30 settembre 2011

Orgoglio, pregiudizio e lussuria

Nella vastità del panorama letterario, a quanto pare molti editori non trovano di meglio da fare che stare a selezionare testi di dubbio gusto.
Sì, siamo all'ennesimo prodotto discutibilissimo, dal sapore trash che più trash di così non si può, roba che il programma Paris Hilton BFF sembra roba ad altissimo valore culturale [non ho detto sociale perchè magari da quel punto di vista qualche impronta la può lasciare, giusto farci capire che al mondo ci sono anche persone la cui massima aspirazione è rimanere chiuse in albergo ad aspettare che la loro famosa BFF Paris le cerchi e loro avranno la possibilità di apparire in una foto con lei, esattamente come le concubine attendevano l'arrivo del sultano nell'harem nella speranza di ricevere un regalo prezioso].

In un'epoca in cui le uscite in libreria rasentano la ventina al mese, i blog pullulano di anteprime e un autore scrive anche due libri l'anno se è particolarmente prolifico (uno solo se è un pelandrone) sembra strano che si sia deciso di pubblicare proprio questo libro.
O forse no?

Nel XXI secolo, era della comunicazione di massa in cui tutti scrivono (purtroppo anche chi non è capace di esprimersi neanche in lingua base), specialmente quello che pensano, e i sistemi informatici e telematici rappresentano uno dei pochi mezzi rimasti per rivendicare la libertà di parola, di espressione e di idee (se vi interessa approfondire date un'occhiata qui), con tanta varietà di begli ideali ricadiamo nel solito, banalissimo errore.

La cover del libro
In un'epoca in cui perfino il Gatto Presidenziale di Bill Clinton ha la sua pagina web, testuali parole dell'ex Presidente che mi ricordano vagamente Dollaro, il cane di Richie Rich che compariva sulla copertina di People, e tutti ci vantiamo di sapere e conoscere i problemi ambientali del pianeta, il numero esatto delle guerre nell'Africa subsahariana, il problema dell'AIDS, cosa ha mangiato cinque minuti fa la figlia di Victoria Beckham e, più in generale, i fatti degli altri [ma per quello non occorreva arrivare a Facebook, ci si riusciva benissimo senza], stupisce che con tanta roba si riesca a trovare sufficiente spazio e tempo da sponsorizzare sempre i casi più svilenti della non-cultura umana, tra l'altro reclamizzati da un battage pubblicitario e mediatico non indifferente.

Per tutti quelli che odiano Jane Austen e pensano che la satira si faccia solamente facendo assumere ai personaggi luoghi comuni della vita moderna, decontestualizzandoli senza riserve e trapiantandoli in quel famoso Universo Alternativo delle coulotte inguinali della Stella della Senna sul quale prima o poi mi deciderò a scrivere qualcosa, ecco, proprio per queste persone è nato e, cosa peggiore, è stato anche pubblicato, Orgoglio, pregiudizio e lussuria.

Il titolo parla da sè, altro non è che una (banalissima)(noiosissima)(scontatissima) parodia del famoso romanzo austeniano nel quale, al posto che struggersi per i problemi sentimentali assai noti a noi lettori, tra i quali l'evergreen amore non corrisposto, la differenza di ceto sociale e la presenza di personaggi bugiardi, scomodi e troppo intraprendenti che depistano i sentimenti, sbuca anche la parte prettamente sessuale.
Non si tratta neppure di un'idea così nuova, Fanny Hill è stato scritto nel 1748, giusto tre secoli fa, e prima di questa perla di Jane Austen in salsa porno qualcun'altro ci aveva già provato e nel 2000 era uscito Orgasmo e pregiudizio, talmente orribile che l'hanno ritirato dal mercato [onta riservata solo al libro di Saviano in cui lui e la sua famiglia erano stati minacciati di morte] e dove una fin troppo curiosa protagonista moderna riscopriva le pagine perdute scritte da zia Jane contenenti scene da film erotico proprio sotto le assi del pavimento - quale genialata!
Difficile attenersi a questa deviazione della vicenda storica, Cassandra, sorella di Jane, ha eliminato tutto l'eliminabile, figuriamoci se si sarebbe lasciata sfuggire una così ghiotta occasione di rivestire i panni del Savonarola in gonnella per bruciare un po' di scartoffie.

Ma torniamo all'opera di cui ci stiamo occupando, qui la finzione lettraria di trovare un manoscritto o qualcosa di simile non viene neanche adoperata, si tratta proprio di una riscrittura dell'originale in chiave spinta dove ritroviamo in nostri beniamini in improbabili situazioni a brache calate e sottane sollevate.
A quanto pare, ci suggerisce l'autrice che ha visto decisamente troppi dramas storici di bassa qualità, il nostro timido Darcy in realtà è un diabolico stallone da accoppiamenti, Elizabeth la casta tanto casta non è e non parliamo dei soliti comprimari, Jane, Bingley, Caroline e compagnia, che non perdono occasione di trovarsi un cespuglio appartato e non certo per i suggerimenti della signora Bennet, che spera sempre in una proposta di matrimonio!

Ecco quindi come dovremmo riscrivere l'immortale ìncipit secondo Mitzi Szereto, la mente che dopo troppi drink ha partorito il nostro libro:
It is a truth universally acknowledged that a single man in possession of a good fortune must be in want of a good romp and a good wife—although not necessarily from the same person or from the opposite sex.

È una verità universalmente riconosciuta che un scapolo in possesso di una buona fortuna sia in cerca di qualcuno con cui spassarsela e di una buona moglie, ma non necessariamente nella stessa persona o in qualcuno del sesso opposto.

Scena che potrebbe essere tratta dal libro
Direi che se non vi siete ancora strappati i capelli, questo è un buon segno, troverete senz'altro divertente il fatto che l'autrice si sia preoccupata di specificare che nel suo romanzo la castità non è una virtù, il sesso maschile non è necessariamente l'unico dominante e anche che i rapporti di amicizia non sono altro che un paravento per un altro genere di rapporti.
A quanto pare il cipiglio di Lady Catherine nasconde ben precise tendenze inclini al BDSM, mentre George Wickham, con grande dispiacere di Lydia, non è certo l'uomo sicuro di sè che fa credere, ma un timiduccio ridicolo.
E ovviamente durante il racconto si potrà fare la conoscenza di moltissimi altri personaggi che faranno sfoggio della propria mancanza di orgoglio, e anche di pregiudizi sulla sfera dei rapporti umani.
Ecco un piccolo estratto (in inglese)
Darcy for a moment seemed unable to move, but, at last recovering himself, he advanced toward Elizabeth, speaking to her in terms if not of perfect composure, at least of perfect civility. With each inquiry after her health and that of her family, she replied in kind, though she scarcely dared to lift her eyes to his face, her embarrassment was so profound. Had he been privy to her activities in the gallery [where she had just been masturbating], she could not have been more humiliated by the impropriety of her being discovered here. Her gaze flew about in all directions, eventually lingering on the flap of his breeches, which to her astonishment, projected outward to an alarming degree. The strain being placed on the garment eventually prompted a button to come loose, and it flew away into the grass, where it remained ignored by both parties

Mitzi Szereto, Pride and prejudice: hidden lusts
È anche da dire, a difesa di questo romanzo, che da incolpare è soprattutto l'ignoranza dell'autrice: trovo difficile da parte anche del miglior scrittore del mondo riuscire a fare una satira della satira, Orgoglio e pregiudizio, infatti, viene da molti considerato una presa in giro della società e delle regole che erano in voga all'epoca, quindi, se questo lavoro l'aveva già fatto Jane Austen, che bisogno c'era di scriverci sopra ancora? Sarebbe un po' come cercare di fare una parodia di Fantozzi quando lo è lui stesso...
Questo è il libro che Jane Austen avrebbe scritto, se ne avesse avuto spina dorsale.

Ha dichierato la Szereto e io oserei aggiungere:
Fortuna che zia Jane fosse una donna pavida!

Perchè perdermi un classico immortale e a tratti anche divertente in favore di certa roba che di sicuro non fa sorridere, né illustra le usanze e i costumi [semmai la loro mancanza] sarebbe stata una perdita notevole...

Senza contare che la Szereto si pone in maniera piuttosto superficiale nei confronti dell'epoca di cui (vorrebbe) parlare, ella infatti tratta la Reggenza alla stregua dell'epoca Vittoriana, con una libertà di costumi pari a zero.
Si è dimenticata, come invece non facciamo noi, che a differenza di ciò l'epoca Regency era figlia del periodo illuminista e dell'epoca napoleonica e concedeva una libertà notevole, se confrontata con le restrizioni seguenti. Forse una ragazza del tempo di Jane non si sarebbe rotolata nell'erba col primo stalliere di passaggio, ma di certo se avesse amoreggiato con un uomo in mezzo ad un campo non si sarebbero scandalizzati in molti, così come se avesse perso la sua virtù, all'epoca una sposa non vergine era ben tollerata, dopotutto, come dicevano alcuni nobiluomini dell'epoca che avevano sposato il proprio figlio con una donna che era stata l'amante ufficiale di diversi altri, si tratta di un problema tra loro (marito e moglie) e col senno di due secoli dopo, credo che sia giusto fosse così.
Ecco quindi che, a fronte di tutto questo, il romanzo della nostra Mitzi Szereto fa acqua da tutte le parti e sembra sempre più inappropriato al periodo.
Troppo spesso la Reggenza e l'epoca Vittoriana vengono confuse per scarso approfondimento, questa ne è l'ennesima prova.

