Non preoccupatevi, non diventerò anoressica, mia madre cucina come la madre di Tula ne Il mio grosso grasso matrimonio greco e in più ci vorrebbe un discreto periodo prima che la carenza di alimenti vada ad intaccare le mie riserve di ciccia che, come ripeto sempre a chi cerca di fare il carino, non è ciccia adolescenziale.
Nondimeno sono attrattissima dai dipinti che riguardano la cucina, adoro le scene quotidiane e mi è capitato di imbattermi in uno che giudico davvero sublime, a mio avviso, vediamo se piace anche a voi o se pure oltre all'appetito ho perso anche quei pochi neuroni che mi rimanevano.
Scheda tecnica:
Titolo originale dell'opera:
Traduzione: Cameriera che travasa la zuppa dal paiolo
Autore:
Anno: seconda metà del XVIII secolo
Tipo di pittura: olio su tela
Un dipinto inconsueto, questo dovete concedermelo, almeno nei dettagli.
Perché se sono sempre le scene quotidiane a farla da padroni nelle mie scelte artistiche che già avete visto (Returning from covent Garden Market, Il giorno del bucato, L'unica figlia, Attorno al piano prima della cena, A Summer shower, After the party, La proposta di matrimonio), quasi si trattasse di scatti fotografici, attimi colti all'insaputa dei presenti dal lungo obiettivo di un paparazzo. Ma in questo caso abbiamo ben più di un'innovazione.
Innanzi tutto il dipinto è settecentesco e di ambientazione settecentesca, una scelta inusuale, per me, visto che di solito scelto momenti di vita vittoriani, questo perché, a mio parere, gli autori vittoriani erano più attenti alla realtà e a raffigurare gli aspetti della quotidianità, nei casi da me scelti, mentre nella quasi totalità dei dipinti settecenteschi e rococò in cui mi sono imbattuta la scena sembrava leccata da morire, finta, artificiosa, costruita, innaturale. In questo dipinto no.
Poi l'autore non è inglese, ma svedese, difficile mandare giù che ci fu un periodo in cui la Svezia, che noi appena consideriamo, fosse una potenza economica e politica europea, ma basta fare mente locale e rammentare un personaggio tra lo storico e il leggendario, Hans Axel von Fersen, della cui relazione forse amorosa si specula ancora oggi, ecco, il nostro Fersen proveniva proprio dalla Svezia che era una Signora Nazione.
Già questa è una bella combinazione e ci permette di addentrarci un po' di più in un mondo che tropo spesso trascuro, quello pre-vittoriano, che però fa comunque parte dei nostri approfondimenti.
Il quadro è dettagliatissimo con particolari di vita comune molo significativi circa le abitudini sia alimentari che domestiche.
L'abbigliamento
La cameriera, anzitutto, non indossa la classica divisa da maid che tutti conosciamo con abito nero, grembiule bianco e raviolo a nastri in testa, no, la cameriera non ha una divisa specifica, ma indossa un abito quotidiano, sebbene di fattura abbastanza importante, lo si capisce dalla balza della gonna, messa in mostra dalla fattura del corpetto superiore che termina all'altezza del pube.
In questo periodo le nobildonne preferivano scimmiottare lo stile popolano della pastorella con la foggia à la polonaise, altrimenti detta noble milkmaid dress, che prevedeva un significativo rigonfiamento sul posteriore dato dalle molte pieghe del tessuto, come se la ragazza si stesse levando le gonne che la infastidivano tra i piedi e le avessero ammucchiate ai lati o in vita. Le vere popolane, invece, non potevano permettersi tutto questo spreco di stoffa né l'ingombro dato da tutto quell'artificio scenico, quindi optavano per una fattura fatta da giacchetta attillata quasi militare e gonna.
È da dire che gli abiti settecenteschi, comunque nella loro ispirazione marziale mantenevano un grado di femminilità altissimo e infatti lo scollo è messo bene in evidenza dal taglio quadrato del corpetto sul seno e da quel fazzoletto che dovrebbe coprire, ma che alla fine non copre nulla. Mondo malizioso...
