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5 settembre 2011

Il duro inverno nella baita di Heidi

Cari lettori,
la tematica delle dimore, costruzioni, case e arredamenti è per me estremamente interessante, ormai è stata sviscerata in maniera, a mio avviso, abbastanza approfondita ed è per questo che volevo dare un ultimo tocco alla descrizione fatta nel post Nelle case di contadini e poveri.
Nello specifico vorrei approfondire un minimo il problema delle case dei contadini. Quando noi persone del XXI secolo pensiamo ai contadini ci vengono in mente le immense fattorie americane, i ranch di Montana Sky [tra l'altro un film che adoro e spero che pubblichino presto il libro anche in Italia], oppure i grandi cascinali della pianura padana.
L'ingresso dell'abitazione con un piccolo
focolare nel pavimento
In realtà la situazione era piuttosto diversa e decisamente più modesta di quanto la raffiguriamo.
La mia vacanza in Val d'Aosta, meta di ripiego dopo aver dovuto abbandonare l'idea di Vienna, mi ha portata a scoprire un interessante Museo Etnografico, la Maison Gerard Dayné, che ha aperto gli occhi anche a me: sebbene io mi approcci alla storia con sufficiente disillusione da non credere a tutte le favole che ci raccontano i romanzi o che la televisione vuole passarci [badate bene che la televisione è un nemico subdolo], neppure io immaginavo la vita in modo così spartano.

La situazione dei contadini negli anni tra il Settecento e l'Ottocento era drammatica e questo è già un indizio per capire come mai la rivolta della Rivoluzione Francese sia avvenuta in città, mentre nella Vallonia si rifiutavano di riconoscere la nuova autorità repubblicana: avevano pensieri più pressanti di cui occuparsi, tipo lavorare per sfamarsi.
Se il tempo dei servi della gleba era ormai trascorso e il Medioevo lontano, altrenttanto non si poteva dire della situazione, a tutti gli effetti i contadini erano una proprietà del latifondista, feudatario, visconte o vescovo locale, che possedeva l'appezzamento di terreno che coltivanao o dove pascolavano i loro animali. Il loro signore riscuoteva periodicamente i frutti della terra privandoli non di viveri extra, ma di quel poco che, già così, avrebbe a stento sfamato tutti. Le figlie dei contadini andavano a lavorare i campi o a servizio presso la casa del padrone e sposavano altri contadini della zona a loro volta agli ordini di qualche signore. Nel Settecento, prima della svolta ideologica illuminista e dell'avvento borghese, la ricchezza era ancora basata sulla quantità di terre possedute perchè dalla terra veniva il denaro.



La casa di un contadino, come abbiamo visto, era poco più di una stalla, ma vorrei farvi entrare con me per mostrarvi come era strutturata all'interno: la costruzione che comprendeva in sé sia la parte abitativa che la stalla, sebbene le due spesso si confondessero.

Tutti i membri della famiglia abitavano la stessa casa che passava dal patriarca al suo figlio maggiore, i figli maschi secondogeniti solitamente lasciavano l'abitazione per costruire la propria e la loro vita altrove, mentre le figlie la abbandonavano con il matrimonio, rimanevano le figlie zitelle e i figli fantini, cioè celibi, più i parenti vedovi e indigenti come zii e nonni, in questo modo la quantità di persone in casa era sempre equilibrata, grossomodo non si era mai meno di quattro, fino ad un massimo di una quindicina, più che altro dovuto allo spazio fisico.

Un armadio a muro per risparmiare spazio
Lo spazio, infatti, era sempre poco, conteso tra tutti coloro che abitavano nell'edificio, uomini e bestie, ma soprattutto tra gli abitanti e i loro mobili che erano minimalisti, infatti l'arredamento più consueto di questo genere di abitazione era costituito da stipi ed armadietti a muro scavati nella spessa parete domestica.
Una casa di contadini benestanti era strutturata su due piani, l'abitazione più il fienile, raramente si saliva oltre in quanto la possibilità di costruire dimore tanto alte e architettonicamente complesse andava oltre le conoscenze sia culturali che finanziarie dei paesi contadini.
Le costruzioni erano sempre sistemate sopra massi, pietre e muraglioni rocciosi: potrebbe apparire una scelta inconsueta o scomoda, ma molto coerente in quanto sfruttando le zone morte si sarebbero trovati al di fuori dei terreni fertili e pianeggianti, per non privarsi di un appezzamento, anche piccolo, in cui si poteva coltivare. Le rocce, inoltre, formavano solide fondamenta delle abitazioni su cui far crescere i muri delle case che potevano arrivare fino a 80cm di spessore e rendevano molto più solida e stabile l'intera struttura.

I due piani dell'abitazione erano adibiti a funzioni differenti: il piano terreno, a contatto con il pavimento, era per le persone e gli animali, il sottotetto, invece era adibito a fienile e a ripostiglio per le provviste che non sarebbero marcite (pane, oggettistica, attrezzi, legumi) se si aveva la fortuna di possederne; nel caso dei più ricchi esistevano anche delle cantine scavate nel sottosuolo a cui si accedeva tramite ripide scale scavate nella terra o nella roccia. Le cantine erano sempre più d'una e ciascuna aveva una propria destinazione: nella casa da me visitata se ne incontravano tre destinate rispettivamente alle provviste di vegetali, ai formaggi e al vino, questa scelta era fatta per far sì che i sapori non si mescolassero, contaminando profumo e gusto degli alimenti. Le tre cantine erano comunicanti tramite porte, ma costruite a livelli differenti (3-4 cm di dislivello) che conferivano a ciascuna un grado di temperatura differente (uno sbalzo termico di 3-5 °C): le più fredde erano per il formaggio, le più calde per il vino. Un particolare interessante è che il soffitto delle cantine non era intonacato, in questo modo la pietra in cui era costruito poteva respirare e assorbire l'umidità rilasciata dagli alimenti, se invece si passava la malta sulle pietre l'ambiente rimaneva forzatamente impermeabilizzato e i cibi finivano con il marcire.

Focolare di una stanza del fuoco
L'ingresso della casa aveva il pavimento in terra battuta e questo suggerisce che lì passavano anche gli animali e alcuni, come muli o asini, vi stazionavano anche, se la famiglia era sufficientemente fortunata da possederne. Avere un asino era una gran ricchezza, se ne avevano un paio per ogni villaggio e se avete letto I Malavoglia di Giovanni Verga sapete bene che la povera Mena è costretta a rifiutare Alfio prima per la sua povertà e poi, quando arriva con l'asino, perchè le malefatte di Lara avevano contaminato anche la sua reputazione [non certo un'eroina moderna, il canone odierno vuole che per amore si passi sopra a qualunque trascorso].


Per riscaldarsi in casa i camini erano poco efficaci, erano spesso singoli, a volte anche solo miseri focolari nel pavimento, e il loro potere calorifico decisamente ridicolo, per questo le stanze dove erano posti, chiamate stanze del fuoco, venivano adoperate per i lavori invernali, per esempio il ricamo, ma soprattutto la preparazione di prodotti caseari.
Lo strumento più efficace per avere un po' di tepore era dividere il proprio spazio con altri mammiferi, meglio se grossi e pelosi: le pecore erano quotatissime.

La stanza più importante della casa, quindi, non era quella con il camino, ma quella con gli animali, una stalla comune a uomini e bestiame.
Si trattava della più grande dell'edificio, interamente rivestita in legno come coibentante ed era costituita da due o più ambienti comunicanti: nel più grande sedevano le persone, lavorando e parlando e conducendo la vita di famiglia, le donne cucivano, ricamavano o lavoravano i merletti al tombolo, sgrossavano, filavano e tessevano la lana mentre gli uomini approntavano gli strumenti per la primavera e il lavoro dei campi, solitamente questo ambiente era costituito da un tavolo centrale e da alcune panche addossate alla parete, la scelta è da ricercarsi proprio nella mancanza di spazio di cui abbiamo detto poc'anzi.
Una stanza comune con alcuni attrezzi da lavoro
Notate con attenzione che non ci sono sedie, troppo ingombranti, ma panche alle pareti


Gli altri ambienti comunicanti erano destinati agli animali: pollaio, stalla e recinto chiuso.
Avere delle pecore nel recinto era estremamente comodo d'inverno, insieme ad esse venivano sistemate le culle dove dormivano fino a tre neonati l'una, mentre sopra le teste degli animali era sistemato un ripiano di legno simile ad una mensola molto larga dove dormivano i padroni di casa in quanto quello era l'ambiente più caldo. Gli altri si sistemavano sul pavimento della stanza, che era di legno e, quindi, meno gelido.
Il fienile, per quanto comodo, era usato come giaciglio solo d'estate perchè, essendo aperto per arieggiare paglia e fieno, d'inverno era anche estremamente freddo.