Ma la cosa che mi lascia perplessa è che per scrivere un'opera simile era sufficiente una fanfiction, se questa donna, questa autrice, aveva la smania di scrivere qualcosa sui personaggi della Austen che le sono rimasti così impressi, e magari renderli più moderni inserendo il tema che da sempre fa parlare il mondo, naturalmente il sesso, poteva darsi dal mondo del fandom, ma per quello perfino EFP, il Tempio delle Fanfiction sarebbe stato sprecato.
Meritava di finirci, su EFP, e poi che fosse anche selezionato da Fastidious Notes on Morbid Fanfictions e accuratamente recensito anche lì, con il sufficiente disprezzo per un'opera scadente.

E invece tutto questo popò di schifezza su cui non avrei puntato cento lire, qualcuno l'ha pubblicato.
Tanto per cultura generale, ci sono romanzi molto migliori, anche romanzi erotici, senza sfociare nel trash: perchè sminuire un'autrice come la Austen pubblicando queste porcherie? Forse perchè zia Jane, da due secoli a questa parte vende sempre e vende bene, cosa che in vece gli autori moderni non sempre sanno fare, proponendo titoli con trama trite e ritrite e pseudo-nuovi generi letterari (vogliamo parlare del vampiresco neogotico che impazza negli scaffali?) che durano lo spazio di un mattino, tanto quanto una idol giapponese, dal successo tanto immediato quanto effimero.
Quindi in sostanza a quelli dell'editoria piace vincere facile, puntano sempre sul cavallo vincente, sapendo bene che distruggere il talento di Jane nel raccontare certe vicende umane sarebbe impossibile.

Personalmente mi trovo d'accordo con chi sostiene che ormai Orgoglio e pregiudizio sia un romanzo un po' sorpassato per la nostra epoca (ho detto sorpassato, non una ciofeca mostruosa, per me è bellissimo, ma un tantino retròe non voglio iniziare una polemica al riguardo), ma non, come sostiene qualcuno, perchè l'amore è solo platonico e non c'è sesso nella storia, [a quanto pare il sesso fa binomio inseparabile con l'epoca moderna], bensì perchè le tematiche della vita e i valori di questa autrice settecentesta sono leggermente diversi dai nostri e questa Lizzie viene trattata non più come una propria compagna di avventure, ma come un'eroina, ai nostri occhi altrettanto improbabile e soggetta a leggi fantasy dalle quali noi siamo esonerati.
Lizzie non ci sembra più probabile di Nihal della Torre del Vento o di Artemis Fowl, sebbene vicini a noi per carattere la loro vita è diversissima da quella che conduciamo, talmente tanto da rasentare l'opera fantastica.

Rimanere troppo legati al passato credendo che da allora non sia stato concepito nulla di migliore, credo sia un pregiudizio nel quale noi moderni e avveduti protagonisti del XXI secolo non dobbiamo cadere, certo è comodo dirlo, ma in fondo sappiamo che non è così... così come la storia aveva i suoi lati brutti in passato e ne ha di belli nel presente, lo stesso vale per la narrativa.
Quindi, se su questo blog si impara piano piano che la vita era durissima all'epoca e le comodità di oggi sono conquiste importanti per un'esistenza migliore, non fossilizziamoci nel dire Quant'era brava Jane Austen, oggi nessuno saprebbe scrivere così bene perchè non è vero, ci sono validissimi autori anche nel nostro secolo, solo che dobbiamo scoprirli e trovarli nel mare di disgustose pubblicazioni che riempiono gli scaffali e distraggono nella ricerca, pubblicazioni proprio come Orgoglio, pregiudizio e lussuria, il cui peccato maggiore è sicuramente quello di non dare nessun valore aggiunto, non c'è libro peggiore di quello che una volta chiuso viene completamente rimosso dal nostro cervello, lasciando dietro di sè nient'altro che tempo sprecato; al termine della lettura di questo romanzo(?) il lettore non ha ottenuto nulla di nuovo, a parte forse la conoscenza di pratiche sessuali di cui, fino a quel giorno, si era ignorata l'esistenza.

Valeva la pena disboscare un altro pezzetto di Amazzonia per stampare 'sta roba?
Parafrasando il Manzoni, ai lettori l'ardua sentenza, se qualcuno lo legge almeno la carta non andrà sprecata...

Pride and prejudice: hidden lusts (sito originale del libro)




Mauser

26 settembre 2011

La «corona lombarda»

L'Italia, lo sappiamo, è un Paese che ha sempre esercitato molto fascino sugli anglosassoni che da sempre ci sfruttano sia come luogo di villeggiatura, ma anche come enciclopedia vivente di cultura e tradizione. Oserei dire che basta sollevare la possibilità che un manufatto o un tradizione provenga dallo Stivale perchè un inglese sia preda della smania di accaparrarselo.

Scherzi e patriottismo a parte, ci sono stati sprazzi nel passato in cui gli inglesi in particolare amavano molto l'Italia ed erano affascinati dagli oggetti e dalle usanze che si portavano da noi, perfino la moda, appannaggio quasi esclusivamente francese, ebbe qualche raro esponente proveniente dall'Italia prima di Valentino, anche se i loro nomi di rado sono passati alla storia come quello dell'inventore del rosso per eccellenza.

La misteriosa
corona lombardamodello realizzato in ottone argentato
La corona lombarda che ho nominato a titolo del post (nome inglese), conosciuta da noi come raggiera o anche come guazza, è proprio uno di questi casi, uno di quegli accessori di cui neppure noi italiani, a parte i diretti interessati della regione, rammentiamo l'usanza o ne conosciamo la provenienza, ma che continua a vantare riproduzioni in certune circostanze (leggasi illustrazioni dei Promessi Sposi e le classiche celebrazioni in abiti storici).
No, niente a che vedere con la famosissima Corona Ferrea conservata nel Duomo di Monza e utilizzata per l'incoronazione dei Re d'Italia e degli imperatori del Sacro Romano Impero, ma qualcosa di molto più vanitoso, sebbene proveniente dalla stessa regione.
Spadini a cucchiaio e intarsiati
La corona lombarda, infatti, è un accessorio femminile utilizzato durante la storia italiana per adornare il capo, e dalla caratteristica foggia a ventaglio che formava un'aureola intorno al capo della ragazza che l'indossava, simile a quella delle Madonne.

Accessorio diffusissimo in Lombardia e facente a tutt'oggi parte del costume regionale delle zone del lecchese, del varesotto e della Brianza, fu per lungo tempo conosciuto solo in Italia come acconciatura popolare ed è proprio da lì che ne proviene il nome ufficiale di guazza che nel dialetto originario significava "intreccio". In altre zone, vista la sua diffusione territoriale, assume i nomi di raggiera brianzola, giron, speronada, sperada o coo d'argent.

La sua origine è avvolta nel mistero, nella leggenda e anche nelle supposizioni, si credo infatti che l'usanza provenga dalla Svizzera, probabilmente importata in Italia con i mercanti che commerciavano dai paesi d'oltralpe fino alle ricche città del nord ducato milanese.
Attraverso i walser provenienti dalla Val d'Aosta la corona è entrata nell'utilizzo collettivo lombardo per i vestiti della festa intorno al Seicento, rimanendoci fino agli inizi del Novecento, quando le particolarità e le fogge dei costumi regionali iniziarono ad essere piano piano appianate dalla moda in serie e dalla standardizzazione degli abiti, oltre che dal sempre più rapido cambio della foggia degli abiti, soppiantati da altri di fattura più mascolina.
Lucia Mondella guarda dalla finestra
by Eliseo Sala

È proprio la versione seicentesca che, grazie alla prosa immortale del Manzoni è giunta fino a noi in una famosa descrizione che senz'altro ricorderemo dai banchi di scuola, ve la riporto sperando di non suscitare troppi brutti ricordi =)
Lucia usciva in quel momento tutta attillata dalle mani della madre... I neri e giovanili capelli, spartiti sopra la fronte, con una bianca e sottile drizzatura. si avvolgevano dietro il capo in cerchi molteplici di trecce, trapassate da lunghi spilli d'argento, che si dividevano all' 'intorno, quasi a guisa de ' raggi d'un 'aureola, come ancora usano le contadine del Milanese.
Alessandro Manzoni, I promessi sposi, capitolo II


Foggia delle guazze
La raggiera, altro nome con cui veniva identificata in Italia, aveva una fattura molto particolare, era costituita da molti spilloni per capelli di lunghezza variabile tra i 10 e i 20cm disposti a ventaglio o a semicerchio; in alcune versioni, specialmente quelle italiane tradizionali e le più antiche, gli spilloni erano sistemati uno per volta nell'acconciatura, mentre in altre di fattura ottocentesca erano uniti tra loro tramite cordicelle o fili d'argento formando una struttura unica.
Quelli che noi chiamiamo semplicisticamente "spilloni" prendevano il nome di spadinn, ovvero spadini, se erano piatti, oppure cugiarett se terminavano a paletta concava. Il loro numero variava sia a seconda del della regione, nel costume tradizionale lecchese, durante il Settecento, se ne contavano da 24 a 27, mentre nel varesotto aumentavano da 30 a 40.
Con la successiva introduzione ottocentesca dell'accessorio anche in abiti non tradizionali, il numero di spadinn aumentò visibilmente fino a toccare la cinquantina.
Disegno esplicativo della
struttura della raggiera

(cliccare per ingrandire)
Oltre agli spadini normali, le donne portavano fino a sei spadini decorati nella parte più bassa della pettinatura, questi erano differenti dalla forma piatta o a cucchiaio degli altri, venivano ottenuti colando l'argento fuso o il metallo sugli ossi di seppia, notoriamente resistenti al calore, e risultavano decorati in maniera raffinata, i più ricchi, invece, li facevano cesellare direttamente dagli orafi, con un costo di molto superiore.