Le maniche dell'abito sono a tre quarti e ornate di un piccolo volant; nonostante la decorazione erano pratiche perché non rischiavano di impiastrarsi durante la preparazione dei pasti e anche la balza applicata era di dimensioni ridotte per non intralciare il lavoro, quelle delle signore, invece, erano in pizzo e molto più lunghe e voluminose (vedi Abito da corte Luigi XV).
Il grembiule della nostra cameriera è un accessorio obbligatorio, specialmente se l'abito non è poi uno straccio, ma a differenza di quelli vittoriani è decorato da una fantasia a righe trasversali, non candido e immacolato. Il grembiule, inoltre, è un pinner apron, cioè un tipo di grembiule che era fissato in vita da una fettuccia e pinzato al corpetto tramite spille o pinze e non con l'abbottonatura di una pettorina o spalline, era una foggia molto comune e rimase in voga fino al Novecento.
Prestiamo infine un occhio ai piedi, coperti da calze finissime e bianche e calzati da sabot, le classiche scarpe settecentesche non fissate al tallone, dal classico tacco a rocchetto e decorate sulla punta nei modelli più raffinati.
I sabot erano calzati non solo dalle nobildonne, ma anche dalle ragazze comuni, venivano venduti per strada ed erano calzature quotidiane, sebbene non idonee a viaggi o camminate in quanto scappavano facilmente dal piede ed si rovinavano facilmente. Questa moda si perse già nel corso del periodo Impero in favore di un tipo di calzatura più fasciante per il piede (la ballerina) sebbene non altrettanto comoda [per informazione: la suola piatta della ballerina è una maledizione per la colonna vertebrale perché obbliga chi le calza a mantenere una posizione scorretta e a spostare il peso in maniera innaturale, provocando seri danni all'articolazione del ginocchio, alla spina dorsale e alla postura delle spalle].
Oggetti quotidiani
Inutile dire che un pittore che si appresta a ritrarre una cucina deve anche prepararsi a fare i conti con una moltitudine di oggetti e utensili di uso quotidiano che potevano benissimo apparire come illustrazioni al Manuale di organizzazione della casa scritto da Isabella Beeton, ma il nostro
In alto sopra il caminetto si possono notare tre oggetti molo interessanti, nel primo gruppo troviamo un vaso per le conserve, realizzato in terracotta e un mortaio. Il mortaio era un oggetto comune per pestare gli ingredienti solidi e amalgamare, ha infatti la proprietà di riuscire a sminuzzare e allo stesso tempo mescolare omogeneamente gli ingredienti, il pesto alla genovese è sicuramente l'esempio migliore, sebbene non proprio svedese ¬_¬ nel pesto ingredienti molto diversi come formaggio solido e morbido, pinoli, noci e basilico, olio ecc vengono uniti e amalgamati grazie alla forza e al movimento rotatorio del polso fino ad ottenere la classica salsa verde dal penetrante odore e insaporita di aglio [occhio che il pesto alla genovese, quello tipico di Prà contiene un sacco di aglio. Il pesto senza aglio non è pesto].
Dal mortaio in oggetto, completo di manici per un'impugnatura solida ed ergonomica, spunta anche il pestello [l'autore doveva andare a farsi vedere da un bravo analista, questo è poco ma sicuro].
Affianco a questi oggetti vediamo qualcosa di altrettanto particolare che fino ad oggi non avevamo ancora visto ritratto: un macinino. Il macinino era usato per triturare semi e, specialmente, cacao e caffè. Entrambe queste bevande erano consumate dalla nobiltà, in particolare la cioccolata calda era usata per fare colazione [mica scemi!].
Il caffè era entrato nella consumazione delle corti europee durante il Seicento arrivando dalla Spagna, il cacao pressappoco nello stesso periodo, ma era decisamente più apprezzato, anche grezzo.
Singolare è trovare, quasi al margine del dipinto, una scopa per pavimenti. Anche se passava spesso inosservata ai pittori, la scopa era un accessorio imprescindibile in una cucina, dove in cucina, dove ingredienti e scarti finivano sempre sul pavimento e, se vi fossero rimasti, avrebbero attirato tutte le bestie della casa: cani, gatti, topi, ecc.
