28 giugno 2011

La polka

La polka è un ballo in 2/4 che deriva da danze popolari, non necessariamente polacche, ed era caratterizzata da un ritmo molto allegro, sebbene non velocissimo come la giga.




Storia e leggenda

Le sue origini sono avvolte nel mistero, più leggendarie che storiche, si narra che il musicista Jesep Neruda, vide un giorno una contadinella boema ballare a ritmo dell'allegra musica popolare e rimase colpito tanto da scriverci sopra un pezzo che cominciò a spopolare nell'area germanica dell'Europa, sia a Praga che a Baden finchè nel 1835 la polka entrò nel repertorio della banda militare boema e la popolarità del ballo si estende a macchia d'olio.

Favole a parte, la polka si rifà in maniera molto pronunciata ad alcuni tipi di danza popolare molto diffusi in tutta l'Europa centro-orientale: Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria, ecc. per questo motivo, si suppone, prese il nome di polka, un toponimo, cioè derivato dal nome del luogo di origine o dove più comunemente era ballata, esattamente come la pavana e altre danze settecentesche.




I passi della polka richiamano quelli di un veloce one step, ma sono molto affini alle movenze dei balli delle quattro province, irlandesi, francesi e occitane.

Sebbene sia facilmente riconoscibile, una delle caratteristiche più univoche di questo ballo è la versione ballarata con il galop, una sequenza di passi laterali fatti dai ballerini mentre seguono il perimetro della pista da ballo e si girano, di volta in volta, in fronte o di schiena.
Il galop divenne poi famoso alla fine dell'Ottocento quando molti compositori lo impiegarono nelle loro opere, sfruttando il suo ritmo accelerato, un caso famoso è il Viaggio di Orfeo all'Inferno di Jacques Offenbach, il cui galop finale, denominato Galop Infernale sia per la tematica dell'opera che per la velocità di esecuzione, è quello che quasi tutti noi conosciamo come colonna sonora del cancan del Moulin Rouge.


Il salterello che si nota a circa metà del balletto è un chiaro richiamo Settecentesco quando i ballerini danzavano ad un metro di distanza l'uno dall'altro e il ballo era una forma acrobatica [come la breakdance?] zeppo di saltini e inchini ed espressioni di equilibrio, come se i due si trovassero sulle classiche rocce instabili in mezzo allo stagno delle ninfee.


La polka a corte
La polka entrò ufficialmente nelle danze accettate dal ton e venne adottata intorno agli anni Venti dell'Ottocentoera.
Era molto diffusa nelle corti di tutta Europa, da Londra a Parigi e da Vienna e San Pietroburgo, rappresentava una accettabile via di mezzo tra la danza popolare e l'intollerabile valzer, mantenendo comunque una velocità tale da ispirare euforia ed eccitazione nei ballerini impegnati nella danza e, allo stesso tempo, suscitando quel poco di scandalo e divertimento anche per tutto il molto pubblico che alle feste era seduto, più o meno volontariamente, a spettegolare e fare tappezzeria.



Vedendo i video, tutti recenti, vi accorgerete senz'altro che anche in questa danza è richiesto un po' di contatto fisico tra i due danzatori; in realtà nella versione originale della danza il contatto era minimo e, come per molti altri balli, il tutto era ridotto a poco più di una passeggiata a ritmo di musica di un gran numero di ballerini. Solo successivamente, dopo l'accettazione definitiva del valzer la polka assunse la forma con cui la conosciamo oggi, dove dama e cavaliere stanno abbracciati, intervallanto la rotazione con alcune figure in cui si fronteggiano.


Joseph Strauss, noto compositore di valzer tra cui Sul bel Danubio blu e il Valzer dell'Imperatore scrisse moltissime polke per la corte austriaca, dove la danza era elemento imprescindibile della vita di corte e, come non mi stancherò di ripetere, anche uno dei pochi divertimenti concessi senza essere giudicati troppo borghesi.

Il video a seguire sembra quasi il ballo delle debuttanti di Vienna, se non fosse per l'ambientazione da palestra americana...



La polka rimase di moda fino al Novecento, sebbene la sua progressiva perdita di popolarità cominciò a relegarla sempre di più al ruolo di danza popolare dove è rimasta fino ad oggi; nel film Titanic Di Caprio e la Winslet ballano insieme una polka durante la festa in terza classe in quanto il ballo era particolarmente apprezzato dalla plebaglia per il suo ritmo allegro e spigliato.



Spero che l'approfondimento sia stato interessante, per questa volta ho preferito sostituire le consuete immagini con qualche bel video del ballo.
Come già detto della giga, non chiedetemi chiarimenti in merito ai passi, la presente sa ballare solo il Gallo Matto (e neanche troppo bene), per quanto mi riguarda il Gioca Jouer oltre uno scioglilingua antipatico, è quasi al di fuori della mia portata [il che spiega anche come mai a scuola Educazione Fisica fosse la materia dove andavo peggio, l'unica in cui erano costretti ad alzarmi il voto per non rovinarmi la media =P]

Baci





Mauser

24 giugno 2011

Emily della Luna Nuova su Italia1

Non so bene se sia il caldo, l'abitudine o la nostalgia, ma d'estate Mediaset ritorna agli albori della sua programmazione.
Nel suo palinsesto pomeridiano dedicato all'età scolare (6-15 anni ca.) in estate ricompaiono sempre i grandi classici e lo sono davvero in tutti i sensi: l'ispirazione dei cartoni è quella dei caposaldi della letteratura e ormai ci sono generazioni che guardavano Lady Oscar oppure Piccole donne che sono adulte e con famiglia.