Una vista degli ambienti della casa con stalla e recinto.
La zona delimitata dalla tendina e con la culla era il recinto dove erano tenute le pecore, solitamente chiuso da una cassapanca che fungeva anche da mangiatoia. Sopra le loro teste era posta una trave dove dormivano le persone.
Dietro al recinto c'era la stalla delle vacche, mentre l'angolo di pavimento che spunta proprio al centro appartiene alla stanza della foto precedente, la sala comune (angolo in basso a sinistra), che come vedete era comunicante col recinto e la stalla.


La scelta di vivere insieme agli animali può forse non sembrare estremamente igienica, ma era la migliore in quanto la presenza di tanti mammiferi insieme creava un'atmosfera più calda rispetto alle altre camere, certo non i 20°C a cui siamo abituati [dimentichiamoci gli scioperi bianchi fatti a scuola quando i caloriferi non funzionavano], ma comunque meglio della media al di fuori, che arrivava anche a -20°C.
Certo questi animali con i loro parassiti, pulci, zecche, ecc erano estremamente pericolosi per i neonati il cui sistema immunitario non era ancora sviluppato, ecco quindi spiegato come mai molti bimbi morivano giovanissimi o non superavano l'inverno, le temperature freddissime e l'igiene domestica erano le principali cause di mortalità.
Se la cosa stupisce, comunque, basta pensare a quante malattie si sono debellate da quando Florence Nightingale, la signora con la lanterna, ottenne che fosse obbligatorio per il personale medico di lavarsi le mani prima di operare su un paziente...

Come avrete capito, la vita era difficilissima, anche terminato il rigido inverno sopravvivere era arduo; in primavera si piantavano molte colture come segale e ortaggi nei campi, patate e granoturco, ma nessuna di queste avrebbe dato i suoi frutti prima dell'estate, come fare quindi a sopravvivere?
Beh, si usciva di casa e si andava alla ricerca di vegetali selvatici, nei mesi primaverili i contadini che si occupavano di lavorare la terra e di coltivare mangiavano spinacio selvatico, cardo, ortica, ecc. come i topolini di Boscodirovo, con quelli si preparavano contorni e confetture, composte e minestroni.
Questa fissazione per il verde era dovuta principalmente al fatto che durante l'inverno si era consumato solamente carne essiccata, latte e derivati e pane duro e secco (perchè il pane si faceva una o due volte l'anno e lo si ammollava nel brodo, nel latte o nel vino), usciti finalmente alla luce, quindi, i contadini avevano necessità di consumare delle fibre piuttosto che zuccheri o proteine.
Il fienile (ristrutturato e visitabile)


L'inverno non era semplicemente un periodo di freddo fastidioso, patendo il freddo lo si temeva molto di più, cadevano fino a 8m di neve l'anno, coprendo quasi del tutto le case e i loro ingressi, le persone rimanevano confinate nelle mura domestiche dai 3 ai 7 mesi l'anno e dovevano essere provviste di tutto il necessario per sopravvivere come ad un assedio, a primavera poi si contavano quelli rimasti e si aggiornavano i registri o si celebravano i funerali.
Riuscite ad immaginare 7 mesi in compagnia dei propri parenti senza privacy né diversivi alle noiose serate?
Ascoltare favole, racconti di guerra o vicende della valle o del luogo era il massimo divertimento, chiusi in una stanza così a lungo rendeva i legami non sempre buoni, i rapporti tra le varie donne di casa erano spesso tesi a causa della gerarchia che imponeva l'età, la data del matrimonio e il componente a cui si era sposati come una scala rigida. La suocera aveva potere illimitato sulla giovane nuora, per questo molte figliole che prendevano marito ponevano come condizione di non avere la madre di lui tra i piedi, l'ex fidanzata del mio defunto nonno rifiutò apposta la sua proposta di matrimonio perchè lui, rimasto solo con la madre, si rifiutò di abbandonarla e la giovinetta, a quanto pare, non era disposta a dividere il suo scettro del comando con nessuno. Bell'ipocrita, la signorina!
Anche tra le nuore la rivalità spesso era molto sentita, si scatenavano piccole faide in cucina o al tavolo e le donne di casa concorrevano nel ricamare il pizzo più pregiato o tessere il tessuto più raffinato.
Inutile dire che in una realtà e in una società come quella essere inabili al lavoro era una morte. Gli anziani vivevano poco, le condizioni erano estreme, i menomati spesso impazzivano per l'inedia e le persone con problemi fisici o mentali non sopravvivevano a lungo, le malattie erano un terrore e la peste non era che una delle tante, ma si moriva per un banale raffreddore.

Quando pensiamo al passato, non immaginiamoci soltanto l'affolata sala da ballo di Almack's, perlaltro fredda, ma soffermiamoci un attimino a figurarci a dormire abbracciati ad un segugio pulcioso, sopra le teste di pecore, sposate ad un caprone montanaro o ad una bisbetica di villaggio con la penetrante voce da trogolo e le maniere di uno scaricatore.
Due porta-tombolo, deliziosamente rifiniti
con colori e disegni.
Sulle sbarrette erano posti dei cilindri
imbottiti usati per fare il pizzo chiacchierino
Il vestito della povera gente era uno solo per sempre, per le donne era composto da una scamiciata informe che doveva appositamente nascondere le forme femminili, per gli uomini pantaloni e bolero, cardigan e cappello; ad entrambi era abbinata una camicia bianca: si riconosceva facilmente la camicia del giorno di festa perchè aveva il pizzo anche sui polsini, che altrimenti mancava per non intralciare il lavoro.
La camicia la si lavava una volta al mese, i più fortunati ne avevano due o tre, il vestito mai e quando era troppo sudicio lo si tingeva, lavarlo era impensabile, la stoffa si sarebbe rovinata e avrebbe impiegato troppo tempo per asciugare, frangente nel quale la persona non aveva altro con cui andare in giro e svolgere le proprie faccende. Il grembiule del vestito era fissato in vita con una fettuccia colorata, se questa era interamente verde significava che la donna era nubile, altrimenti se aveva la terminazione rossa voleva significare che era già sposata [come le nostre magliette con scritto Sono single oppure Cerco boyfriend].

Per gli uomini l'unica decorazione era sul cappello, dove era posto uno specchietto contornato di fiori: è da lì che viene il modo di dire specchietto per le allodole, dove allodole sono le ragazze, in quanto la decorazione doveva essere posta sul fronte del cappello e il riverbero luccicante avrebbe dovuto attirare l'attenzione delle pulzelle sostenendo la condizione di celibe dell'uomo.
Ai piedi di queste persone c'erano scarpacce di pelle scadente, più spesso ancora zoccoli in legno, i cosiddetti sabot scavati nel tronco fresco, duri e scomodi e non certo caldi per camminare nella neve.

Dopo tutto questo, vorreste davvero andare a vivere nel Settecento?
Tanto per informazione, la gente ha vissuto così fino agli anni '40 del Novecento, non troppo tempo fa per guardarli con disprezzo, chiamarli trogloditi e villani come mi è capitato di sentire: erano persone apprezzabilissime e piene di dignità e voglia di vivere che faceva loro onore, è umiliante riconoscere nella nostra facilitata società moderna, invece, così tanti morti viventi, persone senza sugo, senza scopi e senza voglia di vivere nonostante la felice esistenza che è stata data loro.
Questa non è una predica, né una ramanzina, chi legge questo blog so che lo fa anche per imparare e questo fa onore a loro, anche io imparo facendo ricerche e non voglio essere né ipocrita né paternalista, non mi si addice nessuna delle due etichette, ma credo sia giusto sfrondare le figure storiche di tutti i falsi miti che sono stati appiccicati sopra nel corso del tempo come i liceni agli alberi, stratificandosi fino a nascondere completamente la forma originaria. Apriamo gli occhi e guardiamo il passato per quello che era, non solo una bella favola: questo, purtroppo (e parlo per esperienza) ci farà apprezzare un po' meno certe letture piuttosto superficiali, ma darà nuovo slancio alla bellezza della nostra vita e nuova passione per i contenuti validi della cultura con cui entriamo in contatto.