Le sguattere di cucina facevano periodici giri con la scopa in mano per togliere i residui che venivano differenziati tra organico, ancora adoperabile per i maiali o per altri animali, e non riutilizzabili, che venivano sotterrati nell'aia intorno casa o gettati nel pozzo.
Attualmente al Museo della ceramica di Faenza è presente una mostra con tutte le particolarità riemerse dopo il prosciugamento degli antichi pozzi della città, ditemi se è poco!
La scopa, a differenza di quello che si crede, non era già più il modello di ramazza medievale in saggina, tutta storta e nodosa, modello Harry Potter tanto per intenderci, era un oggetto raffinato e tornito e le setole abbinate con cura in due colori (ottimo il pelo di cinghiale), già segno che la casa non era proprio una cascina, ma una casa di ricchi.
Spostiamo adesso lo sguardo nell'angolo in basso a sinistra e notiamo un'abbinata interessante: un otre e un paiolo.
L'otre, in terracotta o ceramica, era usato per conservare i liquidi e le sostanze molli, la verdura e la carne essiccata o salata, sebbene in quel caso si sarebbe dovuto trovare nella dispensa, era inoltre adoperato per spezie e aromi, ma a giudicare dalla mancanza del tappo si trattava di un otre per liquidi, olio, condimento, conserva, ecc.
Accanto all'otre, in basso rovesciato c'è un paiolo, ad occhio di ottone o di rame lucidato. Questi due materiali erano i prescelti per la realizzazione di tegami e pentole da cucina, resistevano bene e uniformavano il calore garantengo una buona cottura senza deformarsi, fondere o contaminare le pietanze.
Il paiolo, nello specifico, era corredato da due fori o due anelli laterali tra i quali passava un arco metallico robusto, in genere ferro, attraverso il uale si agganciava ad un bracco il pentolone e lo si spostava sul fuoco.
Il tegame in questione è di dimensioni ridotte, niente di esagerato come quello che ricordiamo da Biancaneve, sebene vi assomigli nella forma. La classica sagoma dal fondo arrotondato vista invece ne La spada nella roccia, retaggio medievale, era in disuso già da tempo in favore di un fondo piatto o appena concavo.
Curiosamente, mentre il resto degli utensili è ordinatamente riposto nella sua posizione, il paiolo in terra è l'unico oggetto un po' in disordine, probabilmente l'ennesimo tocco per trasmettere quotidianità e utilizzo attraverso l'immagine: visto che il paiolo è lindo, probabilmente era stato appena lavato e stava in quella posizione a scolare l'acqua.
CURIOSITA': il paiolo in ottone rovesciato nell'angolo è comune anche ad un altro dipinto di un autore di nome Jean-Baptiste Siméon Chardin e intitolato Donna che lava le stoviglie.
Gestualità
Essendoci un solo personaggio in scena nel quadro, la gestualità è limitata, ma non per questo meno significativa.
La cameriera del dipinto, infatti, sta travasando la zuppa in una zuppiera di porcellana dipinta; questa particolarità ha molti significati, innanzi tutto i destinatari della portata saranno i padroni di casa, o comunque gli abitanti dei piani alti, questi pranzano o cenano in sala da pranzo, visto che si sta impiegando un servizio da portata di buona qualità e, considerando la fattura pregevole della stoviglia, probabilmente si tratta di una famiglia facoltosa, cosa che si era già scoperto vedendo la scopa, il macinino per aromi esotici e i tegami in ottone anzichè rame.
Il cucchiaio usato dalla domestica è in legno, come quello delle nostre nonne e della tradizione culinaria che non altera il sapore, ma lo arrotonda, è naturale. In passato moltissimi utensili da cucina che noi siamo abituati a vedere in metallo erano in legno, ad esempio gli scolapasta, gli imbuti, mestoli e cucchiai, coperchi, ecc.