Il metallo con cui l'intera struttura era realizzata era argento nei casi più preziosi, ma anche ottone argentato o rame per chi non poteva permettersi di meglio. I più poveri adoperavano anche il legno, i più ricchi si facevano realizzare in oreficeria delle sperada d'oro.

Costume tradizionale lecchese
in una cartolina dei primi del
Novecento
Gli spilloni, che nelle fogge più preziose potevano essere sormontati da una perla o decorati e intarsiati, venivano infilzati tutt'intorno alla crocchia che la ragazza portava sul retro del capo, nella massa di capelli tirati che si aveva tutt'attorno, ecco il perché del caratteristico nome: una volta indossata, infatti, sembrava che dall'acconciatura della donna si formassero molti raggi costituiti dalla corona.
L'acconciatura non era ancora finita, la raggiera, infatti, oltre che dalla parte appena descritta era costituita anche da un ultimo spillone, più lungo, sistemato trasversalmente; questa parte della corona, chiamata spontone o guggione, andava infilzata direttamente all'interno dello chignon, trapassandolo come uno spiedo e assicurandolo per bene tramite due blocchi a forma di uovo detti olivelle, chugiar, oeuv o ball vale a dire olive, cucchiai, uova o palle, e finalmente l'intera impalcatura era conclusa.
Questa particolare usanza mi ricorda, seppur vagamente, la pettinaturanazionale coreana dove i capelli della giovane venivano intrecciati fino a formare una striscia lunga, poi con la treccia si formava una crocchia sulla nuca, infilzata con un lungo spillone decorato da un lato con smalti, inserti e pietre preziose.


Cultura della sperada
Nelle regioni brianzole, del lecchese e del varesotto la pettinatura con le guazze o con la sperada era uno status symbol; ogni ragazza sognava e costruiva nella sua mente la propria pettinatura con gli spadini un po' come certe bambine sognano l'abito del matrimonio [all'epoca l'abito del matrimonio non era diverso dal solito, si usava quello della festa, non esisteva un vestito apposta da mettersi una sola volta, che spreco!] e a volte rinunciavano all'acquisto di altri accessori o addirittura beni anche di prima necessità, risparmiando per comprarne un pezzettino ogni volta, rendendo l'insieme più ricco e bello. A noi, abituati ad avere tutto in abbondanza sembra strano, ma questo genere di mentalità era molto diffusa fino agli anni Settanta, quando le ragazze, fin dalla fanciullezza, iniziavano ad accantonare oggetti e biancheria da casa per formare il loro corredo. Con il progressivo decadimento che l'istituzione del matrimonio ha avuto nella società, anche quest'usanza è andata perdendosi.

Raffinata sperada in argento con spadini cesellati a mano
Il passaggio di una ragazza dall'infanzia all'età adulta era sancito, oltre che dalla maturazione fisica, leggasi menarca, proprio dalla grande concessione di non portare più le lunghe trecce sulle spalle, ma di poter raccogliere i capelli, ecco quindi perché la sperada aveva tanti significati importanti per loro, più del nostro moderno cellulare!
Una ragazza divenuta signorina, come si dice dalle mie parti, cioè arrivata alla pubertà, poteva raccogliersi i capelli ed era, quindi, ufficialmente maritabile e corteggiabile [non si maritavano ragazze non ancora sviluppate perché non potevano avere figli. Anche per i matrimoni di eredi al trono, principi e duchi combinati dalla culla si aspettava che entrambi gli sposi avessero raggiunto l'adolescenza per celebrare la cerimonia ufficiale nella quale erano proprio loro a pronunciare i voti e a cui seguiva la consumazione del matrimonio].
So che con la precoce età puberale odierna risulta difficile associare quest'idea del matrimonio alle bambine undicenni che giocano con le Barbie, ma bisogna tenere conto di due fattori:
  • Il primo era che una volta ci si sposava presto. Sedici anni era un'età appropriata, specialmente se ne si veniva da due di corteggiamento [Renzo e Lucia sono rimasti fidanzati una vita e mezza!].
    Anche quattordici era considerata appropriata, anche se per noi è pedofilia.
  • Il secondo era che l'età puberale per le ragazze, non influenzata né dalla società o dalla tv, né dallo stile di vita frenetico, era molto più avanti, quindi intorno ai quindici-sedici anni (cfr. L'amante del re di Bertrice Small dove Blaze, la maggiore, viene data in sposa quasi sedicenne, appena divenuta signorina ed egual cosa accade alle gemelle Bliss e Blythe) . 
Raggiera del 1840 eseguita da un argentiere di Milano,
composta da: 34 spadini a cucchiaio, 2 spilloni decorati e 2 "olivette".
Questa raggera è di proprietà di un componente del Gruppo Folk Bosino.

Era usanza in alcune regioni acquistare uno spontone alla Prima Comunione di una bambina (all'epoca si faceva intorno agli undici-dodici anni) e uno spadinn per ogni compleanno da allora fino al diciottesimo o al ventiquattresimo, ecco anche il perché del numero 24.
Una ragazza fidanzata riceveva inoltre il giorno delle nozze uno spadinn dal suo futuro marito per ogni anno d'età, andando ad integrare il piccolo gruzzolo realizzato dalla famiglia.
La sperada era anche fatta in modo da denotare sempre la condizione della fanciulla nella società, a seconda della foggia si indicava se era nubile, sposata, con figli, ecc.
Le donne sposate, per esempio, indossavano nel semicerchio di raggi uno spadinn differente dagli altri che denotava ufficialmente la sua condizione di coniugata. Il numero e la qualità di spadini presenti nell'elaborata acconciatura era un motivo di ostentazione da parte delle donne del paese a riprova dell'agiatezza della famiglia di appartenenza, della munificenza del marito e della considerazione in cui la spùsa era tenuta.


Indossare la raggiera
Quasi indispensabile, è da premettere, erano capelli sufficientemente lunghi da poter essere raccolti almeno in trecce. All'epoca, come ricorderemo dai post sulle acconciature, non era certo una stranezza avere una folta chioma che arrivasse fino alla schiena, oggi forse non tutte le lettrici possono vantarla.

L'elaborata acconciatura a sperada
di una donna sposata in abito tipico
del varesotto
I capelli dovevano essere precedentemente spazzolati con cura e, nel caso di capigliature ricce, lisciati con l'impiego del sapone e tirati tutti nei due lati, segnando una riga centrale dalla fronte alla nuca ben scriminata, poi si formavano due trecce, da un lato e dall'altro della testa,  che con perizia venivano arrotolate intorno alla base del capo, formando un cerchio o una crocchia, dopodiché con lo spontone erano bloccate e fissate al loro posto (non esistono mollette e forcine, badate bene!).
Fatto ciò gli spadinn erano infilzati nel cerchio delle trecce in modo che sporgessero appena intorno al capo, lo spontone, invece, doveva essere ben visibile ai lati del viso.

Il lavoro di messa su della sperada era molto lungo e complesso, le donne la sistemavano una con l'altra, tra suocere, nuore e cognate, da sole era un'opera impensabile, e infatti una sperada storta, disordinata o asimmetrica poteva significare che i rapporti tra le donne di casa non erano molto buoni.
L'acconciatura, inoltre, non era risistemata ogni giorno, ma solo una volta ogni tanto, le donne dormivano con tutta l'impalcatura su proprio come le geishe, che andavano dal parrucchiere a rimontare la struttura una volta al mese. Per mantenere la pettinatura venivano utilizzati degli appositi poggiatesta come cuscini che sostenessero il collo, ma sollevassero la testa.


Renzo confessa a Lucia il
rifiuto di Don Abbondio di
celebrare il loro matrimonio
Cosa c'entra, però, questa particolare usanza lombarda con un blog sull'epoca Vittoriana? Specialmente a fronte delle posizioni che ho preso riguardo l'approfondimento della storia italiana...
È da dire che questo particolare accessorio, che noi conosciamo solo dalle illustrazioni dei libri di scuola, ebbe una grande risonanza all'estero, specialmente in Inghilterra e in Germania, dove venne esportato con successo, uno dei pochi casi della storia.
Nell'Ottocento, infatti, quando cominciarono ad essere di gran moda i capelli raccolti a chignon, si cercarono molti modi per adornare la propria pettinatura e le donne non si lasciarono certo sfuggire la possibilità offerta dalla corona lombarda, che in Italia, invece, era usata già da de secoli, sebbene facesse parte del costume popolare e non certo gli outfit della nobiltà. Nell'arco di un decennio, intorno al 1860, la raggiera raggiunse addirittura la vetta della classifica dei VIP, essendo portata e ostentata con orgoglio da regine e imperatrici, oltre che dalle nobili di corte.
Una delle più importanti sponsor fu la Principessa Carlotta di Baviera, successivamente conosciuta come Imperatrice Carlotta, moglie dell'Imperatore Massimiliano del Messico, fratello di Franz, che indossa questo accessorio in uno dei suoi più famosi dipinti che la ritraggono e che diede molto impulso all'acquisizione dell'usanza nei paesi germanici del sud.
Carlotta, in particolare, che prima d'essere Imperatrice del Messico era una delle Principesse austriache della casa d'Asburgo, aveva ricevuto in dono una sperada impreziosita da perle e raffinati ceselli, dalle suddite lombarde, quale omaggio alla Sua Maestà, la principessa aveva sfoggiato spesso l'accessorio in circostanze ufficiali e in dipinti di rappresentanza, scatenando un vero e proprio must have nella corte viennese e, successivamente, prussiana e monacense.