Con affetto,




Mauser

15 marzo 2011

La casa vittoriana - piano terreno

Come promesso non mi sono dimenticata dell'argomento che avevamo incominciato con il primo post dedicato alla casa vittoriana: struttura e architettura dell'abitazione.
Esaurita la prima infarinatura circa l'aspetto esterno, oltrepassiamo adesso il cancello per inoltrarci nel vivo della dimora, nel cuore della casa, andando a studiare un pochino più approfonditamente mobilio e camere in cui ci si poteva imbattere.

Come già ripetuto in passato, non è possibile tracciare una linea netta di demarcazione su tutte le caratteristiche che compaiono nell'ideale "casa vittoriana", questo perché molti stili e mole forme d'arte si sono susseguite durante il lungo regno della Regina Vittoria, ecco quindi che se la forma esterna poteva anche essere facilmente identificabile, non era infrequente trovare all'interno mobili e caratteristiche estetiche proprie di vari stili: Regina Anna, Italiano, Secondo Impero, Neogotico, non si finisce più.


La veranda
La prima stanza, se così la si può definire, dove ci ritroviamo, è la veranda. La veranda è presente solo nelle case vittoriane indipendenti, quelle più prestigiose con a disposizione un piccolo prato, il classico "modello americano" con giardino, per dire, non la ritroveremo certo in piena città, dove la fame di spazio avrebbe sicuramente vietato questo spreco di metri.
La veranda era una zona prospicente alla casa, rialzata sopra il livello del terreno dal basamento di cui abbiamo detto in precedenza e facilmente raggiungibile tramite alcuni gradini; era ombreggiata da una tettoia che si collegava direttamente alle pareti dei piani superiori e poteva essere contornata da una ringhiera metallica o in legno, dal caratteristico stile a colonne semplici.

La veranda era chiamata in molti modi a seconda se si voleva rendere l'idea più signorile o più pratica, ecco quindi che la si ritrova anche con il nome di portico, sebbene sia un po' pretenzioso, terrazzo, anche se la dicitura sarebbe errata, ecc.

I victorian pensavano che la vita all'aria aperta facesse bene alla salute, ecco quindi che tutti quelli che potevano cercavano di trascorrere il loro tempo in lunghe passeggiate negli splendidi parchi inglesi, oppure passavano il tempo seduti all'aperto sotto la loro tettoia a guardare il viavai della strada, cucire e ricamare, leggere su dondoli e sedie di legno e panche; in alcune circostanze i vittoriani pranzavano anche all'aperto.


L'ingresso
Per lungo tempo considerato solo un luogo di passaggio, con il trascorrere del tempo questo spazio è riuscito a conquistarsi la dignità di stanza al 100% e come tale ha iniziato ad essere trattato.
Ingresso vittoriano
Nonostante questa conquista, manteneva comunque uno spazio a sé limitato, giusto il necessario per il passaggio e se lo contendeva con l'onnipresente scala di legno che conduceva ai piani superiori. Dall'ingresso era possibile raggiungere il salottino dell visite, lo studio, la sala da pranzo, la cucina e, se presente, una stanza da bagno al piano terreno.

Il mobilio che più spesso si poteva riscontrare era destinato ad appendere mantelli e cappotti, erano privilegiati appendi abiti e porta ombrelli appesi alle pareti, rigorosamente rivestite in legno almeno per un terzo, come esigeva la moda già dai tempi di Napoleone, inoltre serviva per mantenere al caldo la casa senza disperdere il calore interno dato da stufe e caminetti a legna.
Le pareti erano decorate con fotografie di famiglia, se la famiglia era abbastanza facoltosa da possederne, oppure da acquerelli con vedute di caccia dal sapore tipicamente british.
Le lampade o i porta lumi erano sempre gemelli ai due lati del passaggio e decorati con stoffe e trine realizzate dalla padrona di casa; una caratteristica tipicamente vittoriana, specialmente con l'avvento dell'elettricità domestica, era di decorare con graziosi fiocchetti e nastrini i porta lampade, tanto da farli assomigliare più ai cappellini delle signore che a forme di arredamento.


Il parlour, altrimenti detto salottino, stanza delle chiacchiere, soggiorno
Tanti nomi per definire, alla fine, la stessa camera, destinata al ricevimento degli ospiti e allo svolgimento delle pratiche diversive quotidiane come il ricamo e piccoli svaghi (puzzle, scacchi, lettura, musica, ecc.).
Salottino vittoriano in stile neorinascimentale
Dove possibile si cercavano di creare più stanze destinate al ricevimento degli ospiti, ma era principalmente un'ostentazione di ricchezza, mentre era frequente avere una grande sala con divanetti e poltroncine, un tavolino rotondo per il tè e molte credenze alle pareti. A ricevere ospiti presso il salottino era la padrona di casa, oppure le figlie, mentre gli uomini preferivano intrattenere relazioni meno collettive e richiamare i propri ospiti nella biblioteca o nello studio.

Il salottino è facilmente riconoscibile per la luminosità della stanza, per la delicatezza degli arredi, la presenza di suppellettili [leggasi: alloggiapolvere] e tappeti sul pavimenti.
I classici pannelli di legno che la fanno da padroni nell'ingresso potevano essere sostituiti da una raffinata tappezzeria a righe verticali (molto in voga) oppure, sul finire del secolo, da una a fantasie floreali bordata in alto da una striscia in tinta unita.
Lo stile vittoriano prevedeva che nella stessa stanza si presentassero molte fantasie diverse, non era quindi inusuale trovare tappeti o tappezzerie mescolati tra righe, rombi, fantasie impero e fiorellini e nessuno scandalo.

Elemento imprescindibile della stanza era il tavolino, qui venivano posati i vassoi con i biglietti da visita degli ospiti, qui si sedevano le signore per sorbire il tè, qui erano posati alcuni elementi di pregio delle suppellettili, ad esempio sofisticati orologi meccanici sotto una campana di vetro trasparente oppure vasi di fiori freschi cambiati ogni giorno, magari dono di qualche corteggiatore e ammiratore.
Insieme al tavolino viaggiavano almeno due sedie abbinate.

La stanza contava almeno di una credenza dove mettere in mostra il servizio più chic, quello della porcellana più raffinata, dalla provenienza più esotica, il più antico o il più prezioso, magari in argento.

Potevano essere presenti diversi strumenti musicali con i quali le ragazze di casa intrattenevano gli ospiti suonando o cantando, il pianoforte era quasi d'obbligo, se si scorre il tempo all'indietro si potrebbe riconosce un virginale, una variante antica principalmente suonato nel Seicento e Settecento e dal suono molto limpido con cui si esercitavano le fanciulle, e poi anche flauti, specialmente traversi, violini, liuti e mandolini, questi in particolare nei paesi mediterranei [Caravaggio docet!].

Nel salottino, inoltre, attendevano gli ospiti che lasciavano presso le cameriere o i paggi alla porta i propri biglietti da visita, recapitati brevi mano alla padrona o all'interessata che aveva la facoltà di scegliere se scendere e accogliere l'ospite oppure no.
Per ulteriori informazioni vi rimando ai post scritti qualche tempo fa:
Tea Party ~ Il tè pomeridiano
Le visite ~ breve vademecum su come fare visita a qualcuno


La biblioteca
Stanza di impronta nettamente maschile, inutile soffermarci sul suo significato, sebbene, oltre che da stanza dei libri e della cultura servisse anche da studio.
Quando si parla di biblioteca iniziamo subito a inquadrare un minimo l'ambiente: non aspettatevi un salone con le pareti tappezzate di scaffalature tipo La bella e la bestia, in realtà le dimensioni e il contenuto erano decisamente più modeste.
Angolo biblioteca
Immaginate quindi una stanza con una o due scrivanie, magari posizionate l'una di fronte all'altra; alla scrivania più imponente sedeva il padrone di casa, su una poltrona dall'aspetto monumentale, probabilmente la sua scrivania aveva dimensioni o foggia più seriose e massicce, lì il signore della casa teneva i conti delle sue proprietà, i suoi acquisti, le spese sul libro di casa, il libro contabile.
La moglie sedeva di fronte, in una scrivania decisamente più raffinata e delicata, leggeva, compilava il registro delle spese domestiche, segnava i salari dei suoi dipendenti, annotava il diario, accessorio indispensabile spesso contenuto in uno dei cassetti dello scrittoio, infine gestiva la corrispondenza, in riferimento a lettere (le persone della famiglia lontane si scrivevano quasi ogni giorno, basti vedere in Orgoglio e Pregiudizio), inviti, ringraziamenti, telegrammi, condoglianze, ecc.
Anche se presente, la scrivania della moglie era comunque un'aggiunta in quanto la biblioteca veniva considerata la stanza del padrone di casa, dove a volte vi rimaneva rinchiuso l'intera giornata. Se egli non voleva la consorte tra i piedi, questa sbrigava le sue faccende tra la propria stanza e il salottino di cui abbiamo detto sopra.