Spero davvero che il dipinto vi sia piaciuto, noi ci vediamo presto,
ciao a tutti!
Mauser
Nondimeno sono attrattissima dai dipinti che riguardano la cucina, adoro le scene quotidiane e mi è capitato di imbattermi in uno che giudico davvero sublime, a mio avviso, vediamo se piace anche a voi o se pure oltre all'appetito ho perso anche quei pochi neuroni che mi rimanevano.
Scheda tecnica:
Titolo originale dell'opera:
Traduzione: Cameriera che travasa la zuppa dal paiolo
Autore:
Anno: seconda metà del XVIII secolo
Tipo di pittura: olio su tela
Un dipinto inconsueto, questo dovete concedermelo, almeno nei dettagli.
Perché se sono sempre le scene quotidiane a farla da padroni nelle mie scelte artistiche che già avete visto (Returning from covent Garden Market, Il giorno del bucato, L'unica figlia, Attorno al piano prima della cena, A Summer shower, After the party, La proposta di matrimonio), quasi si trattasse di scatti fotografici, attimi colti all'insaputa dei presenti dal lungo obiettivo di un paparazzo. Ma in questo caso abbiamo ben più di un'innovazione.
Innanzi tutto il dipinto è settecentesco e di ambientazione settecentesca, una scelta inusuale, per me, visto che di solito scelto momenti di vita vittoriani, questo perché, a mio parere, gli autori vittoriani erano più attenti alla realtà e a raffigurare gli aspetti della quotidianità, nei casi da me scelti, mentre nella quasi totalità dei dipinti settecenteschi e rococò in cui mi sono imbattuta la scena sembrava leccata da morire, finta, artificiosa, costruita, innaturale. In questo dipinto no.
Poi l'autore non è inglese, ma svedese, difficile mandare giù che ci fu un periodo in cui la Svezia, che noi appena consideriamo, fosse una potenza economica e politica europea, ma basta fare mente locale e rammentare un personaggio tra lo storico e il leggendario, Hans Axel von Fersen, della cui relazione forse amorosa si specula ancora oggi, ecco, il nostro Fersen proveniva proprio dalla Svezia che era una Signora Nazione.
Già questa è una bella combinazione e ci permette di addentrarci un po' di più in un mondo che tropo spesso trascuro, quello pre-vittoriano, che però fa comunque parte dei nostri approfondimenti.
Il quadro è dettagliatissimo con particolari di vita comune molo significativi circa le abitudini sia alimentari che domestiche.
L'abbigliamento
La cameriera, anzitutto, non indossa la classica divisa da maid che tutti conosciamo con abito nero, grembiule bianco e raviolo a nastri in testa, no, la cameriera non ha una divisa specifica, ma indossa un abito quotidiano, sebbene di fattura abbastanza importante, lo si capisce dalla balza della gonna, messa in mostra dalla fattura del corpetto superiore che termina all'altezza del pube.
In questo periodo le nobildonne preferivano scimmiottare lo stile popolano della pastorella con la foggia à la polonaise, altrimenti detta noble milkmaid dress, che prevedeva un significativo rigonfiamento sul posteriore dato dalle molte pieghe del tessuto, come se la ragazza si stesse levando le gonne che la infastidivano tra i piedi e le avessero ammucchiate ai lati o in vita. Le vere popolane, invece, non potevano permettersi tutto questo spreco di stoffa né l'ingombro dato da tutto quell'artificio scenico, quindi optavano per una fattura fatta da giacchetta attillata quasi militare e gonna.
È da dire che gli abiti settecenteschi, comunque nella loro ispirazione marziale mantenevano un grado di femminilità altissimo e infatti lo scollo è messo bene in evidenza dal taglio quadrato del corpetto sul seno e da quel fazzoletto che dovrebbe coprire, ma che alla fine non copre nulla. Mondo malizioso...
Le maniche dell'abito sono a tre quarti e ornate di un piccolo volant; nonostante la decorazione erano pratiche perché non rischiavano di impiastrarsi durante la preparazione dei pasti e anche la balza applicata era di dimensioni ridotte per non intralciare il lavoro, quelle delle signore, invece, erano in pizzo e molto più lunghe e voluminose (vedi Abito da corte Luigi XV).