Carlotta d'Asburgo,
Imperatrice del Messico, con
la sperada regalatale dalle
suddite lombarde
Molte delle antiche sperade realizzate prima del Novecento sono purtroppo scomparse con la Prima Guerra Mondiale, date come pegno alla patria per le esose guerre che avevano distrutto l'Italia del periodo.

Oggigiorno, ambito folkloristico a parte, le guazze sono rimaste ancora nella foggia della corona conferita a Miss Padania.
Simbolo dell'affermazione femminile in Brianza, è anche il logo di una associazione con fini femministi che porta proprio il nome di sperada e anche di un gruppo per il recupero delle tradizioni intitolato a Renzo&Lucia.


Link e fonti
Troverete parecchi link perché un po' sul web se ne parla, ma sempre con nomi e diciture differenti e quindi è difficile mettere insieme tutte le fonti di luoghi diversi, dove la chiamano chi ad un modo e chi all'altro. 
Il primo passo è scoprire tutte le nomenclature di quest'oggetto...
 
Wikipedia IT | Guazze
Brianzolitudine | Brianza Hope
Culture Popolari e Tradizioni della Lombardia | Abiti e ornamenti | La sperada
Museo Etnologico Monza e Brianza | La sperada, ornamento dell'acconciatura femminile
Gerenzano Forum | L'eleganza dei nonni e la sperada delle nonne
MilanoFree Forum | La sperada o raggiera nella tradizione lombarda
Gruppo Renzo&Lucia | La raggiera
Gruppo Folk Bosino | La raggera
Federazione italiana tradizioni popolari | Gruppo Renzo&Lucia
Italian Folk Federation | Le guazze di Lucia
Experiments in elegance | Mystery Headdress and Lombardi National Costume


Spero davvero che il post sia stato interessante, non so se si è notato, ma ciascun titoletto utilizza un nome differente dello stesso oggetto, ci tenevo a sottolineare che, mentre all'estero la chiamano banalmente corona lombarda, da noi ha molti altri nomi specifici della regione e della foggia, così come anche le sue componenti.

Ci risentiamo al più presto, un bacione grande





Mauser

23 settembre 2011

Il Samovar

Cari lettori,
di ritorno dal mio viaggio in Grecia e Turchia ho portato con me molti bei ricordi di quei luoghi esotici, delle loro usanze e tradizioni, a volte simili e a volte un po' meno alle nostre.
Illustrazione di un samovar
Una delle cose che mi ha molto colpito, specialmente in Turchia, è proprio vedere come coabitano insieme sia la cultura Occidentale che quella Mediorientale.
I turchi di Izmir, dove abbiamo fatto scalo, ci spiegava la nostra stupenda guida locale, sono persone tranquille per cui la serenità della giornata e dell'esistenza, aliena dalla frenesia della vita moderna, è ancora un valore da preservare, per questo quelli di Izmir non sopportano che gli abitanti di Ankara, zona notoriamente più fredda e meno mite di clima, vengano a svernare sulla loro costa egea, portando con sè la mentalità malpensante della capitale e il modo di prendere la vita, sempre di corsa.
Alle cinque di pomeriggio, mentre mi trovavo per strada, dal minareto un muezin si è messo a recitare la sua quotidiana litania, mentre un dromedario passeggiava placido lungo la strada, il nostro autobus proseguiva lentamente nella regione di Selgiuk e due uomini dalla pelle scura e i baffi neri sorbivano il loro tè sotto una tettoia ombreggiata, attingendo da un samovar posto su un trespolo sul balcone.

Il samovar è l'oggetto di cui voglio parlarvi oggi, per la nostra rubrica dedicata a quegli utensili ormai quasi scomparsi dalle nostre esistenze, ma che in passato erano quotdiani nella vita di chi poteva permetterseli.
Per parlare del samovar dobbiamo temporaneamente lasciare sia l'Inghilterra vittoriana, sia l'Ottocento e spostarci più indietro nel tempo e più verso Oriente, fino alle sconfinate steppe dell'Asia centrale, dove, si pensa, quest'oggetto nacque moltissimi secoli fa.



Origine del samovar
La Russia detiene ancora oggi il primato di utilizzo e ne rivendica con energia la maternità, ma molti storici mettono in dubbio la cosa, propendendo per credere che si tratti, invece, di un'invenzione delle grandi pianure centrali.

Indubbio è invece che sia russa la parola adoperata ancora oggi, samovar deriva infatti da due termini sam=solo e varit'=bollire. Unendoli insieme si ottiene la parola che conosciamo, col significato di bolle da solo, un bollitore automatico, insomma.

Girl with samovar
by Anatoly Korobkin
I sostenitori della tesi russa, cioè coloro che pensano che il samovar sia nato nel Paese degli zar, riconducono la sua nascita ad un altro oggetto, molto simile, chiamato sbitennik, adoperato per preparare una bevanda calda di nome sbiten a base di miele e spezie o erbe aromatiche, ideale per il rigido inverno. In origine, quando il tè era ancora una bevanda di lusso per la nobiltà boiara, era lo sbiten a farla da padrone e per un certo periodo, nel Settecento, le due bevande furono in competizione per guadagnarsi il diritto ad essere le più apprezzate. Ricordiamoci che il tè arrivò in Russia intorno agli anni Trenta del Seicento.

Lo sbitennik era un aggeggo simile ad una teiera, munito di zampe sulle quali poggiava per non disperdere il calore sulla superficie con cui era a contatto, e corredato di un tubo, la sua forma, effettivamente, è molto analoga a quella del samovar.
Ma come avvenne, allora, il passaggio dallo sbitennik al samovar? Si tratta semplicemente di un adattamento ad altra funzione dello stesso oggetto o c'è dietro qualcosa di diverso, un'evoluzione che si discosta dall'originale, sebbene porti ad un oggetto simile?
Nessuno sa dare una risposta a questo quesito, ma probabilmente, con il cambiare dei gusti, l'oggetto venen adattato (le modifiche sono quasi irrilevanti) per poter funzionare anche per il tè, probabilmente esistevano sbitennik, con altri nomi, per molte bevande calde di uso comune che si preparavano per infusione e questo lo lascia supporre il fatto che il samovar/sbitennik rimase per lungo tempo confinato nelle regioni più fredde del Paese, per esempio sui monti Urali o nel nord vicino alla Siberia.

Con il progresso industriale, i samovary, come molti altri oggetti, iniziarono ad essere prodotti in serie negli stabilimenti sui monti Urali. A iniziare l'attività fu Nikita Demidov che nel 1701 si trasferì nella regione dando l'avvio alla prima industria. La produzione non era fatta a macchina, ma a mano [difficile pensare ad una produzione in serie fatta a mano, vero? Eppure fino al Novecento fu così per TUTTE le cose] e si dice risalga a questo periodo la trasformazione del samovar da semplice teiera con le zampe alle forme più moderni a cui siamo avvezzi, l'ispirazione proviene proveniva con ragionevole probabilità dai distillatori realizzati nella stessa zona in materiale di rame.

A renderlo però l'oggetto diffuso, amato ed esportato in tutta l'Europa fu Fedor Lisityn, armaiolo che si dilettava nella realizzazione di questi oggetti nel tempo libero, ma furono due fratelli, Ivan e Nazar Lisityn, sui figli, che aprirono nel 1778 la prima fabbrica presso Tula, ancora oggi conosciuta come la città dei samovary.
Samovar sferico decorato a mano con teiera
abbinata e vassoio da portata
Nel 1830 il  samovar cominciò ad essere prodotto industrialmente partendo a Tula, dove era nato il suo successo, via via per tutto il mondo. La moda lo esportò anche lontano dalla regione della Moscova, arrivano fino alla mitteleuropea San Pietroburgo e contagiando le colonne portanti della letteratura russa, Pushkin, , Tolstoj, Gogol, Dostoevskij e Cechov lo nominarono spesso nei loro romanzi, da Guerra e Pace ai Fratelli Karamazov, ecc.
L'esportazione del samovar avvenne verso Occidente, ma anche verso Meridione, dove i paesi arabi dell'Impero Ottomano, dell'Impero Persiano e delle regioni di confine dell'India lo adottarono a loro volta, riconoscendone l'utilità e la praticità rispetto ai metodi tradizionali.

L'evoluzione stilistica portò lentamente a sostituire carbone e carbonella, fonti originarie del calore per scaldare l'acqua, con olio, gas e, in seguito, elettricità, oltre a far assumere al samovar molte forme, di queste le più riuscite e famose rimangono:
  • A cilindro
  • A botte
  • A sfera
  • A cratere
Quest'ultima, in particolare, viene considerata la più raffinata, ispirata alle forme dei vasi dell'antica Grecia dalla sagoma a imbuto, il fondo concavo, le pareti ornate di manici e un appoggio a piantana o a zampe.