Accessori indispensabili di questa camera erano le confortevoli poltrone con braccioli per la lettura e il caminetto. La legna ardeva sempre nel focolare, ma il carbone veniva aggiunto dalla servitù solo quando i padroni entravano per leggere o consultare qualcosa, per risparmiare sulle spese (il carbone era abbastanza caro, vedi il post intitolato Il costo della vita); quando non adoperato, il carbone stava nel suo contenitore, sulla sinistra del caminetto, a destra risiedevano invece gli attrezzi per attizzare il fuoco, quindi attizzatoio, paletta, scopino, ecc. ma questi erano presenti in ogni stanza con camino.

Per quanto riguarda il materiale da consultazione, poteva essercene del più vario a seconda del tipo di famiglia, di estrazione, di idee politiche e religiose.
Biblioteca di una estate di campagna, la
dimensione è decisamente cosa diversa dalla
precedente immagine e anche le scaffalature
Una famiglia media poteva vantare sugli scaffali diversi almanacchi, ovvero previsioni per l'anno a venire e riassunti dei fatti salienti di quelli trascorsi (Sherlock Holmes ne consulta diversi durante le sue indagini e li tiene nel suo soggiorno); c'erano poi dizionari, in quanto era considerato importante saper parlare bene e usare terminologie corrette in riferimento al contesto [abitudini tristemente perse... la gente non sa più consultare né il dizionario né l'enciclopedia e, soprattutto, non sa più parlare correttamente e scrivere quello che dice].
Infine non potevano mancare alcuni classici della letteratura e qui cominciamo a porci d'innanzi ad una questione non da poco: cosa era classico al tempo dei Victorians?
Considerando che i libri di allora sono per noi dei classici (Hardy, Austen, Bronte, Dickens), lo erano per allora?
Nossignore, la Austen scriveva in pratica di Harmony dell'epoca e Dickens era considerato abbastanza populistico., tanto da esserne vietata la lettura agli scolari; Hardy poi era troppo teatrale. I veri classici erano Shakespeare, ovviamente, Chaucer, un po' il Boccaccio inglese, e soprattutto molti sonetti e poesie talmente melensi e smielati che ormai non li legge più nessuno. Ai victorians, nello specifico, piacevano le ballate medievali, i poemi epici, l'amor cortese e il cor gentile infarciti di melassa. Insomma: du palle...
Visto che scritti nel Settecento, erano già classici titoli come Pamela, Joseph Andrews, Viaggi in diverse nazioni remote del mondo, di Lemuel Gulliver il libro che detesto di più in assoluto (all'epoca andava ancora il titolo per esteso e l'edizione in 3-4 volumi) e Robinson Crusoe.
Comunque Dickens, la Austen, le Bronte e Hardy e Thackeray e tutti i loro compagni del tempo erano sì presenti, solo non come classici come adesso, ma come contemporanei, insomma gli omologhi di Follett, Brown, Cornwell e la Reichs. E chissà che nel mucchio non troviate anche qualche libro proibito, ovviamente c'erano, ma non in bella mostra, per esempio si potevano scorgere le copie di Fanny Hill: memorie di una donna di piacere, che non è un libro per educande neanche oggi...

Un immancabile nella biblioteca di casa era La Sacra Bibbia, ma quella era un must have di qualsiasi famiglia sapesse leggere, sia che avesse o no una biblioteca: passaggi e brani erano spesso letti quando la famiglia si riuniva in salotto o a tavola (cfr. Sette spose per sette fratelli) alla classica maniera protestante, inoltre si ringraziava sempre per il cibo che si consumava, un'usanza che forse dovremmo riprendere perché noi lo diamo per scontato, ma il cibo è un dono, ottenuto sì con la fatica, ma pur sempre un dono che non ci è dovuto e quindi, a mio avviso, dovremmo davvero ringraziare per tutto ciò che abbiamo.

Per quanto riguarda l'estetica, la biblioteca di solito era una stanza dalla mobilia scura, in ciliegio rosso, mogano, colori tendenti al nero, anche l'ebano a volte che appesantivano un po' l'ambiente; la tappezzeria era di colori carichi come verde, blu o bordeaux e con pannelli di legno nella parte inferiore del muro. In terra parquet o tappeti e grandi finestre, ove possibile.


Sala da pranzo
Sala da pranzo di Stato a Buckingham
Palace, Londra
Nel mondo anglosassone la distinzione tra living room e dining room è estremamente importante. Da noi può capitare che la sala da pranzo faccia da soggiorno e viceversa, lassù no, è una grave mancanza, la forma più sciatta di arredamento. Ecco quindi che il salotto/salottino erano una cosa e la sala da pranzo un'altra.
La stanza di rappresentanza della casa e quindi la più fastosa e decorata, un vero tripudio, un eccesso dietro l'altro, a cominciare dall'esposizione quasi da banco del mercato di servizi da portata, ordinatamente riposti nelle credenze, ma comunque in bella mostra, zuppiere in argento o porcellana rifinita sul tavolo, intarsi e decori alla mobilia fino a diventare opprimenti e, soprattutto, lini e tovaglie di pregiata fattura, ricamate a mano stipate nelle ante, pronte per essere tirare fuori durante il pranzo della domenica, consumato dai vari membri della famiglia in casa l'uno dell'altro e, quindi, occasione per ostentare il proprio status.

Oltre ai mobili, riccamente decorati, a volte dorati e zeppi di teste di leoni, intarsi, ornamenti, rifiniture, ghirigori e fioriti, a seconda dello stile, anche le tende non erano da meno.
Sala da pranzo vittoriana
Le tende erano uno dei pezzi forti della sala da pranzo, costituite da due o tre strati di tessuto sovrapposti, tutti preziosi e in mostra, in particolare lo strato sottostante, in stoffa chiara e trasparente era usato per filtrare la luce in modo che non accecasse i presenti, mentre il drappeggio superiore era in drappi spessi e pesanti come broccato, seta o velluto, era usato di notte per coprire i vetri, in modo da mantenere la privacy, era inoltre efficacissimo contro i fastidiosi spifferi che sgusciavano tra le feritoie delle finestre; quest'usanza era in voga già dal Medioevo, quando i castelli e le case non avevano finestre di vetro né imposte, ma solo la sagoma e per ripararsi, specialmente d'inverno dalla pioggia e dalla neve erano usate pesanti tende e arazzi.
Nei paesi nord europei, infatti, non esiste la cultura della persiana che, come dice il nome, viene dall'Oriente, questo perchè i raggi solari erano meno intensi che sul Mediterraneo o in Medio Oriente, dove invece il sole picchia parecchio e nelle ore più calde del mezzogiorno spesso le persone andavano a riposarsi nella frescura della casa o del pergolato, oscurando con pesiane di legno le finestre, che filtravano efficacemente i potenti raggi del primo meriggio.