Immagine promozionale del cartone
Da sinistra: Teddy, Ilse, Emily e Perry
La mia generazione lo dico senza vergogna, ha avuto la fortuna di vedere la prima messa in onda di Sailor Moon e di Pesca la tua carta, Sakura. Io stessa ero una droagata di cartoni animali e coi tempi che corrono e considerando cosa sono nella vita, non posso dire che mi abbiano fatto male, mi hanno insegnato molto con storie e avventure, c'erano vicende per tutte le età e gli ideali e le morali dei cartoni di noi, generazione anni Novanta erano un po' come le favole del passato.
Perry
sembra Tom Sawyer

All'epoca c'era il GameBoat, un programma serale con i personaggi di BimBumBam e trasmettevano molti cartoni belli, il mio problema era che lo trasmettevano all'ora di cena e non avendo in casa la tv in cucina mi perdevo un sacco di episodi. I miei odiavano Sailor Moon per questo, ma mi comprarono comunque la bambolina di Serenity per il compleanno con il suo gigantesco abito di tulle bianco e io la conservo ancora con cura, tanto per dire che non tutti i bambini considerano i loro giocattoli meri pezzi di plastica senza significato.
La cosa buffa, invece, è che da grandicella abbia sviluppato un certo amore per la Lady Nera, la versione adulta di Chibiusa e con delle mise da maliarda che innamorano.

Ma se la nostra combattente che veste alla marinara è ormai un cult per gli otaku, essendo ormai piuttosto datata, cosa si dovrebbe dire di Heidi oppure di Anna dai capelli rossi?

Anche in questo 2011 Mediaset non fa differenza e se sul canale satellitare Hiro propone titoli abbastanza nuovi e interessanti, come Il segreto della sabbia, su cui presto mi piacerebbe scrivere qualcosa, mentre i canali in chiaro rimangono fedeli alla vecchia scuola.
Ecco che appare Emily della Luna Nuova.

Teddy
sembra un deficiente, ma in realtà nel libro
è simpatico, non assomiglia allo spasimante
malato di Georgie
Che è una novità a metà, nel senso che è ispirata ad uno dei più classici romanzi della letteratura per ragazzi di lingua anglosassone, ma è una produzione del 2007 e sembra del '90.
Insomma, un interessante mix di passato e presente, mantenendo fede alla dottrina spiegata pocanzi.

Emily della Luna Nuova, per chi ancora non lo conoscesse, è forse il romanzo più maturo di Lucy M. Montgomery, l'autrice di Anna dei verdi abbaini (<- titolo originale forever).
Se in Anna la Montgomery aveva iniziato ad esplorare il mondo attraverso gli occhi innocenti di una fanciulla, senza tuttavia azzardarsi ad andare oltre o ad esprimere giudizi, Emily diventa il suo seguito ideale di filosofia. Qui la Montgomery tira fuori la grinta e con gli occhi sognatori di una bambina senza guide, guarda il mondo ipocrita degli adulti, lo giudica e critica senza ritegno, usando come punto di vista uno non ancora contaminato dall'educazione (Emily è cresciuta molto liberamente) e dal pessimismo.

Personalmente adoro Emily della Luna Nuova più di Anne perchè Emily ed io ci somigliamo più di quanto io abbia in comune con la rossa con le lentiggini e, quindi, leggendolo da ragazzina a mia volta, mi è risultato più semplice immedesimarmi nella sparuta piccola Starr, piuttosto che nell'esuberante Miss Shirley.

Da sinistra: Perry, Ilse, Emily e Teddy
Proprio per questo sono estremamente contenta che sulle vicende della Montgomery sia stato fatto un anime nella migliore tradizione dei classici per ragazzi e, cosa altrettanto fondamentale è che abbiano mantenuto la caratterizzazione e il tratto che avevano i cartoni della serie dedicata ai grandi classici: Piccole donne, Pollyanna, Una classe di monelli per Jo, Papà Gambalunga e così via; il mio preferito, anche se non della stessa serie eda Fiocchi di cotone per Jeanie (ascoltate la sigla perchè è favolosa!) e ammetto per un certo periodo di aver ponderato l'idea di chiamate la mia primogenita Jeanie, è una vera fortuna che io non sia madre...

Emily
con la parrucca

Ecco quindi che Emily presenta trecce e nasino a patatina come le sorelle della Alcott del cartone, ha il classico abito con grembiulone bianco come Amy March e ci sono moltissimi campi fioriti a fare da sfondo alla storia che, come quella di Anne, è ambientata nella bellissima isola di Prince Edward, al largo della costa atlantica canadese.

La Emily del cartone, sebbene abbia l'aria più sbarazzina di quanto fossi abituata con gli altri cartoni, è un'ottima sorella per la Pollyanna in salopette (non precisamente storica ^_^') che tanti di noi rammenteranno dalla loro infanzia. Certo, l'hanno anche dotata di una pettinatura ridicolmente improbabile, ma credo che poi Sailor Moon, Wedding Peach e le Pretty Cure si possa tollerare quasi di tutto. La cosa più fastidiosa è forse quel mdo che hanno di renderla adulta, con ciglia lunghe in maniera eccessiva, una fronte troppo ampia che sembra indossi la parrucca e un'espressione poco infantile.
Ilse sembra un maschio e Teddy una femminuccia: comunque si veda la questione la compensazione di caratteri è ok.
Il padre di Emily invece sembra un eroinomane fatto e finito, altro che Eddie Cullen.

Certo, come Piccole donne e Pollyanna prima, la storia è molto infantilizzata, la maggior parte della vicenda verte su problematiche di comprensione e amicizia tra i quattro ragazzi protagonisti (Emily, Ilse, Teddy e Perry) e gli adulti chiusi nel loro mondo di pregiudizi e muri piuttosto che sui sentimenti di Emily, sulla sua scoperta della poesia, sul suo senso di abbandono, ma credo che possa esserne uscito comunque qualcosa di apprezzabile.

