5 settembre 2011

Il duro inverno nella baita di Heidi

Cari lettori,
la tematica delle dimore, costruzioni, case e arredamenti è per me estremamente interessante, ormai è stata sviscerata in maniera, a mio avviso, abbastanza approfondita ed è per questo che volevo dare un ultimo tocco alla descrizione fatta nel post Nelle case di contadini e poveri.
Nello specifico vorrei approfondire un minimo il problema delle case dei contadini. Quando noi persone del XXI secolo pensiamo ai contadini ci vengono in mente le immense fattorie americane, i ranch di Montana Sky [tra l'altro un film che adoro e spero che pubblichino presto il libro anche in Italia], oppure i grandi cascinali della pianura padana.
L'ingresso dell'abitazione con un piccolo
focolare nel pavimento
In realtà la situazione era piuttosto diversa e decisamente più modesta di quanto la raffiguriamo.
La mia vacanza in Val d'Aosta, meta di ripiego dopo aver dovuto abbandonare l'idea di Vienna, mi ha portata a scoprire un interessante Museo Etnografico, la Maison Gerard Dayné, che ha aperto gli occhi anche a me: sebbene io mi approcci alla storia con sufficiente disillusione da non credere a tutte le favole che ci raccontano i romanzi o che la televisione vuole passarci [badate bene che la televisione è un nemico subdolo], neppure io immaginavo la vita in modo così spartano.

La situazione dei contadini negli anni tra il Settecento e l'Ottocento era drammatica e questo è già un indizio per capire come mai la rivolta della Rivoluzione Francese sia avvenuta in città, mentre nella Vallonia si rifiutavano di riconoscere la nuova autorità repubblicana: avevano pensieri più pressanti di cui occuparsi, tipo lavorare per sfamarsi.
Se il tempo dei servi della gleba era ormai trascorso e il Medioevo lontano, altrenttanto non si poteva dire della situazione, a tutti gli effetti i contadini erano una proprietà del latifondista, feudatario, visconte o vescovo locale, che possedeva l'appezzamento di terreno che coltivanao o dove pascolavano i loro animali. Il loro signore riscuoteva periodicamente i frutti della terra privandoli non di viveri extra, ma di quel poco che, già così, avrebbe a stento sfamato tutti. Le figlie dei contadini andavano a lavorare i campi o a servizio presso la casa del padrone e sposavano altri contadini della zona a loro volta agli ordini di qualche signore. Nel Settecento, prima della svolta ideologica illuminista e dell'avvento borghese, la ricchezza era ancora basata sulla quantità di terre possedute perchè dalla terra veniva il denaro.



La casa di un contadino, come abbiamo visto, era poco più di una stalla, ma vorrei farvi entrare con me per mostrarvi come era strutturata all'interno: la costruzione che comprendeva in sé sia la parte abitativa che la stalla, sebbene le due spesso si confondessero.

Tutti i membri della famiglia abitavano la stessa casa che passava dal patriarca al suo figlio maggiore, i figli maschi secondogeniti solitamente lasciavano l'abitazione per costruire la propria e la loro vita altrove, mentre le figlie la abbandonavano con il matrimonio, rimanevano le figlie zitelle e i figli fantini, cioè celibi, più i parenti vedovi e indigenti come zii e nonni, in questo modo la quantità di persone in casa era sempre equilibrata, grossomodo non si era mai meno di quattro, fino ad un massimo di una quindicina, più che altro dovuto allo spazio fisico.

Un armadio a muro per risparmiare spazio
Lo spazio, infatti, era sempre poco, conteso tra tutti coloro che abitavano nell'edificio, uomini e bestie, ma soprattutto tra gli abitanti e i loro mobili che erano minimalisti, infatti l'arredamento più consueto di questo genere di abitazione era costituito da stipi ed armadietti a muro scavati nella spessa parete domestica.
Una casa di contadini benestanti era strutturata su due piani, l'abitazione più il fienile, raramente si saliva oltre in quanto la possibilità di costruire dimore tanto alte e architettonicamente complesse andava oltre le conoscenze sia culturali che finanziarie dei paesi contadini.
Le costruzioni erano sempre sistemate sopra massi, pietre e muraglioni rocciosi: potrebbe apparire una scelta inconsueta o scomoda, ma molto coerente in quanto sfruttando le zone morte si sarebbero trovati al di fuori dei terreni fertili e pianeggianti, per non privarsi di un appezzamento, anche piccolo, in cui si poteva coltivare. Le rocce, inoltre, formavano solide fondamenta delle abitazioni su cui far crescere i muri delle case che potevano arrivare fino a 80cm di spessore e rendevano molto più solida e stabile l'intera struttura.