Studio, studiolo, stanza della musica, della pittura, del...
La ricchezza, si sa, porta ostentazione e stravaganza: insieme, separate, ma una delle due c'è sicuramente. Ecco che la ricchezza in tempo vittoriano era espressa nella manifestazione dei propri possessi, di cui la casa era il più evidente. Ecco quindi che la casa diventa biglietto da visita quando si cerca di fare colpo su personaggi più importanti, per impressionarli l'architettura rasenta l'assurdo e le stanze interne si moltiplicano.
Stanza della musica
Con la configurazione fino a poco prima nessuno sentiva la necessità di una stanza da disegno, ma se si è ricchi e potenti, questa può diventare una necessità, uno status, ecco quindi che entriamo nell'intricato ambito delle stanze inutili, ovvero camere destinati a scopi ricreativi o semplici doppioni delle precedenti. Una casa importante e ricca, come potrebbe essere Chatsworth House (location di Pemberley in più di un adattamento O&P) avrà sicuramente avuto una biblioteca e almeno quattro salottini.
Le stanze superflue sono inutili, ma si sfrutta l'opportunità di mostrare quanto in più si ha, sia come spazio, sia come oggettistica, mobilio, tappezzeria, tendaggi, tappeti. Se doveste riempire cinquanta stanze, quanto spendereste? Un capitale. Avere molte stanze e spendere qualcosa per ciascuna era come gridare: ho del capitale, ne ho talmente tanto che posso fare a meno perfino di tutto quello che ho usato per queste camere.
Vero.
E falso. Perchè il bluff esiste e magari l'ostentazione era solo uno specchietto per le allodole per accasare bene l'unica figlia.
Le stanze superflue erano principalmente varianti del salottino, le persone di casa vi si riunivano per leggere insieme, ricamare, nella stanza da musica si suonava e si avevano molti strumenti a disposizione, di cui immancabile era il pianoforte, preferibilmente a coda. Nella stanza da disegno l'ambiente e l'illuminazione erano studiati perchè fosse perfetta per disegna e dipingere, un'attività che tutte le ragazze cercavano di apprendre, infatti Lady Catherine DeBurgh rimane estremamente stupita che Lizzie non la conosca (e sia carente anche suonatrice): naturalmente a Rosings probabilmente erano presenti sia la stanza della musica che quella da disegno, mentre difficilmente a Longbourn c'erano, stretti come stavano.


La sala da ballo
Discorso a parte va fatto per la stanza da ballo. Dare un ballo era, per certe signore, un'esigenza sociale e serviva per mantenere il loro status, ecco quindi che la casa doveva essere provvista di un salone adeguato con scalone e sufficiente spazio perchè gli ospiti possano danzare in una stanza e rinfrescarsi in un'altra servendosi dal buffet.
Una dance room vittoriana, probabilmente
di un ricevimento al Palazzo Reale
È da classificare come stanza inutile? Personalmente non la definirei tale, ma naturalmente la mia può non essere la vostra opinione; personalmente però, visto la rilevanza che certi eventi mondani avevano sulla vita sociale, su tutti gli aspetti, credo che fosse un dettaglio troppo rilevante perchè potesse essere trascurato, ergo la stanza da ballo non era superflua, almeno da un certo rango in su.
Per maggiori info vi rimando ad alcuni post scritti in passato:
Come organizzare un ballo
Regole di base sul comportamente ai balli sociali

Una nota doverosissima: non immaginate i saloni da ballo come sterminate piazze d'armi, non lo erano: spesso c'era posto solo per i ballerini e alcuni ospiti alle pareti, in questo romanzi e film tendono ad esagerare, ma se guardate delle immagini di Almack's, che tra l'altro era proprio un'istituzione sorta a questo scopo, vi accorgerete che le sue dimensioni erano alquanto modeste. Alcune dimore fuori Londra potevano permettersi i saloni che a noi tutti piace immaginare, probabilmente a Pemberley c'era, ma non dovunque.

Per quanto riguarda l'arredamento, per la sala da ballo dovete immaginare qualcosa di simile al salottino: tappezzeria dai colori vivaci, ostentazione di ricchezza con pesanti e raffinati tendaggi multistrato, mobilia costosa, spesso in legno intarsiato e marmo lavorato, specchiere e grandi candelabri.
Mancanza essenziale erano i tappeti per terra, che avrebbero infastidito i ballerini che scivolavano rapidi sul parquet, importante invece era la presenza di uno o più grandi lampadari al soffitto, tra i quali i preziosi manufatti di Murano erano molto apprezzati, così come splendide creazioni in cristallo di Boemia, disperazione dei domestici che dovevano pulirli periodicamente o accendere tutte le candele.


La cucina
La cucina meriterebbe un discorso molto più ampio di quanto fatto fin'ora e non è detto che prima o poi non mi ci dedichi (ma non contateci troppo, eh!).
Cucina vittoriana con la stufa in ghisa al posto del
caminetto gigantesco
Zona fondamentale della casa, era spesso costruita sul retro ed era gigantesca, una stanza enorme dove stufe, camini e strumenti la facevano da padroni mentre il personale si affacendava su immensi tavoloni in legno.
La cucina era il regno delle donne e comprendeva alcune tra le particolarità della casa, ad esempio la ghiacciaia. Nei secoli passati, si sa, la conservazione degli alimenti era un problema non secondario e le soluzioni che i nostri avi inventarono o scoprirono furono sicuramente ingegnosissime, a cominciare dalla salatura, dall'avvolgimento in spezie, dal sotterrare il cibo, in particolare i vini (nelle cantine) e i formaggi (quelli che chiamiamo "di fossa"), avvolgendo nella cera. Insomma, c'erano un'infinità di modi e ciascuno conferiva al cibo un gusto particolarissimo.
Già nel Settecento si era capito che le basse temperature congelavano, oltre all'acchia, anche il processo di decomposizione e si iniziarono a sfruttare le tecnologie per ottenere vantaggi da ciò anche a quote inferiori a quelle del Monte Bianco; così dalle montagne venivano trasportati a valle enormi cubi di ghiaccio e poi conservati al fresco in un luogo buio e riparato e insieme a loro venivano sistemati gli alimenti da conservare. La struttura di queste ghiacciaie non era molto diversa da quella di una libreria: tanti ripiani dove si intervallavano cubi di ghiaccio molto grossi (più lo sono e più lentamente si sciolgono) ad otri di carne, pesce, ecc.

La cucina stessa poi era un capolavoro di tecnica e di tecnologia. Nel Settecento la maggior parte delle pietanze delle grandi case era cucinata ancora sul camino nei grossi paioli e calderoni molto medievali che abbiamo visto anche in La cameriera che travasa la zuppa; nell'Ottocento, invece, le cose cambiano: le stufe, un'invenzione dell'Europa centro-occidentale (Germania, Olanda e Belgio) conquista sempre più campo nelle piccole abitazioni dove si rivela più comoda del camino, lì sopra si sistemano le pentole, si porta ad ebollizione l'acqua, si cucinano le minestre, si usano anche per scandare i mattoni del letto e come caloriferi, ruolo per cui erano molto efficaci, specialmente per la loro posizione centrale nella stanza, a differenza del caminetto che, invece, era sempre dislocato su una delle pareti e, quindi, parte del calore si disperdeva oltre il muro in un'altra camera o all'esterno (che spreco!).
Una cucina di campagna con camino e utensili
di rame
Sulla metà dell'Ottocento le cucine a stufa avevano soppiantato quasi del tutto i camini per cucinare, mentre alla fine del secolo fecero la loro comparsa le prime stufe a gas, le mamme dei moderni piani cottura che usiamo in Italia, mentre all'estero è molto impiegata la piastra riscaldata al posto del fornello, una via di mezzo tra il principio della stufa e il funzionamento della cucina a gas.

Altro indispensabile strumento era il lavandino: verso la fine del XIX secolo ce n'era uno in ogni cucina e dotato di acqua corrente, ma non era così prima, quando l'acqua arrivava dal pozzo e veniva fatta sgorgare tramite una pompa manuale (ricordate Biancaneve?), attrezzo che richiedeva che le donne di cucina avesse delle belle braccia robuste.
L'avvento dell'acqua corrente fece sì che molti installassero lavandini, ma le tubature non arrivavano ovunque e la spesa era onerosa, quindi ci volle circa un secolo prima che la situazione cambiasse da come era stata fin dai tempi antichi, con ragazzi robusti che portavano l'acqua e ragazze che prelevavano dal pozzo.