Per chi fosse interessato, il cartone va in onda ogni mattina alle 9.00 su Italia1
Questa è la sigla


Non siamo certo ai livelli delle altre del passato [a dirla tutta fa un bel po' schifo] e temo che a Mediaset abbiano qualche problema di comprensione, visto che non c'entra un piffero con la storia (successo? Ma chi? E tornare a New Moon? Ma se Emily ci va, non ci torna...).
Comunque sia il cartone è potabile se vi piacciono i classici e riuscite a passare oltre questi dettagli. Altrimenti tornate a guardare al passato, consiglio da esperta.


Buona visione




Mauser





Un paesaggio della serie
assomiglia a quelli di Hello Sandybell

23 giugno 2011

La giga

Sul blog Meraviglie dell Scozia, che io seguo sempre con passione, è stato da poco pubblicato un post riguardante un pub di Edimburgo che sa catapultare i propri avventori nel pieno del XIX secolo: vietato fumare, cellulari, macchine fotografie, zaini, scarpe da ginnastica, ecc.

L'esperienza di vivere senza le tecnologie più comuni della nostra epoca può essere qualcosa di istruttivo e pertanto l'idea del pub scozzese mi ispira molto e, soprattutto, dovrebbe far riflettere su come veniva trascorso diversamente il tempo, due secoli fa.
Niente tv e niente radio, la musica solo dal vivo, le maniere diverse. La conversazione era la base delle relazioni, il contatto l'unico modo di conoscersi davvero e il divertimento stesso aveva connotazioni decisamente differenti.
La danza era un'ottimo connubio di tutto ciò, essendo in grado di amalgamare divertimento, compagnia e conversazione. E perchè no, anche affari, più spesso nella declinazione di affari matrimoniali.
In passato ci siamo occupati qualche volta di questa forma di socializzazione, ci siamo imbattuti nel valer, il ballo da sogno di una grossa fetta di ragazze, e anche nella quadriglia.

Altro pezzo forte delle serate dei secoli passati era la giga.



Storia del ballo e origine ufficiale
La giga di cui parleremo era un ballo non troppo diverso dalle country dance in voga all'epoca.
Divenne una danza di corte introdotta nel regno di Elisabetta I, ma dopo la sua scomparsa continuò ad avere un gran numero di sostenitori, specialmente con l'ascesa degli Stuart, la dinastia reale scozzese.
Mantenne il suo predominio sui balli reali fino al Settecento, quando la nuova varietà di danze, sopratto meno agitate, la relegò al ruolo di ballo di campagna.

Il tempo era originariamente in 2/4, ma si è modificato nel corso del tempo e oggi è solitamente ballata in 6/8.
La giga ha un ritmo molto allegro e permette figure complesse e intrecci tra i ballerini che non devono necessariamente essere a coppie. Esistono infatti varianti con quattro ballerini e una dama e simili.

Molto si è discusso sulle origini della danza. A quanto pare ne esistono due versioni, simili nel nome e a volte nell'esecuzione, ma formatesi in culture diverse.
La prima giga ha tradizioni italiane nobilissime e viene a tutt'oggi ballata in molte feste di paese sia nel Monferrato che nell'Emilia con splendide coreografie. La sua origine pare provenire dalle feste di paese germaniche, e lo stesso nome della danza dal vocabolo tedesco geiger, violinista.

Ne abbiamo poi una seconda versione, irlandese doc di origine molto antica, addirittura celtica. Il suo nome era cengail e assomigliava moltissimo alla giga italiana, per questo, con la diffusione dei termini francesi, definiti più "colti" dell'inglese, si adottò il nome che i francofoni usavano per il ballo italiano non dissimile, ecco perchè le due varianti si chiamano uguale, ma hanno storie diverse.
Per fare chiarezza la a giga italiana è denominata giga anche all'estero, e la giga irlndese e scozzese, identificata invece col nome di jig.

La variante nordica jig è molto più veloce di quella italiana, può arrivare addirittura a 12/8 e a differenza di quella del nostro paese, dove ormai è relegata a ballo di paese per le feste tradizionali, meglio se in costume, la jig è tutt'ora praticata anche al di fuori degli eventi più storici, ad esempio nei pub d'Irlanda o Scozia, all'annuale Festa di San Patrizio del 17 marzo e in molte circostanze. A ballarla sono persone di tutte le età e viene apprezzata per essere a ritmo accelerato senza avvicinarsi alla musica schiacciasassi moderna, ma mantenendo una sua melodia pur con un upbeat non indifferente.
Non solo questo: la variante irlandese del ballo, oltre ad essere allegra (ancora di più cin un boccale di birra in circolo) si balla in 8 o più, il che rende il tutto molto divertente perchè è un ballo di gruppo, non a coppie. In Irlanda il ballo della jig è secondo solo a quell del reel, la danza irlandese per antonomasia.

Alla corte di Elisabetta, sappiamo, venne intrdotta la giga italiana, era infatti chiamata gigue, non quella irlandese (jig), per la particolare grazia dei movimenti dove, invece, quelli dell'Irlanda apparivano più concitati e poco raffinati.


Come ballare
I ballerini sono comunemente disposti in due file che si fronteggiano e la danza inizia spostando avanti il piede destro ed eseguendo due figure, dopodichè il piede rientra nella sua posizione e parte il sinistro, che esegue invece una figura soltando. Questo è l'incipit, da cui si diramano poi tutta una serie di movimenti e saltelli, incastri e complicità tra i ballerini.