L'impiego più prestigioso del samovar, che lo rese ancor più noto ai russi, fu la sua introduzione nei vagoni di lusso della ferrovia Transiberiana che collega la capitale Mosca con la città di Vladivostok, sulla costa pacifica.
9000 km di rotaie, 7 giorni di viaggio per completare la tratta, 1000 fermate da oltrepassare, 7 fusi orari da attraversare per 10 anni di lavoro serrato di prigionieri e condannati, molti dei quali morirono per la fatica, il freddo e le privazioni, con la spaventosa media di posa di 740km annui di ferrovia.

Sebbene a noi possa apparire difficile, consumatori medio-bassi di tè e molto più di bevande sintetiche gassate, il samovar rimase in uso continuato in Russia almeno fino agli anni Ottanta del Novecento, quando, in occasione dei Giochi Olimpici, oltre a divenire il souvenir perfetto, fu anche eletto a simbolo della Russia insieme al classico colbacco di pelliccia nera tipico dei cosacchi dello zar e poi anche dell'esercito dell'Armata Rossa.
At the Samovar
by Aleksandr Ustinovich
Ancora oggi nelle zone meno industrializzate e fondate su un'economia agricola, viene considerato il regalo di nozze perfetto.

Anche in Inghilterra, sulla moda russa, verso la seconda metà dell'Ottocento possiamo incontrare molti samovar. Certo, gli inglesi tradizionalisti difficilmente avrebbe abbandonato la loro consuetudine della teiera, che abbiamo descritto nel post dedicato all'usanza del tè pomeridiano, per loro sacra quanto la yumecha giapponese, la cerimonia del tè, ma quando c'era da preparare la bevanda tipica victorian per quaranta persone, forse un aiutino non sarebbe stato sgradito, piuttosto che mettere a bollire una dozzina di teiere, non credete? Quindi non stupitevi se, di nascosto, in cucina il samovar russo era largamente impiegato, oppure se i pezzi più pregiati venivano sistemati e adoperati in salotto come pezzi d'arte, più come vasi da esposizione che come utensili realmente utilizzabili.


Il samovar oggi
A parte la Russia più arretrata, dove le tradizioni moderne non sono ancora arrivate [e forse è meglio che non arrivino] e dove il tè lo si prepara ancora come nell'Ottocento, il Paese che tampina per il primato d'impiego è l'Iran, dove il samovar è all'opera da circa due secoli.
Certo oggi si usano quelli elettrici, le cose cambiano e il mondo gira per tutti, anche per i più integralisti, ma la dedizione della cerimonia del tè iraniana, o persiana se preferite la versione pre-komehinista, è altrettanto accurata come quelle più note inglesi e giapponesi.
In Iran il samovar viene chiamato samavar e con la sua arte squisita e l'argento tedesco rappresenta una delle forme di artigianato tipico del Paese. Assolutamente da vedere.
Oltre l'Iran, il samavar è diffuso nei Paesi del Medio Oriente come la Turchia dove sono stata io e dove il tè caldo viene sorbito anche con 48°C! Tanto di cappello... no, è meglio se il cappello lo tengo in testa, col sole e la calura che ho beccato, toglierlo equivale a prendere una di quelle strinate da ricordarsi tutta la vita =)

Samovar del Museo dei Samovar
di Tula (Russia)
Sebbene i samovar originali fossero a carbone, carbonella o olio e venissero usati all'interno, al giorno d'oggi la pratica è vietata dalla legge a causa dei fumi tossici che potrebbero sprigionarsi, così come i pericoli di incendio, gli unici consentiti in ambienti chiusi sono quelli installati a parete e collegati direttamente all'impianto idraulico, questi tuttavia assomigliano più ai boiler per scaldare l'acqua della doccia, piuttosto che agli originali oggetti portatili che erano...


Usare il samovar
Ogni Paese ha le sue regole della buona ospitalità, in Russia si dice che presentare ai propri invitati un samovar pulito e lustro sia un'indice importante nella scala di valutazione ed è anche un segno di riguardo nei confronti degli ospiti.

Il primo passo per iniziare a farlo funzionare è riempire la caldaia con dell'acqua, per comodità il samovar viene posto sopra un vassoio, in questo modo le eventuali gocce che dovessero cadere, piuttosto che la cenere del combustibile, non andrebbero a rovinare il tavolo o la tovaglia.
Passiamo ora al combustibile: in assenza del combustibile solido che viene usato spesso anche nei fornelletti da campeggio, si può adoperare la carbonella del barbeque piuttosto che pigne secche, che conferiscono un aroma resinoso molto particolare, quest'usanza è diffusa principalmente in Russia, dove si ha abbondanza di questo materiale, mentre altrove scarseggia (ad esempio in Medio Oriente), è sconsigliabile usare direttamente il legno o il carbone trattato che si trova in commercio.
Bene, ora diamo inizio alla combustione!
Carta o ramoscelli andranno benissimo per questa funzione, anche i fiammiferi, sebbene sia consigliabile impiegare qualcosa che duri leggermente di più senza rimetterci le dita della mano.
Il fuoco così creato va mantenuto se si vuole scaldare l'acqua continuativamente, in media si impiegano 20 minuti per una caldaia da 4 litri, un notevole risparmio di tempo rispetto all'impiego della teiera normale.

Stanza arredata in maniera tradizionale con
samovar, dolci tipici e oggetti tipici
A questo punto, sfruttando il rubinetto posto alla base, è possibile spillare l'acqua in ebollizione e usarla per mettere il tè in infusione.
Per coloro che l'avessero dimenticato, ricordo che il tè all'inglese non viene preparato direttamente nella teiera in cui bolle l'acqua, loro usano un bollitore e poi ne travasano il contenuto nella teiera di ceramica, dove verrà aggiunta la miscela di foglie.
Tutto chiaro?


Sitografia e link utili
Wikipedia - Samovar
Insieme a Tè | Samovar
Una stanza tutta per il Tè | Il samovar
MasterRussian | Russian Culture | Samovar
Cultura Russa | Samovar
The Tula Museum of Samovar
Samovaroff Museum about private collection of Mikhail Borschev !!!CONSIGLIATO!!!
Samovarmuseum

Spero che l'approfondimento sia stato interessante,
ci rivediamo presto,
un bacio a tutti





Mauser

20 settembre 2011

Diario di viaggio: Grecia e Turchia

Cari lettori,
come vi avevo accennato nel post di saluti, sono partita (e ormai anche tornata) per un viaggettino con amici nella culla della civiltà.
La genesi di questa vacanza era già da sé tutto un programma, io non ero così entusiasta di partire perché con la chiusura estiva appena conclusa c'era molto lavoro arretrato, ma alla fine, complice un itinerario davvero irresistibile, mi sono lasciata tentare.
La scelta del mezzo di trasposto, la nave, è stata forse la più opinabile del viaggio, volendo visitare molte zone della Grecia, dalle isole ad Atene, abbiamo preferito farlo in crociera, approfittando del fatto che i continui spostamenti ci dessero la possibilità di visitare molti luoghi senza rimanere necessariamente fossilizzati su un'isoletta come ad una mia collega che è rimasta inchiodata a Mykonos per una settimana (bellissimo, per carità, ma non ero giù per una vacanza balneare).
Panorama tipico dell'isola di Santorini, Oia
La crociera, come dicevo, non mi ha entusiasmata all'inverosimile, sarà che la nave era vecchiotta, che gli spazi alla fine erano ridotti rispetto ad altre imbarcazioni più moderni, sarà stata quell'aura anni Novanta che ammantava l'arredamento o il vorrei ma non posso dei servizi offerti (mini palestra, mini centro benessere, mini tutto), ma quella parte del viaggio mi ha deluso molto e l'unico motivo per cui accetto che ci siano persone che stravedono per la crociera, credo sia perché ce ne sono di ben altro livello. Bisogna tenere conto, inoltre, che io non sono né un animale mondano né una lucertola che passerebbe le giornate al sole, quindi i giorni di navigazione sono stati un patimento, perché in fondo in quella nave non c'era davvero niente da fare per distrarsi, invece la mia migliore amica, che è una persona mondanissima, la classica ragazza che conquista almeno tre ragazzi per ogni posto che visita, pretendeva ogni sera visita in discoteca e tempo da trascorrere in compagnia di due ragazzi conosciuti in viaggio, da me soprannominati La Cozza e La Patella, giusto per dirvi che tipi fossero, un grado di accollamento tale da essere decisamente inopportuno e fastidioso (due maschi di vent'anni al corso di decoupage sono stati la barzelletta della nave per tutto il tragitto di ritorno).