Immaginarsi una cucina vittoriana credo sia affascinante, ho visitato diversi castelli e residenze e ogni volta è più affascinante: a Neuschwanstein la cucina intonsa di Ludwig II è un capolavoro di modernità, la cucina della Venaria Reale, fuori Torino, invece, è stata creata appositamente per cucinae piatti di cacciagione che piacevano tanto ai Savoia e che si cacciavano proprio alla reggia. Particolarissima è la cucinina dell'Amalienburg, il casino di caccia della regina di Baviera, decorata con maioliche coloratissime perchè ad Amalia Savoia, colei che l'ha voluta, piaceva farsi vedere dai suoi ospiti mentre dava un giro di mestolo alle pietanze che avrebbero poi mangiato [per carità, più di un giro di mestolo non faceva! Ma sapete, non poteva mica stare in un ambiente fumoso, spoglio e con le pareti intonacate, la poverina...].
Utensili da cucina per al consumazione della
servitù (si riconosce dalla qualtià del metallo)
Mia madre sostiene essere molto bella la cucina del Castello di Chenonceau, nella Valle della Loira, residenza della famosa amante di Enrico II di Franica, Diana di Poitiers. Secondo me è anche molto pittoresca la cucina medievale del Castello di Kost, vicino Praga, ma io sono una patita del medievale ^__^

La cucina generalmente era grande nelle magioni furi Londra, le estates, come erano chiamate, autentiche piazze d'armi con un grosso tavolo al centro dove si preparavano le pietanze, tutt'attorno le pareti erano decorate dagli utensili appesi: teglie, pentole, scolapasta, casseruole, mattarelli, principalmente in rame o ottone. Eppoi la moltitudine di vasi e rami di erbe aromatiche lasciate ad essiccare conferivano quel tocco di rustico.
La cucina, a differenza di quelle moderne, era un luogo abbastanza sporco, il camino e la stufa sempre in funzione macchiavano irrimediabilmente di carbone le pareti chiare e conferivano all'ambiente quell'aria scura e opprimente, inoltre il cibo, l'dore di carne e di spezie erano forti e l'aria viziata dai sapori così violenti. Lavorare in cucina, si diceva, era come lavorare all'inferno, il che dovrebbe farci capire come fosse piacevole.


Bene, ci sentiamo nella prossima puntata per quanto riguarda il primo piano, sperando che la sua gestazione e relativo reperimento di fonti siano un po' più rapidi di questi.

Baci a tutti





Mauser

5 marzo 2011

Comignoli vittoriani

Eh, lo so, dopo il mio intervento sui tipi di ingressi detesterete sicuramente questi approfondimenti grafici, ma se è la casa vittoriana quella che volete, mi sa che dovrete sorbirveli così come a me toccano interminabili riflessioni di studiosi di design antico circa le differenze delle maioliche nell'ingresso stile Secondo Impero e nell'Italianate perché i miei post siano attendibili perché, a differenza di quel che crede qualcuno, non scrivo inventando a caso e non affermo certe convinzioni perché credo siano tali in base a motivi per nulla attendibili, a me la storia piace, approfondire è un impiego che adoro, anche se richiede molto tempo, e documentarmi fa parte del bello della cosa.

Io non parlo di cose che non conosco e se qualcuno mi chiede di addentrarmi in un ambito sul qual non so molto o non so per niente, cerco sempre di imparare qualcosa, prima di scrivere, oppure di affidarmi a persone competenti che conoscano l'argomento, come è stato fatto per la Frenologia e fisiognomica e anche con i Preraffaelliti: lì Lhoss è stata una validissima insegnante ed io come voi ho imparato dai suoi post.

Scusate lo sfogo, ma ci tenevo a fare qualche puntualizzazione perché un po' di giorni fa ho ricevuto un commento particolarmente antipatico al post Il segreto di Lady Audley dove mi si accusava addirittura di non aver mai letto Arthur Conan Doyle! Se non fossi stata punta sull'orgoglio mi sarei messa a ridere perché ricordo ancora le circostanze in cui presi in mano il mio primo Sherlock Holmes (era La valle della paura) e so cosa penso su di lui, credo sia comprensibile che non a tutti piacciano le stesse cose, addirittura umano perché il mondo è bello proprio perché è vario e se a me Sherlock non piace non ci posso fare niente, ma se non mi piace non vuol dire che ho letto un libro e ho detto "oh che brutto" e ho chiuso con il nostro investigatore cocainomane, in quel caso ho formulato una autentica antipatia per Sherlock proprio avendoci a che fare.
Ma Sherlock non è un personaggio fatto per essere simpatico, un po' come il Dr House, piace e affascina la sua intelligenza e i suoi modi diretti, ma non si vorrebbe averci a che fare in caso di bisogno, sono quei personaggi creati appositamente così fin dall'originale.

Trascurando le scenette lamentevoli, oggi vi propongo un'illustrazione che potrebbe tornare utile a chi, di voi, scrive o si diletta, oppure è appassionato di architettura.

Signore e signori vi presento i comignoli vittoriani in mattoni!
E a questo punto diventano calzanti Bart e Mary Poppins che cantano in sottofondo Cam Caminì (la versione è quella di Gigliola Cinquetti).
L'illustrazione viene da una splendida pubblicazione intitolata Details of Victorian House che sto leggendo, documentandomi sull'argomento.



Baci a tutti




Mauser

28 febbraio 2011

Tipi di ingresso

Cari lettori,
ho parlato poco tempo fa della casa vittoriana e della sua conformazione, mi sarebbe piaciuto scrivere un post sintetico ed esaustivo, ma l'argomento è piuttosto ampio e come sapete le mie capacità di sintesi decisamente scarse.
Mi ritrovo quindi ad integrare con altro materiale: nel corso delle mie ricerche, per esempio, mi sono imbattuta in una splendida illustrazione che mostra tutti i tipi di ingresso in voga o utilizzati durante il periodo ottocentesco e che vi illustro volentieri a seguire.


L'immagine è a scopo illustrativo. Essendo splendidamente disenata vi consiglio di ingrandirla cliccandoci sopra per una maggior visione dei dettagli che, altrimenti, nel processo di zoom vanno un po' persi.

Baci




Mauser

Struttura e architettura della casa vittoriana

Seguendo il suggerimento di una lettrice, ho deciso di approfondire un po' la disposizione delle stanze nella casa vittoriana e l'architettura tipica di questo periodo.
Bozzetto di un quartiere popolare di Londra
Secondo me si tratta di un argomento molto affascinante, spero che piaccia a tutti voi, ho però deciso di dividerlo in due post differenti, uno per quanto riguarda la struttura esterna e l'architettura (presente post) e uno per le stanze e la loro disposizione all'interno dell'edificio, cosa che vedremo nel prossimo intervento; l'ho fatto per una questione di chiarezza espositiva e per non allungare troppo lo scritto che altrimenti sarebbe diventato terribilmente pesante per chi legge.


Disposizione delle case
Londra e le grandi città vittime dell'inurbamento dovuto alla seconda rivoluzione industriale hanno avuto tutte lo stesso problema: la mancanza di spazio. Nelle aree strategiche della città, verso la metà del secolo erano nate le fabbriche e i magazzini, per il grande stoccaggio di merci: con la tecnologia sempre più avanzata e la rapidità nei commerci e negli spostamenti tutto ciò che era stato creato per il trend commerciale di prima era troppo ridotto, anche se nel Cinquecento tra Lega Anseatica e l'inizio della colonizzazione, l'Inghilterra aveva conosciuto un grande sviluppo.
A Londra questi nuovi magazzini erano situati nell'attuale zona dei Docks, vicino al fiume così da essere accessibili dalle navi in carico e scarico e allo stesso tempo non distanti dal cuore economico della City.
Oltre alla capitale, molti altri centri abitati costieri e industriali subirono questa sorte: Liverpool e Manchester sempre in Inghilterra, Dresda e Amburgo, San Pietroburgo, New York, Rotterdam...

Le fabbriche, si sa, non sono bei posti e abitarci vicino non è salutare, c'è inquinamento, polvere, rumore, traffico, passaggio di persone. Vicino all'industria non potrà mai esserci un quartiere residenziale e dove anche questo ci fosse stato in precedenza, l'industria o il porto facilmente ne affosserebbero la nomea. Basti vedere la periferia della mia città, Genova, prima del boom industriale della fine dell'Ottocento e dell'arrivo di Ilva e Ansaldo era tutta un susseguirsi di ville di villeggiatura per le famiglie ricche o patrizie della città, ma da quando l'industria pesante si è stabilita nel ponente, il bel quartiere attorno è diventato il più degradato della città, abitato da personaggi dubbi in quelli che una volta erano bei palazzi tardo-ottocenteschi o dei primi del Novecento con importanti modanature alle cornici delle finestre e maestosi poggioli. Villa Bombrini, sede del municipio di quartiere ha avuto per anni come sfondo una cisterna del gas, fortunatamente adesso abbattuta per il recupero dell'area industriale [non certo quella cittadina -.-].

Tutto questo per dire che vicino alle fabbriche non abitava la creme della città. Tracciate un cerchio con la fabbrica al centro e al perimetro più esterno troverete i quartieri di lusso. È come La regola dell'amico, non sbaglia mai.