Attualmente vengono ballate le seguenti tipologie di jig:
  • Light jig
  • Slip jig
  • Single jig
  • Hop jig
  • Treble jig
Che però sono tutte piuttosto diverse dall'originale.
Ecco come poteva apparire una giga ballata ai tempi di Elisabetta e seguenti, quindi al di fuori della "danza popolare e folkloristica"



Questa è un'altra rappresentazione a una sola ballerina. La prima parte, che vede un Arlecchino danzante non è una giga vera, ma la seconda con la fanciulla sì ed evidenzia bene i movimenti che venivano fatti, non il saltellio concitato che è invece evidenziato nella giga moderna irlandese.

Queste erano le varianti ballate a corte. Come avrete notato sono abbastanza tranquille, a differenza dei jig che vedremo fra poco, di tutt'altro ritmo.

Ecco una giga barocca, alla maniera ballata nel Settecento, per esempio alle festicciole più informali di Maria Antonietta


A seguire, invece, una giga canadese più popolare, simile a quelle paesane che ancora si ballano nel Monferrato (col nome di monferrina) e in Emilia


E per finire, ecco come viene ballata la tipica giga irlandese di cui si sente tanto parlare e vengono fatti molti campionati


Baci a tutti e a presto




Mauser





21 giugno 2011

Teaser Tuesdays [12]

Nuovo teaser per la collezione di questo libro.
Per l'occasione del solstizio d'estate ho scelto qualcosa che avesse a che fare con la scenza. Purtroppo la mia collezione di materiale ad argomento scientifico, a parte alcuni testi di informatica, elettronica, elettrotecnica ecc. direi abbastanza noiosi, è scarna, così ho scelto dal mio scaffale un libro che avesse a che fare sia con la scienza che con la superstizione, giusto perchè il solstizio è considerato sia scientifico che magico.
A trattare simile accoppiamento di ideologie sarà niente popò di meno che Dan Brown, il chiacchierato autore del famoso Codice da Vinci, anche se non è del Codice che andremo a parlare. Per chi non sopportasse questo autore, potete cambiare pagina, la X in alto a destra non aspetta che voi.
A mia personale giustificazione posso dire che, polemiche a parte, trovo i thriller di Dan Brown avvincenti al punto da continuare a leggerlo. Come tollero la fanta-politica di Clancy posso tollerare la fanta-religione di Brown senza fare una piega. Qualcuno dovrebbe capirlo che un'invenzione rimane tale, per quanto vera sembri se un libro è scritto bene o per quanto insultante possa essere. D'altra parte nessun sud-coreano si è sognato di fare causa al suddetto Clancy dopo aver pubblicato Op-center, no?

Preamboli a parte, il libro incriminato è Angeli e Demoni e ho appositamente scelto un brano che come informatica trovo molto divertente e, credo possa essere anche istruttivo per i lettori. Qualcosa che ha a che fare con la rete nella quale io scrivo e voi leggete (e forse a vostra volta scrivete). Signore e signori vi presento Internet.

Scheda tecnica
Titolo: Angeli e Demoni
Titolo originale: Angels & Deamons
Autore: Dan Brown
Editore: Mondadori
Pagina della citazione: 31
Scheda aNobii

Kohler svoltò improvvisamente a sinistra e imboccò un ampio corridoio tappezzato di premi e riconoscimenti.
Langdon notò una targa di bronzo particolarmente grande e, passandoci davanti, rallentò per leggere che cosa c'era scritto
PREMIO ARS ELECTRONICA
per l'innovazione culturale nell'era digitale
cinferito a Tim Berners-Lee e al CERN
per l'invenzione del World Wide Web

"Che mi prenda un colpo" pensò Langdon. "Allora al telefono non scherzava". Langdon aveva sempre creduto che fossero stati gli americani a inventare il Web. Ma, in fondo, la sua conoscenza della Rete si limitava al sito del suo libro e a occasionali esplorazioni online del Louvre o del Museo del Padro sul suo vecchio Macintosh.
«Il Web è nato qui, come rete intera» spiegò Kohler. Di nuovo tossì e si asciugò la bocca. «Per cnsentire agli scienziati dei diversi dipartimenti di condividere quotidianamente i risultati del loro lavoro. Naturalmente il mondo continua a credere che sia una tecnologia americanao.»
Langdon lo seguiv lungo il corridoio. «Perchè non chiarite l'equivoco?»
Kohler fece spallucce, apparentemente disinteressato. «Un errore irrilevante per una tecnologia irrilevante. Il CERN vale ben più di una connessione globale tra computer. I nostriscienziati producono miracoli quasi ogni giorno.»

È proprio vero che niente è come sembra. Andrebbe detto più spesso che il web è stato inventato in Europa, al CERN, e non in America, anche se gli USA sono stati i massimi sfruttatori dell'idea, è proprio il caso di dirlo, basti pensare a Microsoft, Macintosh, Google, Yahoo, Norton, Adobe e così via.
Da brava informatica quale sono, dico che Internet è la mia vita, nel senso che le reti sono quello che mi paga lo stipendio. E sempre da brava informatica reputo ciò un'invenzione magnifica, anche se continuo a pensare che la carta stampata sia più duratura dei moderni supporti di memorizzazione e il piccione viaggiatore più affidabile della posta elettronica, anche quella contrassegnata con l'odiosa conferma di lettura che io puntualmente mi rifiuto di mandare.
Ma sono anche da dire le cose belle che un mondo quasi completamente connesso ci ha permesso di avere, dallo stesso Georgiana's Garden, il parto di una mente malata, alle straordinarie amicizie online, che ESISTONO e non nascono solo su Faccialibro.
E poi Youtube, Twitter, Google naturalmente, il tam tam quotidiano e difficile da imbavagliare delle news e dei post, un sacco di artisti emersi tramite le pagine personali di MySpace come Mika, il mio cantante preferito, e Owl City.
E vogliamo dimenticare il fantastico mondo delle fanfiction? Oppure tutta la musica che noi, e non le case discografiche, abbiamo scoperto? Io ascolto tanto jpop e kpop, ma come avrei fatto senza internet?

