilevanza.

Baci a tutti




Mauser

18 maggio 2011

Carbon Neutral sbarca in Italia

È sempre bello vedere quando le iniziative intelligenti prendono campo e cominciano a diffondersi e scoprire che alcune di queste sono arrivate anche in Italia, il Paese che per antonomasia in certe cose arriva sempre per ultimo, è oltremodo gratificante.
Per una volta non siamo il fanalino di coda del solito gruppo, ma in testa al progetto e la cosa mi rende orgogliosa del nostro Bel Paese.

Nello specifico mi sto riferendo all'iniziativa ecologista Carbon Neutral di cui avevo parlato diverso tempo fa, un'ottima chance per rendere il nostro blog non più un mero consumo energetico nei giganteschi serveroni di Google, Wordpress & co, ma uno strumento per rendere migliore il nostro pianeta.
So che tenere un blog può sembrare una cosa non inquinante, dopotutto se non si stampano le bozze o l
e pagine oppure non si sfruttano certi servizi che cosa dovrebbe inquinare?
In realtà le strutture che supportano i nostri blog, parlo di storage, server, gestionali, programmi, ecc, sono dei veri e proprio vampiri energetici che in poco tempo assorbono quantità enormi di energia e questo non è neanche il peggio perchè una volta, quando la tecnologia non era al livello attuale e computer e sistemi rack erano decisamente meno efficienti, occorreva quasi il doppio di risorse per far muovere il mastodonte che è la rete, con tutte le sue cose.
Da "inserita nel settore", conoscendo bene le proporzioni tra guadagni, rendimenti e consumi di certe apparecchiature, so anche che fare un'azione ecologica non è certo un peccato, ma anzi dovrebbe essere un dovere morale di tutti noi che con suddette piattaforme ci divertiamo e, modo nostro, giochiamo con l'informazione.

Per questo ho deciso di accogliere la traslazione del progetto Carbon Neutral anche nella sua declinazione italiana sponsorizzata da Dove Conviene, un sito italiano dedicato al volantinaggio online, che si preoccupa quindi di ridurre al minimo lo spreco di carta fatto per la realizzazione di foglietti, depliant e così via che immancabilmente finiscono nelle nostre mani e, il più delle volte, nella spazzatura, sperando sia quella differenziata; al seguente link troverete la pagina dedicata all'iniziativa green suddetta
Le modalità di partecipazione sono le medesime, per chi intedesse seguire la linea di pensiero:
  1. Scrivere un post riguardo l'iniziativa
  2. Inserire nel blog l'apposito pulsante "sponsor"
  3. Segnalare l'intenzione di partecipare all'iniziativa all'indirizzo co2neutral@doveconviene.it
  4. Un albero verrà piantato nella zona designata, con un albero si risparmieranno 5kg di Co2 l'anno, rendendo migliore il pianeta dove viviamo, più salutare e naturale.

Una cosa curiosa: quando ho aderito all'iniziativa erano stati piantati 29 alberi e probabilmente il mio sarà il trentesimo. Considerando che la mia vita è da sempre segnata dal numero 3, lo considerà un segno, sebbene ci tenga a sottolineare che in quanto cristiana io non credo al Destino.

Mi auguro di cuore che partecipiate numerosi e la prossima volta che dovessi capitare sul sito di vedere il contatore schizzato verso le stelle.

Grazie ad Alice Staffieri che mi ha segnalato l'apertura dell'iniziativa anche in Italia, in bocca al lupo col progetto, avete tutto il mio sostegno!

Con affetto,
baci




Mauser

17 maggio 2011

Teaser Tuesdays [7]

Ho deciso che pr la rubrica settimanale dei Teaser Tuesdays mi manterrò un minimo sui classici e dopo Il Gattopardo mon amour e Via col vento ho preso dalla mia libreria l'ennesimo volume imprescindibile in qualsiasi casa: L'antologia di Spoon River.

Ricordo che lo lessi per la prima volta quando andavo alle medie, nella mia antologia scolastica c'erano molti brani di letteratura americana, naturalmente non contemplati nel programma di scuola, dal titolo invitante, dalle belle illustrazioni (è da dire che il mio libro le aveva davvero) e dai significati interessanti. Così, finito l'anno e passati oltre a tutto quell'inchiostro, d'estate mi misi a leggerli. Lessi moltissimo, e non solo l'antologia, le medie furono il periodo in cui lessi di più: essendo arrivata tardi alla scoperta della bellezza del leggere dovevo rifarmi in fretta e in due estate mi sbafai tutti i classici, prendevo in prestito in biblioteca tre o quattro titoli a settimana, feci la conoscenza della Austen, delle Bronte, della Spyri, la Alcott, la Montgomery, Twain, Dickens, Stevenson... insomma, leggere stava diventando una droga.
Ma con l'Antologia ci fu sempre un feeling speciale e con una di queste poesie, in particolare.
Signore e signori vi presento il mio preferito, Francis Turner, il malato di cuore.