Ma parliamo d'altro, se la crociera in sé non è stata portentosa, l'itinerario merita un 10+ Francesco Amadori cum laude perché abbiamo toccato città e visto luoghi bellissimi, affascinanti, ricchi di storia e di storie, di meraviglie architettoniche, ingegneristiche, trovate geniali, studi meravigliosi.
Partendo da Roma Civitavecchia ci siamo diretti nell'Egeo, in Turchia e abbiamo visitato isole e città di cui ora mi piacerebbe parlare, sperando che questa mia intenzione di allontanarmi un minimo dal tema del blog non offenda nessuno =)

Taormina

Palazzo Corvaja
È stata la nostra prima fortunata meta, 40°C di sole a strapiombo e tour in pullman fino alla cima della collina, dove una guida francese ci ha fatto fare il giro della città. La guida è stata piuttosto indisponente, innanzi tutto parlava con una "r" moscia francese tremenda, a volte poi non le venivano le parole ed ha completamente ceffato il mito riguardante il Minotauro e Teseo, confondendosi di continuo con mia grande esasperazione. Per di più eravamo accomunati ad un gruppo di francesi e quindi ogni spiegazione andava ripetuta de volte, col caldo e l'umidità tremenda, quindi è stato terribile, dove si poteva si cercava l'ombra, ma non sempre era disponibile...
La città di Taormina l'ho trovata deliziosa, piena di fiori e di oggetti tipici dell'artigianato locale abbinati a grandi firme della moda, Chanel, Ferragamo, Versace... è curioso vedere negozi di souvenir prettamente turistici affianco alle boutique di questi giganti delle passerelle e abbinare i prezzi è ugualmente divertente. Mi ha molto affascinata il Palazzo del Parlamento, coi suoi molti stili in sé, Bizantino, Normanno e Moresco sapientemente abbinati insieme dagli architetti del passato, e ugualmente gratificante, sebbene estenuante a causa del caldo torrido, è stata la visita al teatro greco, ancora ingombro degli arredi scenici per gli spettacoli del ciclo estivo, altrettanto affascinante è stata la vista sulla baia che si poteva godere dall'altura e la superlativa granita siciliana all'arancia che ho avuto la fortuna di comprare, della quale mi ricorderò tutta la vita, tornerei in Sicilia appositamente per mangiarne una e vi assicuro che non è uno scherzo.

Teatro greco di Taormina
Sulla strada del ritorno, poi, abbiamo anche incrociato un matrimonio di fronte ad una delle chiese della città, sposo e sposa dovevano ancora arrivare, ma molti invitati in abito scuro erano già in attesa nella calura del tardo pomeriggio di fronte all'ingresso, le donne, soprattutto, erano davvero elegantissime, una cosa che dalle mie parti invece si tende a mostrare meno in favore di una maggiore praticità, e indossavano tacchi a spillo vertiginosi con i quali sembravano camminare senza problemi nella strada a pietre  del centro storico: queste donne hanno davvero tutto il mio rispetto considerando che non ne sarei assolutamente capace.


Efeso
Dopo un intero giorno di navigazione nell'Egeo siamo approdati sulle coste turche, dove siamo sbarcati e scortati da una bravissima guida locale che parlava un italiano eccellente ci siamo diretti verso gli scavi archeologici di Efeso, leggermente all'interno (25km dal mare).
Agorà statale e senato

La guida ci ha spiegato con passione un po' della filosofia e della cultura turca, la loro scarsa affinità con il mondo arabo circostante e la passione per l'umanesimo e lo studio che è diventata il simbolo stesso della nazione dalla sua indipendenza del 1923 grazie ad Ataturk, il padre della patria locale.
Mi ha molto affascinata questa cultura così particolare e differente, l'uso dell'alfabeto latino al posto dei caratteri arabi e il desiderio di conoscenza che trasuda già nelle città di provincia, come Izmir, un porto come la mia Genova, ma molto più popoloso (4.000.000 di abitanti) e caratterizzata da 7 università, un autentico primato! Senza contare lo stupore, forse dettato dall'ignoranza, di veder circolare le donne a capo scoperto e senza essere bardate con i veli e i lunghi kaftani scuri che alcune portano anche in Italia.
Particolari dei capitelli della biblioteca di Celso, Efeso
Essendo rimasta così affascinata sto progettando di fare un viaggio di ritorno in quel Paese, informandomi ho scoperto che ci sono moltissimi luoghi che mi piacerebbe visitare, dalla poliedrica Istanbul alla stessa Ankara dai camini delle fate alle chiese rupestri dell'altopiano dell'Anatolia, per non parlare dellla regione di Pamukkale con le sue bianchissime cascate calcaree.
Il viaggio in Turchia ha sfrondato molti pregiudizi che avevo dettati dall'ignoranza, un errore che spero i non ripetere in futuro per essere una persona più giusta e obiettiva nei confronti delle culture altrui che non si conoscono o si conoscono poco e si tende troppo spesso ad accomunare con altre che ci sono vicino per una questione di comodità, un po' come se dicessero che Italia, Francia e Germania alla fine sono tutte la stessa minestra, ma doooove!!!
Tornando all'escursione, la gita ad Efeso è stata quella che ho preferito, la magnificenza di questi scavi, la bellezza dei templi di Domiziano e Adriano, la fontana di Traiano e la biblioteca di Celso mi hanno colpita moltissimo, specialmente con i loro ricchissimi fregi scolpiti nella pietra con perizia e duro lavoro, il sole e la temperatura mi hanno messa a dura prova, ma un briciolo di sacrificio è stato ripagato con uno spettacolo veramente magnifico.
Particolare del Tempio di Adriano, Efeso
All'uscita poi abbiamo fatto la conoscenza con il mondo del commercio turco, la loro tattica di vendita, i loro modi di attirare clienti, gli sconti e gli oggettini caratteristici locali, come gli occhi portafortuna, oppure le icone della Casa di Maria, poco distante, e ancora le splendide pashmine con disegni ottomani che si possono acquistare, per non parlare dei lokum, i dolcetti tipici locali. Contrattare il prezzo e battibeccare con i venditori è uno sport che ai genovesi piace, perchè chi hanno di fronte è qualcuno che ha la loro stessa mentalità per quanto riguarda commercio e denaro e questo è stato gratificante, un po' meno la signora del gruppo che ha domandato alla guida se l'Impero Ottomano si chiamava così perché faceva razzie in tutto il Mediterraneo (8 mani... che vergogna), è stato umiliante sapere che nel nostro Bel Paese che si vanta di arte e cultura ci sono anche esempi di una tale ostentata ignoranza, come diceva la mia prof di Lettere, quella persona ha perso un'altra buona occasione per tacere.


Santorini
Dopo Efeso ci siamo diretti a Santorini, la famosa isola di origine vulcanica simbolo della distruzione dei grandi giganti di lava e che si ritiene sia stata la causa della rovina dell'ancor più famosa Civiltà di Atlantide su cui sono fioccate le leggende nel corso dei secoli.
Santorini è stata una visita davvero suggestiva, molto diversa da Efeso, ma ugualmente bella, scenografica, panoramica e rustica al punto giusto, ma ben tenuta al punto da non apparire leziosa come invece sembra Mykonos.
Panorama dell'isola di Santorini dalla Thera
Le bellezze di Santorini stanno tutte nel palmo di una mano, la città è piccina e raccolta, decorata coi colori greci del bianco e del celste intenso, adornata di fiori e di piante succulente, di buganvillea, di gatti e di centinaia di asini che accompagnano i turisti nella lunga salita per la ripida strada che dal mare porta al centro abitato.La parte meno turistica è più abbandonata e dimenticata, ma ugualmente suggestiva con i suoi cortili incolti, le sue vecchie moto abbandonate e i cancelli di legno scrostati.
Comprare a Santorini è un piacere per il turista, i negozianti sono cortesi e disponibili, ti insegnano parole greche mentre compilano gli scontrini, usano l'Euro senza problemi di cambio (ma quello anche in Turchia, dove sono commercianti per natura) e sorridono in quel modo specialissimo, con le rughe che si arricciano intorno agli occhi, segnate dall'abbronzatura.
Purtroppo la scarsità di tempo non ci ha permesso di visitare a dovere né la Oia né la Thera (si pronunciano Ia e Firà) e neppure gli scavi archeologici, ma solo di fare un giro per il centro storico, che è stato comunque favoloso. Consiglio caldamente a tutti di visitare questa pittoresca isoletta greca e di godersela appieno.


Mykonos
Tipica chiesetta greca con campanile a vela
e tramonto alle spalle
Forse meno suggestiva di Santorini per la sua natura eccessivamente leziosa, eppure disordinata, sembra un po' l'Ibiza dell'Egeo, confusionaria, eppure affettata, dove nelle stradine laterali sporche e disordinate si possono trovare i negozi di Hermés e di Valentino, dove le calamite costano 2,50€ e hanno permesso di costruire un immenso parcheggio proprio dietro ai cinque mulini a vento che sono il simbolo del luogo, così i turisti odiano da morire l'autorità locale per non aver stabilito un piano regolatore adeguato anche per debellare gli onnipresenti cavi della luce o del telefono che sono tirati per tutto il cielo della città e rimangono immancabilmente davanti all'oggetto che si sta cercando di fotografare con tanto impegno.
La parte migliore di Mykonos è la spiaggetta di acqua cristallina dove ci si può rilassare e anche le crepes alla nutella sono un'ottimo incentivo alla visita (sebbene non altrettanto lo sia il prezzo), ma temo che la maleducazione dei locali negozianti sia un deterrente fortissimo, visto che quando si entra nei locali ti guardano e trattano malissimo come se stessi andando lì a disturbarli e non fossi alla loro altezza.
Mykonos, a differenza di Santorini, è pervasa da una rusticità fasulla di stampo provenzale che sa di falso ad ogni angolo, ma non per questo è meno graziosa nei ristorantini locali con sedie celesti e tovaglie a quadretti rossi. Merita comunque una visita, ma se volete dei souvenir andate a prenderli da un'altra parte, li hanno anche ad Atene, fidatevi.