Ai posteri l'ardua sentenza?
Semmai agli avi l'ardua sentenza =)

Baci a tutti




Mauser

18 giugno 2011

L'anime de «Il conte di Montecristo»

Cover del primo dvd
Io penso che Alexandre Dumas sia stato uno dei più grandi narratori della storia dell'uomo, è stato capace di infondere vita in personaggi diversissimi con mille sfaccettature, i caratteri più disparati, le store più fantasiose e avvincenti.
Se fosse vissuto ai giorni nostri sarebbe diventato uno sceneggiatore formidabile, molto migliore di quelli che la tv può vantare per le proprie serie o il cinema per i propri film.

Il conte di Montecristo è sicuramente una di quelle opere che più mi ha fatta sognare, non solo perchè è la preferita del mio papà, che da bambina mi raccontava le gesta di Edmond Dantes, ma anche per il fascino stesso di una vicenda intricatissima e carica di sentimenti ed emozioni tra le più umane.

A quanto pare non sono l'unica ad aver subito il richiamo del marinaio marsigliese, così come quello delle mille identità che mette in campo per raggiungere il suo obiettivo: fiction e film e addirittura adattamenti musicali (bellissimo quello del Quartetto Cetra) hanno fatto conoscere la storia alla decima musa, il cinema e da allora è stato fatto un altro passo avanti verso l'animazione.
Edmond, Mercedes, Danglars, Villefort, Morcerf e così via sono infatti diventati personaggi di un anime, ovverossia di un cartone animato giapponese.

Signore e signori vi presento Gankutsuō, la rivisitazione in chiave futuribile e molto noir del famosissimo classico.


Trama
Nella sceneggiatura di Gankutsuo, letteralmente il signore della caverna, l'ambientazione francese postrivoluzionaria cede il passo ad un lontano futuro alla Star Trek tra viaggi interplanetari e vicissitudini galattiche.
Albert de Morcerf
aka il classico protagonista
che qui si degna di indossare
una camicia
Un'idea non nuova, basti pensare ai RomeoxJuliet o ad Alexander, ma sviluppata in maniera molto interessante, un mix tra l'originale e Cowboy Bebop, insomma.

Siamo nell'anno Domini 5053 e sulla Luna si celebra l'annuale festa di Carnevale in costumi settecenteschi alla quale partecipano anche Albert de Morcerf (primo protagonista) con l'amico Franz D'Epiney. Durante il festeggiamenti Albert e Franz conoscono l'enigmatico Conte di Montecristo, personaggio cupo e allo stesso tempo affascinante che seduce la loro ingenuità adolescenziale con i racconti delle sue avventure e la saggezza del vissuto.

Quello che i due giovanotti non sanno è che il Conte di Montecristo altri non è se non Edmond Dantes (altro protagonista), primo amore della madre di Albert, Mercedes. Edmond, divenuto capitano di vascello a causa della morte del vero ufficiale, era diventato l'invidia dei suoi due amici di sempre: Fernand Mondego e Julian Danglar che, con l'aiuto del corrotto Villefort, accusano Dantes di tramare contro il Paese.
Eugenie Danglars
aka la ragazza di buonsenso
e ovviamente la più sfigata
Dantes fu così imprigionato nel Castello d'If, dal quale riuscì a fuggire solo dopo molti anni grazie all'inganno e all'aiuto di un ecclesiastico che nel periodo di reclusione lo istruì a dovere e all'atto della fuga gli consegnò la mappa per raggiungere l'isola di Montecristo dove era seppellito un favoloso tesoro nascosto, del quale il fuggisco Dantes entra in possesso.

Ritornato dalla sua prigionia, pieno di rancore e vendetta, Edmond ha un'unico scopo: gettare nel baratro i cospiratori che lo fecero ingiustamente accusare e il suo piano sembra proprio essere baciato dalla fortuna quando conosce il figlio di Mercedes, ma anche di Fernando: Albert, che sedotto dal fascinoso travestito Peppo, viene rapito dal bandito Luigi Vampa.
Salvato il giovane amico, Dantes, che viaggia sotto falso nome viene invitato alla casa di famiglia per formali ringraziamenti e ritrova, oltre all'amore di sempre, Mercedes, che quasi lo riconosce, anche il nemico giurato Mondego, il quale invece non sospetta nulla.

La situazione è cambiata molto dal momento della sua cattura: Mondego è diventato generale, ha sposato Mercedes e insieme hanno avuto il timido, ma intelligente Albert.
Danglars, da faccendiere di provincia è riuscito a mettere in piedi un impero economico, di cui la sua banca è l'emanazione e la sua figlia primogenita, Eugenie è la fidanzata di Albert.
Valentine de Villefort
aka la ragazza allegra
Poi c'è Villefort, che ha fatto carriera ed è diventato un politico affermato, alle prese però con una situazione familiare intricata visto l'odio che la seconda moglie Heloise prova nei confronti della figlia ed erede di lui, Valentine, fidanzata di Franz ma innamorata di Maximillien Morrel, umile soldato.

In questo ambiente corrotto e contorto, sembra che il piano di Dantes sia inarrestabile, le sue pedine sono messe in campo con freddezza e crudeltà, disseppellendo scheletri e segreti che molti dei coinvolti credevano dimenticati, scabrosi passati pieni di vizi e di tradimento non solo nei suoi confronti.

Come potrà mai, da tanto odio, sprigionarsi quel briciolo di speranza per continuare a vivere?
E quale peso dovranno pagare gli eredi di queste persone dall'anima macchiata?