Scheda tecnica
Titolo: L'antologia di Spoon River
Titolo originale: Spoon River Anthology
Autore: Edgar Lee Masters
Editore: Mondadori

Scheda aNobii
Non potevo correre o giocare
da ragazzo.
Da uomo potevo solo sorseggiare dalla coppa,
non bere -
perchè la scarlattina mi aveva lasciato il cuore malato.
Ora giaccio qui
confortato da un segreto che nessuno tranne Mary conosce:
c'è un giardino di acacie,
di catalpe, e di pergole dolci di viti -
là quel pomeriggio di giugno
al fianco di Mary -
baciandola con l'anima sulle labbra
all'improvviso questa prese il volo.


I could not run or play
in boyhood.
In manhood I could only sip the cup,
Not drink -
For scarlet-fever left my heart diseased.
Yet I lie here
Soothed by a secret none but Mary knows:
There is a garden of acacia,
Catalpa threes, and arbors sweet with vines
There on that afternoon in June
By Mary's side -
Kissing her with my soul upon my lips
It suddently took flight
.


Credo che la dolcezza di questa poesia sia speciale, con estrema delicatezza riesce a trasnettere il patimento di questa persona, ma anche l'amore e la gioia, la felicità per le piccole cose che nonostante il corpo martoriato è ancora in grado di provare. Un'anima che nonostante i tanti NO della vita ha ancora il coraggio di apprezzare ciò che di buono gli capita. E Mary, gentilissima Mary, dolce e premurosa, sembra un angelo, ing rado di vedere oltre l'aspetto, oltre le negazioni, oltre l'apparenza, fino al fondo dell'anima.




Mauser

15 maggio 2011

Presse per panni e fazzoletti

Le mie reali intenzioni, lo confesso, erano quelle di racchiudere in un unico post tutti i metodi di stiratura alternativi al ferro da stiro che abbiamo incontrato in precedenza, ma stra da facendo mi sono ahimè accorta che sarebbe stato davvero troppo complesso e superficiale elencarli tutti insieme, non ne avrei approfondito alcuno e anche il corredo fotografico sarebbe stato scarso e poco affascinante, e voi sapete quanto tengo a queste cose!
Così ho deciso di scrivere un post a parte su questo argomento: presse per il bucato.

Perchè parlare di questo? E perchè esistevano questi sistemi quando si aveva già il ferro?
È da premette che il ferro da stiro fu sì un'invenzione antica, ma inadeguata ad alcuni tipi di biancheria, insomma non lo si poteva usare su a tutti i tipi di panni, esisteva una diversificazione importante a seconda della biancheria e di chi la adoperava ed è proprio da questa diversificazione che nascono le presse per il bucato.

La storia ci tramanda che questi congegni meccanici erano in uso fin dal Medioevo, in dotazione solo alle famiglie più ricche o ai castelli più abbienti, anche perchè essendo tanto elaborati per l'epoca, erano molto costosi; nel Seicento ebbero un nuovo periodo di furore e continuarono ad essere adoperati fino al Novecento, ancora oggi probabilmente si otterrebbe un risultato migliore che piegando il tutto e poi stirandolo, non è detto che nei grandi alberghi non usino qualcosa di analogo, ma non avendo mai lavorato in una lavanderia o nei bassi di un hotel a 5 stelle, non saprei dire.


Motivazioni socio-antropologiche
Quello della pressatura dei panni era un sistema sviluppato appositamente per quel tipo di bucato di grandi dimensioni che di solito crea non prochi problemi agli utilizzatori del ferro, principalmente per tutto il tessuto da gestire, quando infatti si stira un lenzuolo o una tenda in casa, si finisce inevitabilmente per avere il telo da tutte le parti che cade dall'asse o dal tavolo e col ferro, di grandezze relativamente piccole rispetto alla superficie da coprire, è estremamente difficoltoso non dimenticarsi di tutti i punti intermedi: insomma, alla fine del lavoro bisogna ricominciare.


La strada più veloce, sotengono le casalinghe, è quella di piegare preventivamente il telo e solo quando si ha a che fare con una dimensione accettabile si parte con la piastra calda: suppergiù è lo stesso procedimento che si usava con la pressa, lenzuola, tende, copriletti, tovaglie, arazzi e qualsiasi tipo di biancheria da casa di grandi dimensioni (penso ai teli dei baldacchini, ai tendoni estivi delle feste in giardino, alle mantovane, ecc) era preventivamente piegata dal personale di lavanderia e poi, ottenuto un risultato accettabile della dimensione trasportabile, questi era pressato nella macchina che adesso andremo a vedere.

La piegatura non era un'operazione secondaria, infatti dalla perfetta disposizione sotto pressa del bucato derivava l'efficacia del procedimento, non si trattava quindi di un'operazione secondaria o fatta alla meglio, ma eseguta con cura e attenzione dal personale.


Struttura della pressa per i panni
La pressatura dei panni era eseguita nello stesso modo in cui si poteva pressare il legno o il metallo: i panni venivano disposti in una pila ordinata e successivamente compressi con forza tramite un sistema a vite che spingeva una tavola superiore contro quella fissa che fungeva da ripiano; a volte la parte soprastante era a sua vola appresantita, per esempio fabbricata di legno compatto e pieno, per esercitare maggior forza ed ottenere un risultato più efficace in meno tempo.