I due piani dell'abitazione erano adibiti a funzioni differenti: il piano terreno, a contatto con il pavimento, era per le persone e gli animali, il sottotetto, invece era adibito a fienile e a ripostiglio per le provviste che non sarebbero marcite (pane, oggettistica, attrezzi, legumi) se si aveva la fortuna di possederne; nel caso dei più ricchi esistevano anche delle cantine scavate nel sottosuolo a cui si accedeva tramite ripide scale scavate nella terra o nella roccia. Le cantine erano sempre più d'una e ciascuna aveva una propria destinazione: nella casa da me visitata se ne incontravano tre destinate rispettivamente alle provviste di vegetali, ai formaggi e al vino, questa scelta era fatta per far sì che i sapori non si mescolassero, contaminando profumo e gusto degli alimenti. Le tre cantine erano comunicanti tramite porte, ma costruite a livelli differenti (3-4 cm di dislivello) che conferivano a ciascuna un grado di temperatura differente (uno sbalzo termico di 3-5 °C): le più fredde erano per il formaggio, le più calde per il vino. Un particolare interessante è che il soffitto delle cantine non era intonacato, in questo modo la pietra in cui era costruito poteva respirare e assorbire l'umidità rilasciata dagli alimenti, se invece si passava la malta sulle pietre l'ambiente rimaneva forzatamente impermeabilizzato e i cibi finivano con il marcire.

Focolare di una stanza del fuoco
L'ingresso della casa aveva il pavimento in terra battuta e questo suggerisce che lì passavano anche gli animali e alcuni, come muli o asini, vi stazionavano anche, se la famiglia era sufficientemente fortunata da possederne. Avere un asino era una gran ricchezza, se ne avevano un paio per ogni villaggio e se avete letto I Malavoglia di Giovanni Verga sapete bene che la povera Mena è costretta a rifiutare Alfio prima per la sua povertà e poi, quando arriva con l'asino, perchè le malefatte di Lara avevano contaminato anche la sua reputazione [non certo un'eroina moderna, il canone odierno vuole che per amore si passi sopra a qualunque trascorso].


Per riscaldarsi in casa i camini erano poco efficaci, erano spesso singoli, a volte anche solo miseri focolari nel pavimento, e il loro potere calorifico decisamente ridicolo, per questo le stanze dove erano posti, chiamate stanze del fuoco, venivano adoperate per i lavori invernali, per esempio il ricamo, ma soprattutto la preparazione di prodotti caseari.
Lo strumento più efficace per avere un po' di tepore era dividere il proprio spazio con altri mammiferi, meglio se grossi e pelosi: le pecore erano quotatissime.

La stanza più importante della casa, quindi, non era quella con il camino, ma quella con gli animali, una stalla comune a uomini e bestiame.
Si trattava della più grande dell'edificio, interamente rivestita in legno come coibentante ed era costituita da due o più ambienti comunicanti: nel più grande sedevano le persone, lavorando e parlando e conducendo la vita di famiglia, le donne cucivano, ricamavano o lavoravano i merletti al tombolo, sgrossavano, filavano e tessevano la lana mentre gli uomini approntavano gli strumenti per la primavera e il lavoro dei campi, solitamente questo ambiente era costituito da un tavolo centrale e da alcune panche addossate alla parete, la scelta è da ricercarsi proprio nella mancanza di spazio di cui abbiamo detto poc'anzi.
Una stanza comune con alcuni attrezzi da lavoro
Notate con attenzione che non ci sono sedie, troppo ingombranti, ma panche alle pareti


Gli altri ambienti comunicanti erano destinati agli animali: pollaio, stalla e recinto chiuso.
Avere delle pecore nel recinto era estremamente comodo d'inverno, insieme ad esse venivano sistemate le culle dove dormivano fino a tre neonati l'una, mentre sopra le teste degli animali era sistemato un ripiano di legno simile ad una mensola molto larga dove dormivano i padroni di casa in quanto quello era l'ambiente più caldo. Gli altri si sistemavano sul pavimento della stanza, che era di legno e, quindi, meno gelido.
Il fienile, per quanto comodo, era usato come giaciglio solo d'estate perchè, essendo aperto per arieggiare paglia e fieno, d'inverno era anche estremamente freddo.

Una vista degli ambienti della casa con stalla e recinto.
La zona delimitata dalla tendina e con la culla era il recinto dove erano tenute le pecore, solitamente chiuso da una cassapanca che fungeva anche da mangiatoia. Sopra le loro teste era posta una trave dove dormivano le persone.
Dietro al recinto c'era la stalla delle vacche, mentre l'angolo di pavimento che spunta proprio al centro appartiene alla stanza della foto precedente, la sala comune (angolo in basso a sinistra), che come vedete era comunicante col recinto e la stalla.