Grafica e personaggi
La grafica dell'anime è molto piacevole, volutamente confusionaria e fa grande uso della computer graphic ovvero dell'impiego di scene realizzate tramite animazione 3D, non quella del cinema, ma la possibilità attraverso specifici software di rendere l'idea di movimenti nello spazio anzichè in due dimensioni.
Heloise de Villefort
aka la matrigna velenosa
La scelta dei colori, accesi, sgargianti e abbinati tra loro, vuole rappresentare il futuro, dove la possibilità di avere a disposizione una palette praticamente infinita di tinte porterà a mode in cui la combinazione di questi secondo forme, volti o elementi geometrici costituità il pattern del vestiario. Molti personaggi, e Haydee in particolare, fanno sfoggio di ciò in un'estremizzazione del vestiario attuale.

I personaggi che si movono sulla scena sono comunque disegnati ancora a mano e tratteggiati con cura, Albert nello specifico, sebbene ricalchi il protitpo del tipico protagonista giapponese, si armonizza bene col carattere associatogli. L'Eugenie presentata è piuttosto diversa dal libro, dove la ragazza, oltre ad essere la vittima designata dei giochi di ricchezza e potere paterni, sviluppa sentimenti lesbici per la propria cameriera e fuggono insieme, ma nel complesso l'Eugenie dell'anime è più equilibrata e pacata, piuttosto che la creatura mentalmente instabile e isterica del romanzo.
Andrea Cavalcanti è forse quello che ha subito i maggiori rimaneggiamenti estetici, trasformandosi nel classico uomo di successo settecentesco come se lo immaginano i jappi: Lady Oscar (il che è tutto dire). Così i suoi capelli si allungano in insospettabili boccoli biondi e inizia a sfoggiare una rosa rossa nelle circostanze "di conquista". Proprio il ragazzino campagnolo, maligno e difficile che ci dice Dumas... mantiene però la sua natura relativamente malvagia e la macchia incancellabile di aver avuto una relazione con la sua stessa madre, donna dissoluta e dedita a molti vizi.
Andrea Cavalcanti
aka il ragazzino maligno, campagnolo e difficile
aka lui sì che è un vero uomo, non come Lady Oscar...
Franz D'Epinay è il mio preferito e come nel romanzo si mantiene l'unico personaggio della vicenda e, soprattutto, cosa non secondaria, dotato di normale buon senso.
Mercedes de Morcerf
aka la plasticona rifatta
Infine Maximillien: era il figlio di un armatore e diventa egli stesso armatore, qui invece è un soldatuccio non migliore del Soldatino di stagno della tremenda favola di Andersen, con collo taurino e spalle da armadio a tre ante.
Ultimo, ma non meno importante, Edmond: a causa del suo patto col demone del titolo, trovato nella caverna dell'isola di Montecristo, ne ha acquisito egli stesso l'aspetto, divenendo più somigliante al dio Osiride che all'umano vendicativo del libro. Magro e dinoccolato, dal colorito verdastro e l'immancabile tuba, non è precisamente in linea con l'idea di Edmond che mi ero fatta, ma la sua versione da marinaio, prima dell'arresto, è adorabile.

Il personaggio che detesto di più, anche nel libro, è Mercedes, la trovo egoista e approfittatrice, non mi garba e qui l'hanno rappresentato come una bambolona pelle scura e labbra siliconate dall'improbabile, estroso parrucchiere. Ben le sta!


Considerazioni
La trama di fondo dell'anime non si discosta di molto dall'originale, salvo per l'ambientazione, ma introduce alcune note interessanti.
Cover del terzo dvd
il contrastato amore di Albert ed Eugenie
Innanzi tutto i protagonisti sono due, Dantes e Albert de Morcerf. Nel libro questa particolarità è molto meno marcata e si esprime solamente sul finire, quando Mercedes e Edmond hanno un colloquio privato circa le sorti del duello che lo contrapporrà proprio al figlio di lei.
Viene inoltre introdotta la tematica romantica in molte sfumature, non solo quella del contrastato amore inter-classe tra Maximillient e Valentine, che invece è appena accennato, ma anche un coinvolgimento diverso tra Albert e Peppo e poi tra Albert e la fidanzata Eugenie Danglars.
E perfino il rapporto di Edmond con l'esotica principessa Haydee, qui di estrazione orientale anzichè greca, assume una connotazione più ricca di speranza, così come l'intenso desiderio di lei di salvare Montecristo dalla sua stessa furia vendicativa, cercando di portarlo sulla via del perdono: quest'ultima particolarità credo che sia magnificamente resa dall'espressività dei volti e dalle bellissime illustrazioni che questo prodotto può vantare. Non per niente questa smania è rappresentata proprio da un demone, da qui il nome alternativo dell'anime, che avviluppa tra la tentazione e il rancore il povero Dantes già provato dal tradimento e che non lo libera mai.

Il conte di Montecristo in versione anime si aggiunge quindi alla lista dei molti ispirati ai classici della letteratura europea, ricordo da bambina di aver seguito con passione sia la miniserie anime de I miserabili che la serie relativa ai Tre moschettieri oppure al Giardino segreto.
Edmond e Haydee
la nuova head chief di Roberta di Camerino
Io lo consiglio anche per il suo discostamento dall'ambientazione originale, a mio avviso affascinante e sapientemente integrato, inoltre poche cose potranno essere peggiori di quello schifo di serie tv con Depardieu e Ornella Muti nei panni di Mercedes che non ha un bricolo di affinità né con l'originale né con la cosiddetta "coerenza storica".
Se avete tempo, dateci un'occhiata perchè merita.