L'intero meccanismo era montato in una struttura simile ad una specie di credenza o mobile, sia nella versione a vista che in quella con ante, dove l'intero sistema era nascosto dietro due ante che facevano assomigliare il tutto ad un armadio. Questo mobile così costituito fungeva anche da pezzo da arredamento dell'area della servitù, insomma, si univa l'utile al bello e spero che dalle immagini che ho inserito traspaia la raffinatezza di questi strumenti, in particolare sottolineo il pezzo indiano realizzato in legno di rosa con intarsi d'avorio, un mobile di metà Ottocento che sembra quasi più pregiato di quelli che dovevano essere nelle camere dei padroni.

A seconda del tipo di biancheria, ritroviamo due tipologie di presse, la prima, definita linen press era destinata ai grandi capi di forma definita (linen=biancheria da casa, dal fatto che fosse principalmente realizzata in lino o cotone), il piano di appoggio e la tavola pressante erano grandi fino ad 1m o 1,5m e la pressione esercitata era grandissima, i panni erano impilati uno sull'altro e lasciati in posa per diverso tempo, in modo che la forma fosse correttamente impressa nel telo. Il congegno sfruttava il fatto che lenzuola e biancheria erano impilate a più per volta, in questo modo, anche esercitando pressione solo alle estremità, i teli nel mezzo sarebbero rimasti appiattiti dal peso esercitato da quelli sopra, a loro volta compressi, un sistema molto furbo per evitare di sforzare eccessivamente gli ingranaggi, rischiando di rovinarli, quando non se ne aveva la necessità.
Il secondo tipo di pressa veniva denominata napkin press ed era usata per la piccola biancheria (napkin=fazzoletto), vale a dire tovagliette, fazzoletti, centrini, ecc. In questo caso era la parte soprastante ad essere molto pesante, in quanto non si poteva sfruttare l'intero gruppo come accadeva nella linen press normale, qui semplicemente si pigiava con forza, fissando il meccanismo, e si lasciava il fazzoletto desiderato in posa per un lungo periodo. A differenza della "sorella maggiore", la napkin press poteva avere dimensioni ridotte ed essere meno ingombrante.

I panni venivano lasciati sotto pressione anche per molto tempo, in quanto dovevano acquisire la piega perfetta, dopodichè erano riposti nelle madie e nei ripostigli della biancheria con ordine e accuratezza; con case tanto grande personale tanto numeroso era evidente che i lavori andavano fatti bene e l'ambiente doveva essere ordinato, altrimenti nessuno sarebbe stato in grado di ritrovare gli oggetti necessari, intaccando l'impeccabile meccanismo su cui si basavano i compiti della servitù.
L'organizzazione della casa e dei suoi minimi indispensabili ritengo che sia materia che vada insegnata a scuola anche ai giorni nostri insieme all'informatica e non più solo alle femmine, come accadeva nel dopoguerra, ma anche agli uomini, che sempre più spesso si ritrovano ad abitare da soli e a fare ricorso a mammà quando hanno a che fare con i problemi domestici. Nel film Appuntamento sotto il letto con Henry Fonda e Lucille Ball potrete trovare valido materiale di studio, altro che Mrs Beeton!


Riferimenti letterari
Nel libro Shirley scritto da Charlotte Bronte, la stessa di Jane Eyre, queste presse per il bucato vengono nominate dalla protagonista, che insieme alla mdre discute delle faccende domestiche, ecco il passaggio ritrovato dalla mia vecchia versione inglese, edizione Birilli, quindi praticamente preistorica...
Right, mother! And if my Master has given me ten talents, my duty is to trade with them, and make them ten talents more. Not in the dust of household drawers shall the coin be interred. I will not deposit it in a broken-spouted tea-pot, and shut it up in a china-closet among tea-things. I will not commit it to your work-table to be smothered in piles of woolen hose. I will not prison it in the linen press to find shrouds among the sheets: and least of all, mother' - (she got up from the floor) - 'least of all will I hide it in a tureen of cold potatoes, to be ranged with bread, butter, pastry, and ham on the shelves of the larder.

Charlotte Bronte, Shirley

Purtroppo il materiale in circolazione è poco e non ci sono libri sull'argomento, ma spero che la mia ricerca sia stata sufficiente per aprire le porte del magnifico mondo delle massaie di una volta.
Baci a tutti e alla prossima occasione




Mauser

10 maggio 2011

Teaser Tuesdays [6]

La scorsa settimana il capolavoro di Luchino Visconti, naturalmente Il gattopardo ha avuto la fortuna di passare sui canali televisivi.
Mi stupisce che un nuovo terremoto non abbia invaso il Giappone o qualche altra terra emersa, visto che la programmazione del palinsesto degli ultimi dieci anni sta evitando come la peste qualunque cose di minimamente educativo, culturalmente elevato, storicamente attendibile o, è il caso di dirlo, banalmente apprezzabile. Lo stesso giorno su Canale5 girava 17 Again, ritorno al liceo commedia pseudo-educativa con l'idolo delle folle Zac Efron, giusto per dare un paragone, e questo è ancora uno degli esempi più brillanti, visto che suddetto film è godibile e divertente fino ad un certo punto, ma altri sono veramente indigesti.