Il grembiule della nostra cameriera è un accessorio obbligatorio, specialmente se l'abito non è poi uno straccio, ma a differenza di quelli vittoriani è decorato da una fantasia a righe trasversali, non candido e immacolato. Il grembiule, inoltre, è un pinner apron, cioè un tipo di grembiule che era fissato in vita da una fettuccia e pinzato al corpetto tramite spille o pinze e non con l'abbottonatura di una pettorina o spalline, era una foggia molto comune e rimase in voga fino al Novecento.
Prestiamo infine un occhio ai piedi, coperti da calze finissime e bianche e calzati da sabot, le classiche scarpe settecentesche non fissate al tallone, dal classico tacco a rocchetto e decorate sulla punta nei modelli più raffinati.
I sabot erano calzati non solo dalle nobildonne, ma anche dalle ragazze comuni, venivano venduti per strada ed erano calzature quotidiane, sebbene non idonee a viaggi o camminate in quanto scappavano facilmente dal piede ed si rovinavano facilmente. Questa moda si perse già nel corso del periodo Impero in favore di un tipo di calzatura più fasciante per il piede (la ballerina) sebbene non altrettanto comoda [per informazione: la suola piatta della ballerina è una maledizione per la colonna vertebrale perché obbliga chi le calza a mantenere una posizione scorretta e a spostare il peso in maniera innaturale, provocando seri danni all'articolazione del ginocchio, alla spina dorsale e alla postura delle spalle].
Oggetti quotidiani
Inutile dire che un pittore che si appresta a ritrarre una cucina deve anche prepararsi a fare i conti con una moltitudine di oggetti e utensili di uso quotidiano che potevano benissimo apparire come illustrazioni al Manuale di organizzazione della casa scritto da Isabella Beeton, ma il nostro
In alto sopra il caminetto si possono notare tre oggetti molo interessanti, nel primo gruppo troviamo un vaso per le conserve, realizzato in terracotta e un mortaio. Il mortaio era un oggetto comune per pestare gli ingredienti solidi e amalgamare, ha infatti la proprietà di riuscire a sminuzzare e allo stesso tempo mescolare omogeneamente gli ingredienti, il pesto alla genovese è sicuramente l'esempio migliore, sebbene non proprio svedese ¬_¬ nel pesto ingredienti molto diversi come formaggio solido e morbido, pinoli, noci e basilico, olio ecc vengono uniti e amalgamati grazie alla forza e al movimento rotatorio del polso fino ad ottenere la classica salsa verde dal penetrante odore e insaporita di aglio [occhio che il pesto alla genovese, quello tipico di Prà contiene un sacco di aglio. Il pesto senza aglio non è pesto].
Dal mortaio in oggetto, completo di manici per un'impugnatura solida ed ergonomica, spunta anche il pestello [l'autore doveva andare a farsi vedere da un bravo analista, questo è poco ma sicuro].
Affianco a questi oggetti vediamo qualcosa di altrettanto particolare che fino ad oggi non avevamo ancora visto ritratto: un macinino. Il macinino era usato per triturare semi e, specialmente, cacao e caffè. Entrambe queste bevande erano consumate dalla nobiltà, in particolare la cioccolata calda era usata per fare colazione [mica scemi!].
Il caffè era entrato nella consumazione delle corti europee durante il Seicento arrivando dalla Spagna, il cacao pressappoco nello stesso periodo, ma era decisamente più apprezzato, anche grezzo.
Singolare è trovare, quasi al margine del dipinto, una scopa per pavimenti. Anche se passava spesso inosservata ai pittori, la scopa era un accessorio imprescindibile in una cucina, dove in cucina, dove ingredienti e scarti finivano sempre sul pavimento e, se vi fossero rimasti, avrebbero attirato tutte le bestie della casa: cani, gatti, topi, ecc.