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Poi ovviamente, se non avete mai avuto contatti con la letteratura francese del genere Dumas, Hugo, Balzac e co. il mio consiglio è di cominciare: è meno peggio di quel che vogliono farvi credere e molto meno depressa dei russi come Tolstoj, Checov o Dostoevskij. Cominciare con Il conte di Montecristo potrebbe essere un ottimo punto di partenza, la vicenda è attualissima e affascinante, avvincente e ricca d'intrighi, non si tratta di un romanzo d'amore e passioni contrastati con finale tragico e sangue che scorre, ma qualcosa di molto più maligno e sottile e anche se non sembra di essere in Kill Bill, vi assicuro che la malignità delle persone traspare alla grande. Unico ostacolo: il linguaggio antico, addirittura vetusto, zeppo di termini desueti e a volte difficile da comprendere, se può risultare difficile meglio una traduzione non "d'annata" e vedrete che non ci saranno problemi =)

Baci a tutti





Mauser

14 giugno 2011

Teaser Tuesdays [11]

Un'altra settimana è volata via e dopo il mio (spero) toccante intervento a favore di In viaggio verso di me ci ritroviamo a parlare ancora di libri nella rubrica del martedì.

Il libro che ho scelto questa volta s'intitola L'evoluzione di Calpurnia ed è un bellissimo romanzo di formazione di una bambina di undici anni che si affaccia alla magnifica Scienza Naturale.
Siamo nel Texas della fine del secolo XIX, Calpurnia Tate inizia per caso il suo viaggio delle meraviglie tra i molti volti della natura, riesce addirittura a costruire un rapporto con il burbero nonno che passa le sue giornate chiuso in laboratorio a fare non si sa bene cosa e deve oltretutto destreggiarsi tra le odiose lezioni di piano della signorina Brown, sei fratelli, una madre che la vorrebbe perfetta e i problemi di tutte le ragazzine.

Calpurnia è un piacevolissimo mix tra Anna dai capelli rossi e Gerald Durrell, impara la scienza e la ricerca, conosce grazie ai libri Newton e Darwin, il suo mito, e spiega i fenomeni dell'evoluzione con diretta semplicità, rendendoli a tratti divertenti, ma anche molto intensi, per chi sta leggendo.

Spero che Calpurnia possa catapultarvi nel suo mondo dove la Terra Piatta non è poi una credenza così remota e ammaliarvi col fascino della semplicità.

Scheda tecnica
Titolo: L'evoluzione di Calpurnia
Titolo originale: The evolution of Calpurnia Tate
Autore: Jacqueline Kelly
Editore: Salani editore
Pagina della citazione: 56
Scheda aNobii

Imparai a suonare il signore Stephen Foster per Babbo e Vivaldi per Nonno, che aveva un debole anche per Mozart. Stava seduto in salotto, talvola a leggere, talvola con gli occhi chiusi per tutto il tempo che suonavo. Mamma aveva un debole per Chopin. La signorina Brown aveva un debole per le scale.
Poi ci furono i ragtime del signor Scott Joplin, che imparai da sola. Davano sui nervi a Mamma, ma non me ne importava. Era la musica migliore che i miei fratelli ed io avessimo mai sentito, con sontuose cascate di suoni e un ritmo frastagliato, elettrizzante, che costringeva gli ascoltatori ad alzarsi e ballare. Quando suonavo i primi accordi di Maple Leaf Rag tutti miei fratelli arrivavano di corsa. Rollavano in modo così selvaggio per tutto il salotto che Mamma si preoccupava anche per i quadri appesi alle pareti.


Per tutti i lettori, ecco a voi i signor Scott Joplin che per l'epoca era musica d'avanguardia, non dimenticatevi che Maple Leaf Rag fu composta proprio nel 1899


E la versione in costume che potete ascoltare a Disneyland






Mauser

12 giugno 2011

Lo scialle

Cari lettori,
torniamo ai nostri approfondimenti, la situazione da me sta migliorando, sì, ma a ritmo di lumaca e la pressione di tutto questo stress si fa sentire.

Boreas
by John William Waterhouse
Così per sfogarmi ho messo Beethoven e ho inveito.
La musica classica non è solo la musichetta da camera sdolcinata o melensa, noiosa all'inverosimile come si crede, vi assicuro che l'Eroica non ha niente da invidiare ai Green Day e a me i Green Day piacciono molto.
Così, con Beethoven di sottofondo mi accosto a parlare di un capo d'abbigliamento davvero delicato e raffinato, qualcosa di molto meno maestoso: oggi parliamo di scialli da signora.
Riscopriamo la rubrica del Costume vittoriano e vediamo di cosa si tratta esattamente.

La prima cosa che dirò sull'argomento è: non immaginate la nonnina di Cappuccetto Rosso, andremo a parlare di uno scialle completamente diverso.


Origine
Un'invenzione orientale e una parola persiana per definire un accessorio diffuso da sempre, ma che è diventato solo negli ultimi due secoli un simbolo di stile, di eleganza come di miseria.
In origine la parola chal o shal indicava un grossolano drappo di pelle o stoffa di lana posato sulle spalle e fermato sul davanti.

A Spanish Beauty
by John Bagnold Burgess
In realtà lo scialle come accessorio esiste da sempre fin dalla nascita della storia del costume, dopotutto non è altro che un pezzo di stoffa che si può drappeggiare intorno al capo o al busto.
Insomma, è dai tempi biblici che abbiamo a che fare con tutto ciò.
No, non si tratta di un'esagerazione: il velo che Maria la madre di Gesù indossa e con cui noi siamo abituati a riconoscerla, velo non necessariamente celeste, altro non era se non un grande scialle che nella cultura ebrea troviamo già nelle narrazioni molto antecedenti l'anno 1, per esempio nelle descrizioni della tribù di Abramo, delle donne incontrate da Mosè, ecc.
Quello stesso indumento arrivò nel Mediterraneo e mise radici nelle culture a noi più vicine, basti pensare a quella spagnola, greca ecc.
Le ballerine di flamenco, per esempio, oltre alle balze della gonna fanno roteare intorno a sé grossi scialli bianchi o neri decorati con fiori multicolori e frange lunghissime. Allo stesso modo le donne catalane, nella loro cultura folkloristica, hanno l'usanza di coprire il capo con un velo di merletto (si veda la Carmen di Bizet oppure Mercedes, la fidanzata di Edmond Dantes ne Il conte di Montecristo). Anche nella cultura tradizionale italiana si ritrovano spesso questi accessori negli abiti regionali.