Comunque, divagazioni a parte, inneggiando al miracolo sono andata a ripescare dal polveroso scaffale dei super classici, una categoria di intoccabili e immortali come gli Highlander di Christopher Lambert, uno dei più alti esempi di letteratura italiana dell'Ottocento, Il gattopardo, appunto.
referisco Giuseppe Tomasi di Lampedusa rispetto a Verga perchè lui sa farmi sognare, mentre Verga riesce solo a deprimermi, non che non sia istruttivo, ma io credo che un libro possa insegnare senza far accadere ai propri protagonisti qualsivoglia tipo di disgrazie, malattie, morti, debiti, cattiva reputazione, miseria... certamente il mito di Verga era quello di dimostrare quanto in basso si può scendere se si cerca di sovvertire il naturale ordine di cose, così come di caste sociali, ma non trovandomi d'accordo con suddetto messaggio di fondo, ho finito per detestare a pelle Verga, non solo I Malavoglia, ma anche Mastro Don Gesualdo e tutti i suoi libri della trilogia dei vinti, che in realtà doveva essere una petalogia, ma lasciamo perdere.

Dicevo del Gattopardo, è un romanzo che mi ha fatta sognare perchè ha delle descrizioni splendide e non solo panoramiche, riesce a farti entrare nella routine di una famiglia nobile siciliana di due secoli fa così come ti abitueresti ad una conversazione sul pianerottolo con la vicina di casa, con la massima naturalezza e semplicità si viene trasportati in quel mondo e tradizioni e consuetudini, passati, presenti e futuri scorrono via tra le pagine sapientemente scritte.
I personaggi sono proprio tipici dell'Ottocento, pieni di vizi o virtù all'apparenza, ma che covano segreti e passioni nel loro animo, sono un ritratto della società in cui vivevano, dove la rigidità morale non era certo limitata ai paesi del Commonwealth, ma, precursore della moderna globalizzazione, era universalmente diffusa.

Per chi ancora non l'avesse fatto e come me fosse innamorato dell'Ottocentoe e delle sue usanze e volesse trovare una deliziosa finestra su quel mondo ormai passato, consiglio caldamente di accostarsi alla lettura de Il gattopardo, chi invece ha già avuto contatti con il nostro Tomasi di Lampedusa, spero gradirà il teaser odierno.


Scheda tecnica
Titolo: Il gattopardo
Autore: Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Editore: Feltrinelli
Pagina della citazione: 167
Scheda aNobii
Il risultato paradossale di questi propositi, separati ma convergenti, era che la sera a pranzo i due più innamorati erano i due più sereni, poggiati sulle illusorie buone intenzioni per l'indomani, e si divertivano a ironizzare sulle manifestazioni amorose degli altri, pur tanto minori. Concetta aveva deluso Tancredi: a Napoli aveva patito per un certo rimorso nei riguardi di lei e per questo si era tirato dietro Cavriaghi col quale sperava di rimpiazzare se stesso nei riguardi della cugina;anche la compassione faceva parte della sua preveggenza. Sottilmente ma anche bonariamente astuto com'era, arrivando, aveva avuto l'aria di condolersi quasi con lei per il suo proprio abbandono; e spingeva avanti l'amico. Niente. Concetta dipanava il proprio chiacchiericcio da collegiale, guardava il sentimentale contino con occhi gelidi dentro i quali si poteva financo notare un po' di disprezzo. Quella ragazza era una sciocca, non se ne poteva tirar fuori niente di buono. Alla fine, cosa voleva? Cavriaghi era un belragazzo, una buona pasta d'uomo, aveva un buon nome, grasse cascine in Brianza; era insomma quel che con termine refrigerante si chiama un "ottimo partito". Già: Concetta voleva lui, non era così? Anche lui la aveva voluta un tempo: era meno bella, assai meno ricca di Angelica, ma aveva in sè qualche cosa che la donnafugasca non avrebbe mai posseduto mai. Ma la vita è una cosa seria, che diamine! Concetta avrebbe dovuto capirlo; e poi perchè aveva cominciato a trattarlo tanto male? Quella partaccia a Santo Spirito, tante altre dopo. Il Gattopardo, sicuro, il Gattopardo; ma dovrebbero esistere limiti anche per quella bestiaccia superba. "Freni ci vogliono, cara cugina, freni! E voi Siciliane ne avete pochini."
In cuor suo Angelica dava ragione a Concetta: Cavriaghi mancava veramente troppo di pepe; dopo esser stata innamorata di Tancredi sposare lui sarebbe stato come vere dell'acqua dopo aver gustato questo Marsala che le stava davanti.


Ci vediamo presto,
baci e buona giornata




Mauser

9 maggio 2011

ll ferro da stiro

Quanto tempo che non mi occupo più della mia rubrica sugli oggetti tipici! Ma c'è così tanto da dire sul costume, sull'architettura, sulle persone e su chi le cita che inevitabilmente qualche argomento finisce per sfuggirmi.

Un po' mi sento in colpa con me stessa per aver trascurato quest'oggetto così importante e che amo talmente.
Ferro da stiro piatto o a induzione
Anche il ferro, come lo chiamerò da adesso in avanti seguendo la figura retorica della sineddoche (una parte per il tutto), così come la già citata macchina da cucire, soffre di quella particolarissima forma italiana del dire DA per indicare il PER, in origine, infatti, il DA era adoperato anche per indicare la funzione degli oggetti o delle cose, la loro destinazione, insomma. In molti aspetti della vita quotidiana, specialmente nei nomi di utensili, questa caratteristica linguistica si è mantenuta anche dopo che se ne è persa l'abitudine, sono esempi comuni:
la macchina DA cucire,
l'asse DA stiro,
il piatto DA portata,
la forchetta DA dessert,
l'orologio DA polso,
la cappa DA cucina,
e così via...