Nei quartieri alti, altolocati, le case assomiglivano a ville, maestose, bianchissime e contornate da un curato giardino all'inglese con zone d'ombra e di luce, una serra di vetro e molte aiuole di fiori multicolori, gazebo e dondoli in metallo.
Ciascuna casa aveva a disposizione tanto spazio intorno, un piccolo parco, inoltre la strada di accesso era spesso un viale alberato tenuto con maniacale precisione dove si vedevano solo carrozze di lusso e, come dice Biagio, il Vagabondo del film Disney, i cassonnetti per l'immondizia avevano il coperchio e la gabbietta.

Vialetto e architettura di una villetta vittoriana dei quartieri alti.
da notare il viale alberato e il grande giardino intorno all'abitazione

Erano i quartieri di Kensington, Chelsea e, ancor di più, Mayfair, contorati da splendidi parchi come Hyde Park, e strade del calibro di Regent Street, Bond Street (the old) e Piccadilly, la zona dello shopping di lusso (Piccadilly Circus si trova però nel quartiere di Fulham e Hammersmith).
Erano i quartieri preferiti dai borghesi arricchitisi con i commerci e sono tutt'ora rimasti il simbolo del lusso della capitale. Ogni casa è un'ostentazion di ricchezza e potere, cito da All'improvviso tu di Lisa Kleypas:
La carrozza si muoveva in direzione del quartiere alla moda di St. James. Anche se non era mai stata a casa di Jack Devlin, aveva sentito parlare di quel posto da Oscar Fretwell. Jack aveva acquistato la casa dell'ex ambasciatore francese, che per la sua vecchiaia aveva deciso di ritirarsi sul Continente e vendere i suoi possedimento sul territorio inglese.
La casa si trovava in un'area piena di dimore eleganti, appartamenti di scapoli benestanti e negozi esclusivi.
[...]
La casa era magnifica, imponente, una residenza in stile georgiano con mattoni rossi sulla facciata, colonne bianche, frontoni e file di finestre palladiane molto ampie. I lati dell'edificio erano coperti di diramazioni di tasso e faggio che riconducevano ad altri alberi sotto cui erano stati piantati decine di ciclamini bianchi.

Lisa Kleypas, All'improvviso tu
(forse qualcosa del genere)


Un'ottima rappresentazione del tipo di case di queste zone potrebbe essere quella della villa del film Disney Lilli e il Vagabondo, oppure quella dove vive la famiglia Banks di Mary Poppins, dopotutto il padre dei ragazzini non era uno qualunque, ma un alto funzionario di banca e la vicenda è ambientata proprio a Londra.

Un viale di raccordo per le ville dei quartieri alti
Scendendo nella scala sociale, i quartieri assumono forme meno signorili, più la classe scende e minore era lo spazio da dedicare alla casetta, si abbassava la qualità delle rifiniture, il giardino non era più un parco, la strada di fronte non aveva gli alberi e probabilmente non era neppure lastricata, ma in terra battuta come quasi tutte quelle della capitale. Le case rimanevano comunque separate le une dalle altre e con quel minimo di spazio vitale che noi abitanti delle periferie del terzo millennio non sappiamo più cosa sia [tutti i giorni sento la vicina del piano di sopra litigare col marito e quando affianco a noi abitava una coppia di pazzi era decisamente poco salutare sentire quando questi si tiravano l'un l'altro vasi e piatti che si infrangevano contro il muro...].

Emma, dall'omonimo manga, stende
i panni sul retro di una casa medio

borghese

Poi c'erano i quartieri medi, le case erano addossate le une alle altre, i muri confinanti, ma mantenevano la loro parvenza signorile, i loro scalini all'ingresso, le finestrature decorate e non si innalzavano mai più di quattro piani. Vi abitavano famiglie borghesi di basso livello, negozianti che non avevano fatto i milioni, contabili, notai. Erano comunque case degne e le persone che vi vivevano potevano permettersi del personale per i lavori domestici, magari una cuoca e due o tre cameriere. Ciascuna di queste case era abitata da una sola famiglia che occupava tutti i tre o quattro piani insieme alla servitù.
Queste case, sebbene non disponessero di giardino vasto come le dimore dei ricchi, avevano comunque a disposizione un fazzoletto di terra, di solito sul retro, dove si affacciava l'entrata di servizio e dove si stendevano i panni, si battevano i tappeti e, in generale, passava la servitù; questo era contornato da uno steccato in legno, non necessariamente dipinto, oppure da un muro di cinta in mattoni, non intonacato.

Passiamo poi ai quartieri commerciali, ormai eravamo quasi alla soglia della povertà degli abitanti: le case erano a tre o quattro piani, senza basamenti né rifiniture e al posto del signorile ingresso con gradini e portone, al piano terreno c'era la bottega.
Casa e negozio erano un tutt'uno e se il garzone del negozio dormiva nel retro, su un pagliericcio, i padroni ai piani di sopra non stavano certo meglio, ma almeno avevano la possibilità di essere all'asciuto (se andava bene) e al caldo (se potevano permetterselo).

La strada dei macellai a Whitechapel, il quartiere è dei più disagiati, ma esistevano
forme di ricchezza che si esprimevano nella casa privata, nella bottega o nei
minimali fregi alle finetre. Molte costruzioni erano in legno e bruciavano con facilità.
A Covent Garden le case del genere erano ovunque, non era una consuetudine così rara che i padroni del negozio vi abitassero sopra, si tratta di un'abitudine diffusa in quasi tutte le culture, sia europee che orientali (basti vedere Il profumo della papaia verde).
Questa particolare tipologia di case era cosiderata come "i quartieri alti della povertà", ad esempio fruttivendoli e macellai dei quartieri più disagiati potevano permettersi questi lussi, cioè di possedere il negozio e la casa soprastante, mentre tutti gli altri erano in affitto in bugigattolo.

Scendiamo infine inesorabilmente verso Whitechapel, una delle zone più degradate della città situata vicino al porto e al puzzo del Tamigi, all'epoca forse più inquinato di oggi. I magazzini del fiume e le fabbriche erano poco distanti, le persone che ci abitavano autentici poveracci.
Il degrato e la povertà del quartiere di Whitechapel
intorno al 1850. Acquaforte.
Le case erano anche a quattro piani, ma vi abitava una famiglia ciascuno e spesso lo spazio era sacrificato tra la zona per dormire e la cucina. Ricordiamoci com'erano le famiglie del tempo: povere e numerosissime, con quattro o cinque figli minimo, spesso troppo piccoli per lavorare. Quasi tutti quelli che abitavano queste zone erano impiegati nelle fabbriche di tè o negli scaricatori del porto, ma alcuni avevano la fortuna di poter lavorare nell'indotto del quartiere, ad esempio nei negozi di prima necessità come verdurieri e macellai, era una fortuna perchè di queste cose c'era sempre bisogno e la gente non poteva fare a meno di comprare da mangiare, quindi si avevano più possibilità di mettere da parte il denaro con costanza. Il sogno di molte persone dei quartieri poveri era aprire un proprio negozio e poi fare fortuna, basti vedere Fiona e Joe, i protagonisti de I giorni del tè e delle rose, che all'inizio del libro stanno risparmiando per aprire una propria drogheria con spaccio di tè.
A Whitechapel la gente era così povera che si comprava carne solo per metà della famiglia, tipicamente gli uomini perchè andavano a fare i lavori di fatica, e si viveva tutti insieme, anche più famiglie per volta per risparmiare sugli affitti che, per quanto miserabili, per quelle persone erano esorbitanti e spesso dovevano rimandare di mese in mese, procrastinando finchè non avessero trovato un lavoro abbastanza remunerativo oppure finchè i padroni di casa non li sfrattavano per inquilini più rapidi nei pagamenti.

In questo post mi soffermerò particolarmente sulle abitazioni di città dei victorians, trascurerò quindi temporaneamente le ville di ristoro fuori Londra per dedicarmi alla struttura delle prime. Lascio da parte anche le case dei poveri: erano così modeste che non c'è davvero molto da dire.