La scelta di vivere insieme agli animali può forse non sembrare estremamente igienica, ma era la migliore in quanto la presenza di tanti mammiferi insieme creava un'atmosfera più calda rispetto alle altre camere, certo non i 20°C a cui siamo abituati [dimentichiamoci gli scioperi bianchi fatti a scuola quando i caloriferi non funzionavano], ma comunque meglio della media al di fuori, che arrivava anche a -20°C.
Certo questi animali con i loro parassiti, pulci, zecche, ecc erano estremamente pericolosi per i neonati il cui sistema immunitario non era ancora sviluppato, ecco quindi spiegato come mai molti bimbi morivano giovanissimi o non superavano l'inverno, le temperature freddissime e l'igiene domestica erano le principali cause di mortalità.
Se la cosa stupisce, comunque, basta pensare a quante malattie si sono debellate da quando Florence Nightingale, la signora con la lanterna, ottenne che fosse obbligatorio per il personale medico di lavarsi le mani prima di operare su un paziente...

Come avrete capito, la vita era difficilissima, anche terminato il rigido inverno sopravvivere era arduo; in primavera si piantavano molte colture come segale e ortaggi nei campi, patate e granoturco, ma nessuna di queste avrebbe dato i suoi frutti prima dell'estate, come fare quindi a sopravvivere?
Beh, si usciva di casa e si andava alla ricerca di vegetali selvatici, nei mesi primaverili i contadini che si occupavano di lavorare la terra e di coltivare mangiavano spinacio selvatico, cardo, ortica, ecc. come i topolini di Boscodirovo, con quelli si preparavano contorni e confetture, composte e minestroni.
Questa fissazione per il verde era dovuta principalmente al fatto che durante l'inverno si era consumato solamente carne essiccata, latte e derivati e pane duro e secco (perchè il pane si faceva una o due volte l'anno e lo si ammollava nel brodo, nel latte o nel vino), usciti finalmente alla luce, quindi, i contadini avevano necessità di consumare delle fibre piuttosto che zuccheri o proteine.
Il fienile (ristrutturato e visitabile)


L'inverno non era semplicemente un periodo di freddo fastidioso, patendo il freddo lo si temeva molto di più, cadevano fino a 8m di neve l'anno, coprendo quasi del tutto le case e i loro ingressi, le persone rimanevano confinate nelle mura domestiche dai 3 ai 7 mesi l'anno e dovevano essere provviste di tutto il necessario per sopravvivere come ad un assedio, a primavera poi si contavano quelli rimasti e si aggiornavano i registri o si celebravano i funerali.
Riuscite ad immaginare 7 mesi in compagnia dei propri parenti senza privacy né diversivi alle noiose serate?
Ascoltare favole, racconti di guerra o vicende della valle o del luogo era il massimo divertimento, chiusi in una stanza così a lungo rendeva i legami non sempre buoni, i rapporti tra le varie donne di casa erano spesso tesi a causa della gerarchia che imponeva l'età, la data del matrimonio e il componente a cui si era sposati come una scala rigida. La suocera aveva potere illimitato sulla giovane nuora, per questo molte figliole che prendevano marito ponevano come condizione di non avere la madre di lui tra i piedi, l'ex fidanzata del mio defunto nonno rifiutò apposta la sua proposta di matrimonio perchè lui, rimasto solo con la madre, si rifiutò di abbandonarla e la giovinetta, a quanto pare, non era disposta a dividere il suo scettro del comando con nessuno. Bell'ipocrita, la signorina!
Anche tra le nuore la rivalità spesso era molto sentita, si scatenavano piccole faide in cucina o al tavolo e le donne di casa concorrevano nel ricamare il pizzo più pregiato o tessere il tessuto più raffinato.
Inutile dire che in una realtà e in una società come quella essere inabili al lavoro era una morte. Gli anziani vivevano poco, le condizioni erano estreme, i menomati spesso impazzivano per l'inedia e le persone con problemi fisici o mentali non sopravvivevano a lungo, le malattie erano un terrore e la peste non era che una delle tante, ma si moriva per un banale raffreddore.