Il ferro da stiro è un'invenzione che va di pari passi con la crescita economica e culturale delle varie società umane, esso infatti comincia a diventare un utensile importante nella quotidianità quando non solo la raffinatezza dei tessuti, ma anche il loro drappeggio diventa simbolo di uno status. Quando la maggior parte della popolazione poteva a malapena permettersi una pezza di lana (se andava bene) da gettarsi addosso, era normale che avere un tessuro riccamente decorato e finemente plissettato fosse il massimo della ricchezza.


Gli Egizi e il non ferro
L'usanza di migliorare i tessuti dando loro un'aria meno dimessa e stropicciata, così come le pelli, è un'abitudine antichissima, diffusa fin dalla Preistoria, ma non nel concetto di ferro da stiro che intendiamo noi, il procedimento era infatti eseguito battendo le pelli o la stoffa con bastoni di legno (Oriente) o pietre levigate dalla forma leggermente concava (Scandinavia).
Questi sistemi rimasero in voga fino agli anni Trenta nelle zone meno industrializzate del pianeta, ancora oggi nelle aree rurali della Cina si possono vederne gli utilizzi.

Come è facile immaginare dai dipinti sulle pareti delle tombe e dei templi egizi, [mi raccomando, si dice egizi, gli egiziani che tanto si ostinano a nominare sono gli odierni abitanti dell'Egitto moderno!] con i gonnellini pieghettati con precisione, furono loro i primi inventori del ferro da stiro; nonostante questo solitamente la nascita di questo strumento viene fatta risalire a circa due secoli dopo Cristo, perchè?
Non per cattiveria, gli Egizi, infatti, utilizzavano un metodo particolare per pieghettare i loro tessuti che consisteva nell'immergere il tessuto in una soluzione acquosa contenente cauciù oppure un estratto dei cactus, particolarmente elastico una volta solidificato, successivamente il tessuto imbevuto veniva piegato con maestria e pressato, lasciato poi a riposare diversi giorni. Una volta terminato il processo di solidificazione della gomma naturale, il peso veniva rimosso e si otteneva il gonnellino plissettato come lo conosciamo noi, insomma, più che il ferro avevano inventato la pressa, mentre la gomma naturale aveva lo stesso effetto che ha la lacca per capelli, mantenere la forma.

Questo processo, tuttavia, è un po' diverso da quello che viene considerato proprio del ferro, ovvero ottenere una piega rompendo i legami molecolari del materiale, sia esso stoffa o pelle, ma anche metallo, attraverso l'uso del calore, che rende suddetti legami più deboli, facili da rompere e da riformare nella forma prescelta, in questo caso a pieghe.

Insomma, se il metodo egizio era paragonabile alla lacca, quello del ferro vero e proprio può essere assimilato alla permanente, dove i legami dei capelli vengono distrutti dalle potenti sostanze chimiche e successivamente ricreati grazie all'impiego di bigodini & co.

Pittura egizia che raffigura il lavaggio e la stiratura dei panni

Cinesi vs. Romani
Se non furono i nostri adoratori di Iside e Osiride a inventare il ferro, chi furono?
La diatriba è aperta tra i cinesi e i romani.
In entrambi i casi la data è da far risalire al II secolo a.C., momento di sviluppo di entrambe le culture e di sufficiente raffinatezza artistica e ricchezza materiale da cominciare a badare a certi vezzi.

Donne coreane che stirano secondo
l'usanza cinese (200 d.C. ca)
Nonostante la diatriba sia ancora in corso, usualmente sono considerati i cinesi i veri inventori, in quanto da lì proviene l'esemplare di ferro più conosciuto fin'ora: si tratta di un recipiente in bronzo dell'epoca Han (200 a.C. - 200 d.C.) corredato di un lungo manico di legno per l'impugnatura, più che un ferro assomiglia ad una di quelle padelle per le caldarroste, ma in realtà non serviva ad abbrustolire il cibo, almeno non nella sua funzione primaria ^_^. La forma del suddetto non è poi così diversa dai ferri da stiro che ancora erano in uso in alcune zone rurali durante il dopoguerra e costituisce uno dei due sistemi utilizzati per ottenere calore, quello che poi diventerà il ferro da stiro a caldaia che vedremo più avanti.

Non che i romani fossero da meno certo, arrivarono al ferro poco dopo i cinesi e realizzarono subito la loro innovazione. I romani sono infatti responsabili della nascita del secondo tipo di ferro che vedremo, che per comodità riferirò come ferro da stiro a induzione.
Se anche non hanno il primato per quest'oggetto, i romanzi, fedeli all'idea degli italiani intrallazzoni e pronti a fare soldi su qualunque cose inventarono la lavanderia, che si chiamava Funiculum ed era un apposito negozio dove il personale veniva pagato per lavare e stirare le tuniche, quest'occupazione è ampiamente documentata negli affreschi di Pompei, o almeno lo era prima del crollo di diverse costruzioni... si spera che qualcuno abbia provveduto a documentare il tutto con foto, altrimenti addio primato.