L'architettura esterna
Come per la moda, per l'arte, la musica ecc, l'architettura delle case vittoriane non rimase la stessa durante tutto il periodo ottocentesco, ma mutò diverse volte nel corso del secolo, dando vita a scenari e costruzioni dallo splendido al mediocre.
Non solo, per tipologie di case diverse si impiegavano stili diversi, ad esempio nella prima metà dell'Ottocento lo stile preferito per le grandi ville fuori città, nelle Midlands inglesi, era il palladiano, oppure lo stile italiano, che poi era una copiatura del rinascimentale fiorentino, entrambi appartenenti alla corrente neoclassica; nelle abitazioni private cittadine, invece, si preferiva un neogotico abbastanza moderato per le villettine e uno stile semplice e lineare di tipo nordico per le case a schiera.

La struttura architettonica delle case singole vittoriane prevedeva che l'abitazione si sviluppasse nella maggior parte dei casi su tre piani; il pavimento della casa, in legno, non posava mai sul terreno, ma si ergeva di circa mezzo metro grazie ad un basamento anch'esso in legno o muratura che correva per tutta l'aria dell'edificio; questo poteva essere costituito da assi incrociate, mattoni, cemento oppure solo il perimetro in mattoni e il resto riempito con materiali edili di scarto (muri sbriciolati, materiale di scavo, sassi, ecc.).

Il basamento di una casa vittoriana
Il basamento permetteva di arginare i danni provocati dall'umidità che filtrava dal terreno e che andava a corrodere la struttura della casa, in gran parte di legno, esso permetteva inoltre di tenere la casa più calda e di ricavare spazi utili come cantine o ripostigli nel sottosuolo.

Casa in stile coloniale, probabilmente sita negli Stati Uniti del Sud
Prospicente alla casa c'era la veranda, anch'essa rialzata e sormontata da un colonnato che costituiva il basamento della balconata del primo piano. questa caratteristica è particolarmente accentuata nelle case in stile coloniale americane, dove l'intero edificio è preceduto da un largo portico ombreggiato dove la famiglia si sedeva nelle ore più calde della giornata.
L'idea del colonnato così comune nelle case coloniali e in quelle vittoriane è un'eredità del Neoclassico, a sua volta ispirato dall'arte e dall'architettura ellenica e classica, dalla quale aveva copiato la struttura dei templi degli dei pagani.
Le larghe colonne lignee delle case coloniali, tipicamente pitturate di bianco come i templi, in America rimasero immutate nel corso dei secoli e divennero l'emblema della casa tipo, sopravvivendo a stili diversi e culture differenti, basti prendere come esempio la Casa Bianca dove la facciata richiama chiaramente il timpano e l'ingresso del Partenone dell'Acropoli.
In Inghilterra, invece, lo stile si barcamenò tra alterne vicende, modificandosi e adattandosi al neogotico che era entrato nel gusto collettico, ecco quindi che due stili si miscelano armoniosamente e le colonne di uno si affusolano fino a diventare sottili e filiformi per adattarsi ai canoni dell'altro dando vita ad un'idea nuova, ma esteticamente molto gradevole. la casa neogotica vittoriana con colonnato e portico sarà uno degli emblemi architettonici della seconda metà del XIX secolo.

L'ingresso con gradini all'abitazione
L'ingresso dell'abitazione poteva essere sia dalla veranda o dal porticato che da una porta posta affianco. In entrambi i casi, comunque, bisognava salire alcuni gradini per via del basamento di cui abbiamo detto sopra, e la porta si apriva rigorosamente verso l'interno, ciò spiega come mai sotto questo punto di vista il manga Emma sia poco attendibile: quando la nostra cameriera apre l'uscio e manda a gambe all'aria il protagonista William Jones, peccato che se lo sfortunato spigolo non fosse andato a collidere con la fronte del "signorino", non avremmo avuto i presupposti per la bella storia narrata, ma questo è un particolare di cui la stessa Kaoru Mori parla nelle sue note a fine volume.


Il tetto
Due tipi di tetto in voga durante il periodo vittoriano
Il tetto era tipicamente spiovente, una caratteristica nata dalle condizioni climatiche della città, gli inverni continentali tipici dell'Inghilterra portano infatti neve in abbondanza e la neve appesantisce molto la struttura della casa che rischia di crollare sotto il peso aggiuntivo, mentre se il tetto è in discesa, l'accumulo è distribuito in maniera omogenea sui muri perimetrali e non sul centro del tetto, mentre la forza di gravità attira inesorabilmente la neve facendola scivolare al suolo. questo è anche il motivo per cui le case di montagna hanno sempre tetti a capanna dalla pendenza molto elevata e in alcuni casi, specialmente dei paesi scandinavi, questi sono acuminati e coprono l'intera struttura abitativa, arrivando fino a terra ed innalzandosi di molto sopra la fine della dimora per ottenere l'inclinazione necessaria.
Nel caso di tetto a capanna la parte superiore poteva essere sia a punta che tagliata, ovvero oltre una certa altezza questi era piatto o sormontato da un terrazzino, dettaglio tipico della cultura germanica dove è molto diffuso.
Oltre a queste si potevano trovare anche tetti a guglia in esperiementi particolarmente vicini al neogotico, oppure a cipolla, sebbene questa particolarità sia visibile solo in rari casi e soprattutto in America, raramente in Inghilterra.
Una caratteristica molto comune era una torretta laterale, ripresa tipicamente dal gotico, qui spesso si avevano il salottino o lo studio di casa per via dell'esposizione particolarmente luminosa.
Al seguente link troverete una panoramica dei tetti in voga durante l'epoca vittoriana
Victorian Roof and Gable Shapes


Le finestre e la porta
Varie tipologie di cornici per finestre
in stile neoclassico
Le finestrature potevano essere sia a sesto acuto che rettangolari, spesso incorniciate da infissi in legno; la forma più comune era quella a scorrimento: la finestra era costituita da due componenti distinte che costituivano la parte superiore e inferiore del riquadro e si sovrapponevano solo a metà, in quel caso la parte inferiore scorreva verso l'alto lasciando filtrare l'aria all'interno.

I decori esterni delle finestre erano quasi tutti in stile neoclassico palladiano. La finestra poteva essere sormontata da un timpano triangolare oppure rettangolare; spesso questi due erano entrambi presenti e le finestre erano alternate.
In mancanza di terrazzi, che non fanno parte della cultura anglosassone, specialmente di quella abitativa, esisteva un effetto ottico per cui nella facciata era inserita la ringhiera del poggiolo, ma questa era attaccata alla parete, non sporgente.

La porta di casa era anch'essa in stile palladiano come gli infissi delle finestre, poteva essere sia sormontata da timpano, sia ad arco a tutto resto, oppure arco a botte e in molti casi era contornata da due colonne doriche molto lineari e non troppo sporgenti. La porta aveva un colore decisamente più vivido rispeto al resto dell'intonaco, spesso sui colori pastello o sul rosso mattone, mentre questa era blu, marrone scuro, verde, ecc.


La porta sul retro
Era un passaggio di cui non dobbiamo assolutamente dimenticarci.
La porta sul retro, o porta di servizio, era adoperata dal personale di casa e adoperata per tutto quell'andirivieni informale della casa che non stava bene comparisse sotto gli occhi di tutti.
Servitori e cameriere passavano da qui, da qui venivano fatte le consegne di frutta e latte a domicilio, così come la posta per il personale e per i padroni che arrivava attraverso il comune sistema postale. Mentre se la posta era portata da un valletto, questa passava dalla porta principale sul davanti.

Le cameriere della padrona erano autorizzate ad adoperare l'ingresso principale solo quando uscivano con lei e la accompagnavano per spese, in carrozza o nei viaggi, altrimenti passavano da dietro.
Alla porta sul retro si consumavano anche gli amori dei domestici, tra cameriere, garzoni, postini e ragazzi delle consegne, e ci si scambiavano pettegolezzi con i servitori della dimora affianco.

L'ingresso sul retro riservato al personale di servizio.
Era molto più dimesso e disordinato rispetto a quello principale.
Anche la porta sul retro era dotata di scalini, ma questi spesso scendevano perchè la cucina era l'unica stanza che in alcuni casi era costruita a livello del terreno e non sopra il basamento, per una questione di sicurezza, così quando si accedeva si doveva scendere in una specie di seminterrato.
Se la casa era tutta allo stesso livello, invece c'erano tre o quattro gradini a salire come per l'ingresso principale, ma meno signorili, spesso contornati da cassette di frutta vuote o ciocchi di legna per il camino e la stufa della cucina, in modo che fossero a portata di mano senza andare nella legnaia tutte le volte.



Spero che il post sia stato interessante, ci vediamo presto con un nuovo approfondimento sulle stanze e la loro disposizione.

Baci




Mauser


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