Quando pensiamo al passato, non immaginiamoci soltanto l'affolata sala da ballo di Almack's, perlaltro fredda, ma soffermiamoci un attimino a figurarci a dormire abbracciati ad un segugio pulcioso, sopra le teste di pecore, sposate ad un caprone montanaro o ad una bisbetica di villaggio con la penetrante voce da trogolo e le maniere di uno scaricatore.
Due porta-tombolo, deliziosamente rifiniti
con colori e disegni.
Sulle sbarrette erano posti dei cilindri
imbottiti usati per fare il pizzo chiacchierino
Il vestito della povera gente era uno solo per sempre, per le donne era composto da una scamiciata informe che doveva appositamente nascondere le forme femminili, per gli uomini pantaloni e bolero, cardigan e cappello; ad entrambi era abbinata una camicia bianca: si riconosceva facilmente la camicia del giorno di festa perchè aveva il pizzo anche sui polsini, che altrimenti mancava per non intralciare il lavoro.
La camicia la si lavava una volta al mese, i più fortunati ne avevano due o tre, il vestito mai e quando era troppo sudicio lo si tingeva, lavarlo era impensabile, la stoffa si sarebbe rovinata e avrebbe impiegato troppo tempo per asciugare, frangente nel quale la persona non aveva altro con cui andare in giro e svolgere le proprie faccende. Il grembiule del vestito era fissato in vita con una fettuccia colorata, se questa era interamente verde significava che la donna era nubile, altrimenti se aveva la terminazione rossa voleva significare che era già sposata [come le nostre magliette con scritto Sono single oppure Cerco boyfriend].

Per gli uomini l'unica decorazione era sul cappello, dove era posto uno specchietto contornato di fiori: è da lì che viene il modo di dire specchietto per le allodole, dove allodole sono le ragazze, in quanto la decorazione doveva essere posta sul fronte del cappello e il riverbero luccicante avrebbe dovuto attirare l'attenzione delle pulzelle sostenendo la condizione di celibe dell'uomo.
Ai piedi di queste persone c'erano scarpacce di pelle scadente, più spesso ancora zoccoli in legno, i cosiddetti sabot scavati nel tronco fresco, duri e scomodi e non certo caldi per camminare nella neve.

Dopo tutto questo, vorreste davvero andare a vivere nel Settecento?
Tanto per informazione, la gente ha vissuto così fino agli anni '40 del Novecento, non troppo tempo fa per guardarli con disprezzo, chiamarli trogloditi e villani come mi è capitato di sentire: erano persone apprezzabilissime e piene di dignità e voglia di vivere che faceva loro onore, è umiliante riconoscere nella nostra facilitata società moderna, invece, così tanti morti viventi, persone senza sugo, senza scopi e senza voglia di vivere nonostante la felice esistenza che è stata data loro.
Questa non è una predica, né una ramanzina, chi legge questo blog so che lo fa anche per imparare e questo fa onore a loro, anche io imparo facendo ricerche e non voglio essere né ipocrita né paternalista, non mi si addice nessuna delle due etichette, ma credo sia giusto sfrondare le figure storiche di tutti i falsi miti che sono stati appiccicati sopra nel corso del tempo come i liceni agli alberi, stratificandosi fino a nascondere completamente la forma originaria. Apriamo gli occhi e guardiamo il passato per quello che era, non solo una bella favola: questo, purtroppo (e parlo per esperienza) ci farà apprezzare un po' meno certe letture piuttosto superficiali, ma darà nuovo slancio alla bellezza della nostra vita e nuova passione per i contenuti validi della cultura con cui entriamo in contatto.

Con affetto,




Mauser

4 commenti:

  1. Un altro splendido post. Un argomento che mi appassiona molto. Dopo essere stata a Matera e aver cercato di capire come si viveva nei Sassi ho tolto anche io quella patina di nostalgia per il passato.
    Mi sono poi interessata alla vita dei contadini nella mia provincia e ho visto, anche se non così drammatica come a Matera, la vita era dura per tutti, inimmaginabile.

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  2. Fantastico, Mauser... come sempre un tuffo nel tempo e nello spazio, tanto vivo che pare quasi di sentire sulla pelle e nelle narici le sensazioni e i profumi di allora.... Grazie! ^_^

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  3. * Le campagne italiane da Roma antica al Settecento - Barberis
    * Le campagne italiane dall'Ottocento a oggi - Barberis

    Ti consiglio questi due saggi della Laterza ;)

    PS. sai che sta per uscire North and South in italiano di Elizabeth Greskell?
    Se ne occupa una piccola casa editrice di Perugia la Jo March...ecco qua un'anteprima sperando di farti cosa gradita ;)

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  4. Leggerò sicuramente i due saggi che mi hai segnalato, anche se la storia d'italia non mi appassiona più di tanto quando si tratta di storie di vita non bado al confine =)

    Avevo ricevuto qualche notizia della pubblicazione, visto che c'erano già state diverse false news mi ero trattenuta dal mostrare troppo entusiasmo sperando non fosse l'ennesima bufala, ma se invece fosse reale NON VEDO L'ORA!
    In originale l'ho trovato fantastico, ma leggerlo nella mia lingua, se ben tradotto, avrebbe tutt'altro sapore

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