Il tempo passa...
Il ferro da stiro rimane un oggetto quasi immutato nel corso dei secoli dal 200 d.C. fino al 1800 circa, quando insieme ad altri utensili comincia la sua corsa verso l'automazione.
Si hanno alcune variazioni abbastanza significative coi ferri olandesi del 1200 e del 1300, ma sostanzialmente il principio rimane il medesimo.
Dalle Crociate in Terrasanta i valorosi soldati (e i sanguinari) avevano importato anche i metodi di stiratura orientali, i ferri a caldaia e i trucchetti egizi dell gommatura che rendeva molto bene su alcune tipologie di vesti del Medioevo.

Nel Cinquecento nascono appositi strumenti, simili al ferro, per la pieghettatura delle imponenti gorgiere elisabettiane e si sa che il primato proviene niente popò di meno che da Firenze.

Giovane ragazza che stira
by Louis Léopold Boilly
Arriviamo quindi al Seicento, quando il ferro da stiro comincia ad acquisire sempre maggior rilevanza nell'uso quotidiano (ovviamente delle classi alte), l'impiego di cuffie per i capelli, foulard, pizzi, trine alle maniche e colletti preziosi, oltre alle plissettature del corpetto degli abiti, danno l'impulso necessario alla nascita della professione di stiratore, più comune però nella declinazione femminile di stiratrice, che era una collaboratrice del sarto e, spesso assunte in batteria, passavano le loro giornate chine sui tessuti più difficili e capricciosi senza il minimo riconoscimento.
In questo periodo il ferro inizia a mutare, il manico in metallo viene progressivamente sostituito dal legno, in grado di isolare dal calore, un'idea che i cinesi avevano già avuto, ma che, a quanto pare, non era stata tramandata ai conquistatori cristiani. Non solo, ma si contrappongono sempre più le due scuole del ferro a caldaia e quello a induzione.

È comunque nell'Ottocento, secolo della rigidità fisica e morale, dei vestiti ingessati come le feste senza wurstel Aia, dei colletti e delle maniche inamidate e dei tight che strizzavano il busto, tanto che molti damerini sembravano avere una scopa infilata nella giacca [ho detto giacca! Che credevate?], che il nostro ferro ottiene il massimo dei riconoscimenti e degli impieghi, adoperato a pieno regime da quasi tutte le classi sociali, dalla poco più che umile a quella dei monarchi.
Sguattere di cucina, cameriere tuttofare e servette all'ultimo gradino della lavanderia passavano spesso le loro giornate a farsi i muscoli sopra le sottane della padrona e credetemi che all'epoca era estremamente facile bruciarle!
Dico fare i muscoli perchè stirare era, e in un certo senso lo è ancora, un'attività fisicamente impegnativa: i ferri dell'epoca, fossero a caldaia o a induzione erano pesantissimi, considerando che erano di ferro appunto, a volte riempiti di materiale combustibile, come le braci, per mantenere il calore, inutile quindi dire che mettersi all'ora con questi utensili equivaleva ad una bella seduta di sollevamento pesi in palestra, un ferro pesava da 1 Kg fino a 5 Kg.


Il processo della stiratura
Illustrazione dal manga Emma
by Kaoru Mori
Sebbene il ferro sia un'invenzione abbastanza antica, non dobbiamo credere che il procedimento fosse lo stesso di oggi, soprattutto perchè la tecnologia e le facilitazioni che gli utilizzatori avevano a disposizione erano molto diversi.
Una volta infatti, per quanto ci si sforzasse la temperatura massima che poteva raggiungere un ferro era sui 100-150°C, ma solo per un periodo limitato, in quanto nell'ambiente domestico, spesso freddo, il calore di disperdeva con facilità e non era repentinamente rigenerato da una fonte continua come l'elettricità.
Come fare, dunque?

Esistevano diversi accorgimenti e facilitazioni per fare aiutare un minimo nel lavoro, ad esempio, terminato il lavaggio e prima della stesura, i panni venivano piegati con cura e poi opportunamente strizzati, così che nella strizzatura fosse già data l'impronta per la piega. Esistevano anche strizzatrici a pressione come i tini della vendemmia o la stampa dei giornali dove i panni erano impilati con ordine e poi compressi tramite appositi tornî: insomma, una rivisitazione del metodo egizio.
Per la biancheria di piccole dimensioni, invece, un valido aiuto era dato dalle asciugatrici, grossi catini muniti alla sommità di due rulli girevoli azionati dal lavoro delle braccia; questi rulli servivano per comprimere e far fuoriuscire l'acqua.

Anche quando venivano stesi sulle lunghe corde del giardino i panni, specialmente se di grande dimensione erano sempre sistemati con ordine, i lembi allineati in basso così la fase di stiratura era facilitata in quanto il peso della stoffa bagnata fungeva da calamita verso il terreno sfruttando la forza di gravità che immancabilmente attraeva il tessuto doppiamente pesante verso il pavimento

Antichi stendibiancheria vittoriani posizionati nelle soffitte delle case, dove l'ambiente era più areato
Avete mai notato come le lenzuola di una volta siano ancora, a distanza di secoli, perfettamente lineari nella forma, senza quelle antiestetiche punte che invece si vedono sui teli moderni?
I motivi erano molti, la tessitura era più fitta e totalmente in fibra naturale, molto robusta, ma si usavano anche accorgimenti che le massaie moderne, divise tra l'ufficio, il BlackBerry e il bambino che deve essere portato alla partita di calcio a volte dimenticano.
La stesura dei panni, per esempio era molto curata, si usavano mollette naturali in legno che non macchiassero, saltuariamente per favorire l'aciugatura senza deformare la biancheria venivano apposti dei pesetti in ottone o metallo leggero a 1/3 e 2/3 della lunghezza, altrimenti il lenzuolo appesantito si sarebbe deformato in corrispondenza degli angoli o del centro.