I mulini a vento col tetto di paglia, simbolo di Mykonos


Atene
Ed arriviamo finalmente alla culla della più grande civiltà della storia, patria di poeti, filosofi e matematici, di uomini grandi che hanno fatto grande la Storia, il luogo dove sono nate filosofia e democrazia.

Sbarcati al Pireo di prima mattina, una solerte guida paro paro a mia zia ci ha accompagnati al pullman e ci ha parlato dell Grande Atene di oggi, dai due porticcioli per barche private, Pascialiman e Turcoliman, al grande porto del Pireo sorto dopo che venne trasferito dal vecchio Fallero più di duemila anni fa.
Visitare finalmente la città che sognavo da così tanto tempo, toccare con mano le cose di cui fino ad oggi avevo solo sentito parlare in termini assai contrari è stato emozionante, ricco di suggestione.

Euristeo con colonnato delle Cariatidi,
Acropoli di Atene
Con rinnovato interesse ci siamo dati alla scalata della vetta dell'Acropoli, rischiando più volte la vita a causa della bellissima strada di accesso a gradoni lastricata in marmo, scivolosissima come se ci avessero passato il borotalco e causa di incidenti di sorta e cadute di vario genere tra i membri del gruppo.
La cosa più buffa è che mentre salivo, al posto che pensare ad antichi filosofi del mondo ellenistico e capannelli di politici della città che la politica l'ha inventata, mi sono figurata la sorella di mia nonna che, con panno alla mano, andava a lucidare i giganteschi blocchi marmorei con il borotalco, lasciandoli come specchi e con necessità di ramponi per arrivare sani e salvi alla vetta.

Se all'Acropoli vi aspettate di veder fiorire templi e statue, forse rimarrete un po' delusi perché il materiale che si può vedere è veramente pochissimo, alla fine ci sono solo il Partenone, l'Euristeo e qualche capitello sbreccato in terra e per quanto i primi due siano fascinosissimi e bellissimi, sono comunque solo due, non si può entrare dentro le costruzioni in perenne restauro e sormontate da impalcature e gru e per fotografarli bisogna combattere con altri milioni di turisti in visita, molti dei quali non trovano posto migliore dove fermarsi se non proprio davanti all'obiettivo della vostra fotocamera.
Insomma, si tratta di qualcosa di molto diverso dai Fori romani che si vedono nella nostra capitale, dove ad ogni angolo c'è uno scavo, un sarcofago, una fontana.

Dalla collina dell'Acropoli si domina tutta la città dal mare alle colline, 5.000.000 di abitanti per un'area vastissima, rumorosa, caotica e inquinatissima che sa di sfatto e trasandato, di cresciuto troppo in fretta e dove l'anima storica della città e seppellita sotto fili della luce e muri scrostati, la parte originaria ormai risiede solo al piccolo quartiere della Plaka, dove però c'è invaso di negozi di ricordini e di altri turisti assetati di souvenir.

Il Partenone, simbolo della Grecia Ellenistica e dedicato alla dea vergine Atena
parthenos = vergine
Per un approfondimento maggiore, il nuovissimo Museo dell'Acropoli forse è quel che fa per voi, ma considerando che i due terzi dei reperti sono ancora al British Museum di Londra, col quale le autorità locali portano avanti un'efferata battaglia legale per il possesso di pezzi di marmo, statue e ritrovamenti, potrebbe non essere una buonissima idea andarci, almeno se volete mantenere integro il vostro rispetto per gli inglesi, che in passato, oltre che raffinati, avevano anche la mano lunga e non si sono certo comportati meglio dei saccheggiatori tedeschi della splendida città di Pergamo.

Dunque perché andare in questa città, se alla fine può deludere le nostre aspettative?
Atene merita sempre una visita, perché è Atene, perché è immensa e grandiosa, perché lì è nata la cultura occidentale [cito Percy Jackson] e anche se la delusione esiste, pensate comunque che, quel poco rimasto, è in piedi da duemilcinquecento anni, ha visto guerre e distruzioni perpetrate, dalla battaglia di Salamina all'invasione persiana al Regime dei Colonnelli, mica pizza e fichi, eh! I nostri palazzi moderni non ne durano venticinque, di anni... senza contare il livello culturale a cui erano arrivati, nell'Antica Grecia avevano una mappa della città dove erano segnate tutte le zone sismiche e si attenevano rigidamente a quegli scritti, noi uomini moderni siamo subito andati a costruirci sopra, tanto abbiamo le costruzioni anti sismiche... e infatti all'ultimo terremoto sono venute giù come castelli di sabbia.

I mio consiglio, ormai rientrata, è sicuramente di andare a fare questo giro turistico, impescindibile per gli appassionati di storia, la Turchia merita un approfondimento maggiore per via della sua complessità culturale, per il territorio vastissimo e la sua storia originale, viaggio che mi auguro di poter intraprendere in futuro, mentre la Grecia riserva molte sorprese anche a chi l'ha già vista molte volte.

Vi lascio un video che ho girato a Mykonos mentre mi preparavano una saporita crepes alla Nutella.
La qualità è pessima, ma vi assicuro che valeva la pena mangiare quel dolce!


Anche il resto delle foto l'ho scattate io, quindi spero perdonerete la scarsa qualità...

Con molto affetto,
ci rivedremo a breve per qualche ulteriore approfondimento, questa volta ritornando alla natura storica del blog.





Mauser

17 settembre 2011

Il balletto romantico e genesi della danza classica

Se la danza è una delle più antiche espressioni artistiche dell'uomo, la danza come spettacolo teatrale d'intrattenimento ha le sue origini negli ultimi scorci del Medioevo italiano e del primo Rinascimento francese,  in quel periodo infatti cominciò a venire meno l'ostentazione militare come unico modo di fare sfoggio di potere, ma l'arte e la cultura, piuttosto che il gusto del bello cominciarono ad imporsi come nuovo metro di valutazione dei potentati dell'epoca che iniziarono a circondarsi di oggetti artisticamente raffinati e preziosi per dare lustro alla propria posizione e alla propria casa. Naturalmente, quale miglior soprammobile di uno in carne ed ossa?
Una scena de Il lago dei cignii
llustrazione dal 3° vol.
Anastasia Club
by Chiho Saito
Musica e teatro tornarono, come ai tempi del classicismo, ad essere al centro di apprezzamento, studio ed estatica ammirazione, con conseguente accrescimento del prestigio delle arti correlati, tra le quale la danza è sicuramente la parente più stretta.
Il ballo come piccolo spettacolo teatrale d'intrattenimento nella moltitudine di grandiose feste che si tenevano nei palazzi nobiliari, italiani prima e francesi poi, era una forma di ostentazione di ricchezza e grandezza artistica come un bel quadro, una stanza preziosamente decorata, un tappeto e uno stuolo di abili cortigiane.
Era appena nato il balletto classico, siamo nel 1513 e Guglielmo di Castiglione spiegherà approfonditamente nel suo Il Cortegiano la progressiva differenziazione del ballo dalla tipica danza come una forma artistica teatrale.
Naturalmente si era ancora nella fase, per così dire, di gestazione del balletto vero e proprio che non possedeva i canoni tipici del ballo moderno che conosciamo, come il tutù, la punta o la trama melodrammatica, tutti di origine ottocentesca, ma le basi erano state poste e il nome balletto era ormai stato coniato nella corte sforzesca all'inizio del Cinquecento in occasione delle nozze di Gian Galeazzo Maria Sforza e Isabella d'Aragona.

Oltre alla base stilistica del ballo, un altro momento importante per la sua connotazione nel senso moderno fu quando questo tipo di teatralità si affrancò definitivamente dal canto.
All'inizio, infatti, gli artisti, come gli scienziati, erano polivalenti e sapevano cantare, ballare, suonare e recitare, sarà nel Seicento che canto e danza separeranno le loro strade, dando vita a due forme di teatro diverso: oltre al già citato balletto, anche l'opera lirica.


L'origine e il Rinascimento
Il primo balletto che può essere considerato tale venne rappresentato nel 1581 in Francia per Caterina de' Medici e sceneggiato da Baldassare di Belgioioso per una durata complessiva di cinque ore e mezza e completo anche di libretto per far sì che il pubblico comprendesse appieno la trama.

Sempre nel Seicento nasceranno le prime accademie di danza e Cesare Negri pubblicherà nel 1602 una raccolta di balli e posizioni dove sono contenute anche le basi che ancora oggi formano il piedistallo culturale della danza classica, a cominciare dalla cinque posizioni e i piedi in fuori.

Il balletto suscitò anche l'ammirazione e il lavoro di importanti personaggi dell'arte, come il Borromini o il Bernini, che oltre a progettare cupole ed edifici si occupavano anche dell'allestimento scenografico nella Roma papale.
Siamo comunque ancora lontani dai nostri standard e lo rimarremo almeno altri due secoli.