Le sguattere di cucina facevano periodici giri con la scopa in mano per togliere i residui che venivano differenziati tra organico, ancora adoperabile per i maiali o per altri animali, e non riutilizzabili, che venivano sotterrati nell'aia intorno casa o gettati nel pozzo.
Attualmente al Museo della ceramica di Faenza è presente una mostra con tutte le particolarità riemerse dopo il prosciugamento degli antichi pozzi della città, ditemi se è poco!
La scopa, a differenza di quello che si crede, non era già più il modello di ramazza medievale in saggina, tutta storta e nodosa, modello Harry Potter tanto per intenderci, era un oggetto raffinato e tornito e le setole abbinate con cura in due colori (ottimo il pelo di cinghiale), già segno che la casa non era proprio una cascina, ma una casa di ricchi.
Spostiamo adesso lo sguardo nell'angolo in basso a sinistra e notiamo un'abbinata interessante: un otre e un paiolo.
L'otre, in terracotta o ceramica, era usato per conservare i liquidi e le sostanze molli, la verdura e la carne essiccata o salata, sebbene in quel caso si sarebbe dovuto trovare nella dispensa, era inoltre adoperato per spezie e aromi, ma a giudicare dalla mancanza del tappo si trattava di un otre per liquidi, olio, condimento, conserva, ecc.
Accanto all'otre, in basso rovesciato c'è un paiolo, ad occhio di ottone o di rame lucidato. Questi due materiali erano i prescelti per la realizzazione di tegami e pentole da cucina, resistevano bene e uniformavano il calore garantengo una buona cottura senza deformarsi, fondere o contaminare le pietanze.
Il paiolo, nello specifico, era corredato da due fori o due anelli laterali tra i quali passava un arco metallico robusto, in genere ferro, attraverso il uale si agganciava ad un bracco il pentolone e lo si spostava sul fuoco.
Il tegame in questione è di dimensioni ridotte, niente di esagerato come quello che ricordiamo da Biancaneve, sebene vi assomigli nella forma. La classica sagoma dal fondo arrotondato vista invece ne La spada nella roccia, retaggio medievale, era in disuso già da tempo in favore di un fondo piatto o appena concavo.
Curiosamente, mentre il resto degli utensili è ordinatamente riposto nella sua posizione, il paiolo in terra è l'unico oggetto un po' in disordine, probabilmente l'ennesimo tocco per trasmettere quotidianità e utilizzo attraverso l'immagine: visto che il paiolo è lindo, probabilmente era stato appena lavato e stava in quella posizione a scolare l'acqua.
CURIOSITA': il paiolo in ottone rovesciato nell'angolo è comune anche ad un altro dipinto di un autore di nome Jean-Baptiste Siméon Chardin e intitolato Donna che lava le stoviglie.
Gestualità
Essendoci un solo personaggio in scena nel quadro, la gestualità è limitata, ma non per questo meno significativa.
La cameriera del dipinto, infatti, sta travasando la zuppa in una zuppiera di porcellana dipinta; questa particolarità ha molti significati, innanzi tutto i destinatari della portata saranno i padroni di casa, o comunque gli abitanti dei piani alti, questi pranzano o cenano in sala da pranzo, visto che si sta impiegando un servizio da portata di buona qualità e, considerando la fattura pregevole della stoviglia, probabilmente si tratta di una famiglia facoltosa, cosa che si era già scoperto vedendo la scopa, il macinino per aromi esotici e i tegami in ottone anzichè rame.
Il cucchiaio usato dalla domestica è in legno, come quello delle nostre nonne e della tradizione culinaria che non altera il sapore, ma lo arrotonda, è naturale. In passato moltissimi utensili da cucina che noi siamo abituati a vedere in metallo erano in legno, ad esempio gli scolapasta, gli imbuti, mestoli e cucchiai, coperchi, ecc.
Spero davvero che il dipinto vi sia piaciuto, noi ci vediamo presto,
ciao a tutti!
Mauser
Questo post (ammiro molto la tua capacità di analizzare un quadro e di scriverne in modo così piacevole) conferma il pensiero che trovi nel mio blog. Se hai tempo, passa a prendere un tè con zia Jane...
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