Un altro sistema pre-stiratura valido, impiegato specialmente per le lenzuola sbiancate con la lisciva, era quello di distenderle al sole esattamente piatte, sempre per non far formare pieghe profonde e difficilmente eliminabili.

Domestic employment ironing
by Henry Robert Morland
La stiratura, inoltre non era solo poco efficace, ma anche anche molte controindicazioni.
  • Era faticosissima a causa del peso degli strumenti in metallo.
  • Era lunga, in quanto il calore sprigionato era poco e permetteva di coprire solo una piccola zona di tessuto, con risultati scarsi. Inoltre occorreva ripassare più volte la stessa zona, specialmente per avere determinati effetti pieghettati, anche se per alcune rifiniture venivano usati attrezzi appositi come il Geneva fluter che abbiamo incrociato in passato.
  • Il risultato non era sempre apprezzabile, in quanto la biancheria veniva spesso macchiata dalla ruggine che si incrostava sulla piastra e dalla cenere che vi si depositava quando lo strumento era sistemato a scaldare vicino al fuoco.
  • Stirare era pericoloso in quanto i tessuti naturali avevano la tendenza ad infiammarsi facilmente, da lì il mito della donna che, distratta, lascia bruciare le lenzuola con la classica forma del ferro. In realtà questo era un accorgimento da adoperarsi anche con altri strumenti che contenevano combustibile come scaldaletti, scaldapiedi, preti, frati e monache (non pensate male, era il nome dato a determinati utensili per riscaldare biancheria, lenzuole, stanze, ecc).
  • Stirare divenne anche mortale quando il ferro incominciò ad essere riscaldato tramite energia elettrica, in quel caso, senza le dovute protezioni, la massaia che impugnava l'utensile rischiava spesso di diventare la terra, ovvero lo scarico di energia accumulata: attraversando il corpo umano, cuore compreso, la scarica di energia rischiava di danneggiare gli organi interni e di fulminare la persona. Inutile dire che gli incidenti domestici sono stati uno dei grandi problemi degli anni del dopoguerra, quando l'innovazione tecnologica non era affiancata da altrettanta innovazione e prevenzione.


Tipi di ferro
Finalmente ci siamo e ne posso parlare senza trattenermi, è tutto il post che aspetto di parlare delle varie tipologie di ferro da stiro ^__^

Ferro a caldaia con galletto
Ferro a caldaia
A differenza di quel che si può pensare in riferimento ai ferri moderni, con caldaia di vapore incorporata, non aveva nulla a che spartire con loro, il vapore sarà un'integrazione recente nel sistema di stiraggio, propria del Novecento.
Questo tipo di ferro, che poi sarebbe l'originale, il master, quello inventato in Cina, lo chiamo a caldaia in quanto la sua forma è quella di un contenitore in metallo dove venivano poste braci ardenti o sabbia riscaldata, ecco questa era la "caldaia" di una volta, cioè quello che emetteva il calore.

La piastra sottostante il ferro era relativamente sottile rispetto a quella di alcuni suoi parenti, in quanto parte del peso era dato dal contenuto della caldaia; una variante molto furba prevedeva che i carboni venissero sistemati sopra un letto di sabbia all'interno del ferro e poi ricoperti con altra (naturalmente riscaldata), in questo modo si aumentava la proprietà calorifica delle braci e il peso dell'utensile, ricordiamo che il calore contribuiva poco alla stiratura, in quanto molto più debole di quello a cui siamo abituati, quindi la lisciatura del tessuto era data principalmente dal peso e dall'olio di gomito.

Ferro a caldaia russo
Per migliorare l'effetto stirante anche la parte metallica veniva preventivamente scaldata sulla stufa o nel forno, in modo da essere già cado quando vi si ponevano i carboni, in questo modo il calore sprigionato non andava a riscaldare da freddo il metallo, sprecando quindi parte dell'energia nella fase di riscaldamento (che notoriamente ne consuma molta più che per il mantenimento della temperatura), ma si partiva già dalla fase avanzata.

I materiali più comunemente adoperati per riscaldare il ferro erano: carboni ardenti di stufe e caminetti, sabbia riscaldata sul fuoco, acqua calda (molto raro in quanto l'acqua era un bene raro e prezioso), metallo riscaldato sul fuoco.


Ferro a induzione termica
o ferro a lingotto
Ferro piatto o a induzione
Questo tipo di utensile, parente stretto del ferro a caldaia era un po' una specie a parte. Derivato dal ferro romano e il più diffuso in Europa fino al Settecento, era costituito da un corpo massiccio di materiale termoconduttore, ma anche con proprietà particolari che permettessero alle molecole di rilasciare il calore dopo un certo lasso di tempo altrimenti la proprietà calorifica si sarebbe esaurita nell'istante in cui il ferro veniva tolto dalla sua fonte di calore. A tale scopo bronzo, ma soprattutto ferro erano ottimi.