Il balletto romantico ottocentesco

Carlotta Grisi interpreta
Giselle
In balletto classico nell'accezione in cui lo intendiamo modernamente, infatti, è un'invenzione ottocentesca, era conosciuto in origine col nome di balletto romantico, la definizione di balletto classico venne data solo più tardi in contrapposizione con la danza tradizionale, che si rifaceva alle melodie e movenze popolari, e alla danza moderna, che invece stravolgeva quasi completamente i canoni in vigore fino ad allora per introdurre un modo di ballare molto diverso sia dal punto di vista della tecnica che della coreografia (anni Venti del Novecento). Insomma, il balletto classico dotato di tutte le componenti a cui siamo abituati è diventato un pezzo d'antiquariato senza essere neppure tanto vecchio, questo è principalmente dovuto alle sue fermissime regole di posa e di esecuzione, la disciplina, a quanto pare, non è cosa moderna.

Il balletto classico, inoltre, nonostante sia il fiore all'occhiello della cultura artistica russa, viene considerato una delle grandi glorie italiane, furono infatti provenienti dal nostro Bel Paese le prime esecutrici della nuova tecnica di danza che nell'Ottocento si impose sui palcoscenici più prestigiosi, nel 1832, infatti, a Parigi, le platee andarono in visibilio per le sognanti, delicate evoluzioni di Maria Taglioni che si esibiva nella Sylphide, opera tragica e appassionante in pieno stile romantico ottocentesco [dove un amore, se non era tragico, allora non era amore vero].
La Sylphide è considerata una pietra miliare del balletto perché in quell particolare rappresentazione erano comparse per la prima volta due importanti innovazioni alle quali forse non sempre pensiamo, ma che sono un po' il simbolo della danza classica: una fu il tutù, con il suo aderente corpetto e corto gonnellino di vaporoso tulle che sarebbe diventato l'emblema delle ballerine classiche, ad essere onesti il corto tutù non era tanto corto, secondo le concessioni puritane dell'epoca, così come le gonne delle popolane, raggiungeva almeno le ginocchia: il dogma di non mostrare le ginocchia sarà debellato solo negli anni Sessanta. Del Novecento. Anche il corpino era diverso, un vero e proprio corsetto e riccamente decorato con paillette e passamaneria, la prima ballerina era a tutti gli effetti una principessa, Carlotta Grisi sfoggiò nella sua Giselle una preziosa cintura in vita e mazzolini di fiori appuntati al petto e sulla gonna.
La seconda invenzione del balletto romantico fu la punta, quello speciale accorgimento applicato alle scarpette per consentire agli artisti di camminare e volteggiare sulle, appunto, punte dei piedi. Le punte sono state e sono tutt'ora il sogno di moltissime bambine.
Maria Taglioni, la prima ballerina modernanella Sylphide
In particolare alcuni esperti dell'educazioni e insegnanti di danza hanno aspramente criticato la mania dei genitori di mandare i bambini a fare danza moderna, per la quale occorre una consapevolezza del proprio corpo e della propria espressività superiore a quella sviluppata dai bambini al di sotto dei dieci-undici anni e, comunque, in età prepuberale. La sensualità del corpo e del movimento, sostiene una nota insegnante americana, è qualcosa di estraneo ad un bambino che non ha ancora sviluppato le caratteristiche tipiche della sessualità, che arriveranno solo con lo sviluppo, in questo la danza classica aiuta i soggetti ad acquisire padronanza della grazia e dei movimenti, fornendo le basi per il controllo delproprio corpo e rendendo gli allievi capaci di gestire ogni muscolo, non altrettanto si può dire della danza moderna, che, invece, da quel punto di vista è più liberale e, dal punto di vista psicologico, può inclinare erroneamente la psicologia dei bambini ben prima che sappiano cosa rappresentano nella vita i movimenti da loro riprodotti.
Non so se trovarmi d'accordo con quanto affermano, sono negata in ogni tipo di danza e sapendo questo i miei genitori non mi hanno umiliata all'inverosimile costringendomi a mettere tutù e punte, però riflettendo sulla mia stessa infanzia dubito che un bambino di otto anni capisca il concetto di corteggiamento che sta dietro un ballo come il tango, la milonga, piuttosto che altri, da quel punto di vista la danza classica, che all'inizio non è altro che disciplina, forse rappresenta un traguardo più comprensibile per la mente, almeno per me lo sarebbe stato.


Evoluzione della figura della ballerina
L'evoluzione della ballerina classica nella creatura a cui nota inizierà nel Settecento, quando tenderà ad assumere sempre più caratteristiche e movenze dei suoi personaggi, andando a sviluppare una figura flessuosa e longilinea, eterea e impalpabile a differenza delle cantanti liriche che invece erano donne pulsanti, vive, spesso dalla figura più imponente e che trasmettevano con la loro impareggiabile voce l'emozione, lo struggimento, i sentimenti umani.
La ballerina che si andava creando cominciò a vestire con abiti sempre più leggeri, tulle trasparenti e corpetti candidi, andando a formare il tutù visto poc'anzi, mentre le movenze delicate di cigni e ninfe e redivive ragazze-bambole, naturalmente parlo di Coppelia, saranno morbide, gentili e il loro passo non certo la "camminata alla Jurassic Park", per dirla come n Miss Detective; ecco quindi che per rendere con sempre maggiore efficacia l'idea di essere un elemento libero come l'aria e fluttuante, anche le ballerine classiche inizieranno ad impegnarsi per staccarsi dal suolo il più possibile, fino a rimanervi ancorate solo con le punte dei piedi, come quando siamo al mare e immergendoci nell'acqua rimaniamo sospesi tra il tornare a galla e il restare sommersi semplicemente allungando una mano e toccando con un solo dito il fondale marino in una specie di riproduzione del celebre affresco della Sistina di Michelangelo.
Prima del balletto
by Pierre Carrier
Acclamate ballerine del balletto romantico ottocentesco furono Fanny Elssler, Fanny Cerrito, Carlotta Grisi e Anna Pavlova (quest'ultima nel primo Novecento).
Sebbene il balletto attraversò un periodo di grande crisi all'inizio del XX secolo, rimase molto vivo in Russia, dove anzi acquisì sempre più importanza fino ad occupare, come oggi, un posto di primo piano nel mondo dello spettacolo e nell'immaginario collettivo.
Questo fu possibile anche per merito di quel formidabile binomio costituito dal coreografo Marius Petipa e dal compositore Čajkovskij: dal felice sodalizio nato nella Russia zarista di Alessandro III nacquero dei capolavori destinati all'immortalità come Il lago dei cigni, La bella addormentata nel bosco e Lo schiaccianoci.


Il balletto moderno e i balletti russi
Il balletto moderno è indissolubilmente legato alla Russia, ai suoi artisti e coreografi.
Questo legame importantissimo che diede corpo ad una forma d'arte raffinatissima come la danza classica e mantenne inalterati i canoni si creò nel 1909 quando l'impresario Diaghilev decise di portare in Europa, e più precisamente in quella Parigi dove il balletto aveva mosso i primi passi, una compagnia di artisti scelti tra i migliori delle due più grandi scuole di danza della Russia dell'epoca, il Bol'šoj moscovita e il Mariinsky pietroburghese.
La grande innovazione rispetto a quella che era stata la danza classica fino alla fine dell'Ottocento fu che già dal primo spettacolo la compagnia si esibì in diverse rappresentazioni di durata più breve rispetto a quelle ufficiali che occupavano l'intera serata, mentre lì l'intero tempo d'intrattenimento era saturato con molte scene e storie diverse. Il primo a comprendere la portata del cambiamento suscitato fu lo stesso Diaghilev, ma il resto del mondo non tardò ad accorgersi di quanto stesse mutando quel mondo che sembrava cementato su linee guida ormai consolidate.

Personalmente sono una grande appassionata di balletto, purtroppo non ho la temperanza di seguirlo con attenzione e sicuramente neppure le conoscenze per giudicarlo, ma lo trovo molto delicato e gentile, sebbene le storie non sempre lo siano.
Il balletto russo è di livello altissimo e artisti sia uomini che donne sono estremamente preparati, tecnicamente ineccepibili ed esteticamente graziosi. Adoro quasi tutti i balletti russi, ma forse il mio preferito è l'Igor Moiseyev Ballet (anche conosciuto come Igor Moiseev o Moieseyev)  che si occupa di riprodurre tutte le varie forme di danza del mondo.
Ballerina
by Andrew Atroshenko
Il mio balletto preferito è senz'altro Lo schiaccianoci e adoro la versione della Royal Opera House di Londra, la trovo la migliore mai vista! Inoltre la loro accuratezza nella ricostruzione costumistica è davvero degna di nota, perfetta sotto tutti i punti di vista, sono proprio inglesi...


Bibliografia, sitografia e approfondimenti
Wikipedia IT - Balletto
La danza classica
Danza dance - Balletto di repertorio
Luigi Pignotti - Balletto classico
Opernhaus Zurich Website - Storia del balletto
Mariinsky Theatre !!!CONSIGLIATO!!!
The State Academic Bolshoi Theatre of Russia !!!CONSIGLIATO!!!
Royal Opera House of London - Website

Nancy Ellison, Hanna Rubin - Il libro del balletto, la danza nell'American Ballet Theatre
Horst Kegler - Dizionario della danza e del balletto
Marinella Guatterini - L'ABC del balletto
Craig Dodd, Shirley Soar - Il balletto
AA.VV. - Il balletto romantico [monografia]
Carol Lee - Ballet in Western Culture
David W. Barber - Tutus, tights and tiptoes: ballet history as it ought to be taught
Jennifer  Hosman - Apollo's Angels: a history of ballet
Fuyumi Soryu - Doll
Chiho Saito - Anastasia Club vol. 3


Baci a tutti,
a presto




Mauser



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