Si chiama ferro a induzione termica in quanto il calore era indotto da una sorgente potente ed esterna; linguisticamente parlando anche l'altro tipo di ferro sarebbe da definire così perchè pure lì il calore era indotto da una fonte non propria dello strumento che lo trasmetteva alla struttura, ma la descrizione a caldaia rende meglio l'idea di quale fosse il principio di funzionamento.
Viene altrimenti menzionato come ferro a lingotto per la sua caratteristica del corpo di metallo pieno e di forma che vagamente ricorda quella di un lingotto.

Stufa vittoriana con
portaferri
L'utensile era posto sopra o accanto ad una grande fonte di calore, indipendentemente da quale essa fosse (in epoca più recente questa diventerà l'energia elettrica, che tramite presa era collegata direttamente al corpo metallico dello strumento), il ferro assorbiva l'energia e la rilasciava sotto forma calore, utilizzato per stirare.
Poichè l'effetto era a tempo abbastanza limitato, nelle case più ricche era spesso presente un corpo aggiuntivo per la stufa, oppure questa era costruita di forma speciale, magari nella zona lavanderia (vedi foto a lato) dove venivano incastrati molti ferri di questo tipo, che a rotazione si scaldavano, erano usati e riposti e si ricominciava con quello affianco, permettendo di avere sempre uno strumento a disposizione (per un esempio da vedere dal vivo consiglio la visita al Castello di Parolormo, che io ho avuto la fortuna di vedere in concomitanza con la fiera di Messer Tulipano).

Era molto vantaggioso in quanto più leggero rispetto a quello a caldaia nonostante fosse di metallo massiccio, era piccolo e maneggevole e ideale per quegli angoli difficili da sistemare.

Ferri piatti per vari effetti sul tessuto, trina, groffatura, stropicciato, ecc.


La sottoscritta
Ferro a gas tardo vittoriano
Se non si fosse notato, stirare mi piace molto e sono un'autentica appassionata, solitamente passo il sabato o la domenica mattina a stirare, magari guardando qualche programma alla tv come Bell'Italia; ho provato moltissimi tipi di ferri da stiro ed è una delle poche cose che riesco a fare con entrambe le mani, cosa che di solito non mi riesce granchè bene.
I miei preferiti sono i ferri a caldaia laterale, le stirelle, insomma, quelli che viaggiano completi di catafalco pesantissimo a latere, però secondo me sono i migliori, il ferro è compatto e non sbilanciato come quelli più semplici (dove il fondo pesa una tonnellata e la punta è leggerissima, così affaticano il polso), la piastra è spessa e quelle in ceramica sono favolose perchè anche leggere, il manico in sughero è piacevolissimo al tatto e quando afferro il mio ferro mi sento davvero realizzata: sì, lo so che ci vuole poco a farmi contenta -.-'
Comunque sia non solo stirare mi piace, ma senza falsa modestia posso affermare di essere anche piuttosto brava, le camicie sono la mia specialità, soprattutto quelle da uomo, stirare mi rilassa molto e alla fine polsini, pieghe e risvoli sono sempre perfettamente inamidati e ordinati.
Anche se non sono una persona ordinata, vedere una camicia così ben tenuta, sul suo attaccapanni, che cade perfetta mi riempie di orgoglio e soddisfazione: se fossi nata negli anni Cinquanta sarei diventata una stiratrice senza ombra di dubbio e chissà, magari avrei dato una mano come camiciaia alla mia nonna ^__^ La cosa che preferisco stirare, però, sono le tovaglie, vedere quel quadratone disordinato e spiegazzato ridotto alle dimensioni di uno strofinaccio con gli angoli ben appuntiti è fenomenale, le guardo quasi come se fossero figlie mie.
In compenso non vado d'accordo con tutti i lavori domestici, odio pulire i bagni e



Link utili e letture interessanti
Felcri - La storia del ferro da stiro
Atichiferridastiro.com - La storia del ferro da stiro
Forum La casa del Sole - La storia del ferro da stiro
Forum Caffetteria delle More - La storia del ferro da stiro
World Wide Ironing - Story
Victorian flat irons
www.saareisen.de - Gallery
Club svizzero degli amici del ferro da stiro
PHER - Associazione francese degli amici del ferro da stiro



Video
Questo video promosso dal Dean Heritage Center che come dice il nome è un'organizzazione che si preoccupa di sponsorizzare l'eredità culturale lasciataci, mostra una suggestiva ambientazione vittoriana con una donna in costume che stira.
La ricostruzione è mediamente curata e guardarlo è un po' come saltare indietro nel passato:


Questo invece è il presente, a testimonianza del fatto che nelle aree più povere o rurali del mondo, dove l'acqua corrente continua ad essere un lusso e l'elettricità un'utopia, l'avanzamento tecnologico è pressappoco ai livelli vittoriani e il video vi mostra come i ferri a caldaia o induzione di cui noi parliamo come di passato siano invece la loro quotidiana realtà: senza battere ciglio


Spero che questo approfondimento sia stato interessante,
ci sentiamo presto,
baci!





Mauser


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