Ritratto di
Madame Louis Joachim Gaudibert
by Claude Monet
Ma lo scialle di cui parleremo oggi, per quanto identico nella foggia e nel modo di essere indossato, era diverso da quello di cui sopra.
Lo scialle dell'epoca vittoriana, declinazione specifica, è l'accessorio chic, extralusso, arrivato in Inghilterra tra Settecento e Ottocento a causa dei primi contatti dei britannici con la cultura mediorientale dei Paesi come Siria, Afganistan, India, Pakistan, ecc.
Da lì importarono la realizzazione di questi drappi, la tessitura raffinatissima e le tecniche per impermeabilizzare il prodotto.

Si può dire che lo scialle, esistente da sempre, sia rinato nel Settecento ritornando alla vita in una nuova "veste" e una nuova identità come abbigliamento, acquisendo un nome signorile, scialle appunto, e degli sponsor, anche una certa importanza artistica e un costo. Insomma, rinasce conquistandosi il suo posto al sole.

La differenza tra velo e scialle, tra storia e presente storico (Medioevo e Ottocento, tanto per intenderci) è minimale, lo scialle, altri non è se non un velo posato sulle spalle anzichè sul capo, è una forma di vestiario molto semplice, non sono contemplate cuciture o fermagli, nastri o fissaggi, qualunque tipo di chiusa del genere denatura irreversibilmente lo scialle che perde il suo nome e il suo status.
Lo scialle ha infatti la caratteristica di non avere chiusure e la sua versatilità fa in modo che si adatti a tutte le forme, coprendo spalle e torace semplicemente sovrapponendo i due lembi, al massimo fermando il tutto con una spilla o spillone.


The shawl (lo scialle)
by Charles Sprague Pearce
La forma
Trascurando adesso tutta l'evoluzione storica dell'indumento, ci concentreremo sulla versione ottocentesca che spopolò in Inghilterra e successivamente in tutti i Paesi europei e americani.
Lo scialle ottocentesco potreva essere di tre fogge: rettangolare, quadrato o triangolare.

Il drappo rettangolare era diffuso ai tempi dell Reggenza, era molto lungo, pressappoco quanto l'altezza della persona, e si misurava con lo stesso metodo con cui oggi si scelgono gli sci sulle piste.
Se la lunghezza era quasi esagerata, l'altezza era in proporzione ridotta, sufficiente a coprire solamente le spalle.
Sebbene abbia avuto molto successo nel Novecento con un revival dello stile, nel XIX secolo non era comune, in quanto lo scialle serviva davvero per coprirsi e un indumento che non svolgeva appieno la sua funzione, come lo scialle rettangolare, era solo elemento di figura, quindi limitato a poche circostanze e ad una classe elitaria che non aveva bisogno di ripararsi con questo misero accessorio.

Come indossarlo
Illustrazione di uno
scialle del tempo della
Reggenza
La versione rettangolare lunga era la meno versatile, era indossata come una stola, cascante sulle braccia. I due estremi dovevano cadere morbidamente dalla curva del braccio, mentre il resto era portato blusante sulla schiena, ad altezza spalle, quindi abbastanza tirato, oppure ad altezza bacino se si preferiva una forma più morbida.
Era abbastanza scomoda perchè spesso ci si ritrovava a combattere con le due frange laterali che infastidivano durante la camminata o si sporcavano al suolo a seconda della lunghezza eccessiva, il tutto era reso ancor più difficile da gestire se la signora aveva in mano anche parasole e borsetta.


Lo scialle triangolare era uno dei due modelli prediletti. Era diffusissimo nelle classi alte, aristocrazia e alta borghesia, mentre più si scendeva nella catena alimentare e più si preferiva l'elemento quadrato.
Scialle in pizzo nero
La sua forma gli conferiva eleganza, ma anche utilità, ricopriva appieno la sua funzione si copertura e riparo, mantenendosi raffinato. Dimenticatevi immediatamente gli scialletti da nonnina di Cappuccetto Rosso di lana grossolana a pallini e colori pastello, lo scialle triangolare aveva dimensioni molto importanti e poteva allungarsi dalla metà della schiena, pressappoco dalla curva dorsale, fino alle ginocchia, avvolgendo completamente la figura.

Come indossarlo
Portare questa foggia è molto semplice. Se non c'è necessità di riparsi lo scialle va portato cascante all'indietro, appoggiato sugli avambracci, in modo che cada morbidamente fino a coprire la parte terminale della schiena.
Se invece ci si vuole avvolgere dentro, lo scialle va appoggiato sulle spalle e poi i due lembi fissati sul davanti con uno strumento esterno (ricordiamoci che non ci sono chiusure). Assolutamente da evitare fiocchetti e gasse antiestetiche che nessuna si sarebbe sognata di fare.


Will you go out with me, Fido?
by Alfred Steven
Esisteva poi una versione quadrata di grandi dimensioni che era adoperata come quella triangolare, anche se non necessariamente piegato sulla diagonale per riprenderne la forma (non doveva diventare necessariamente triangolare per essere portato).
Questa è la versione originaria importata dall'Oriente come quelle che ancora oggi si riconoscono in India o quelle indossate dalle donne della Bibbia.

Questo tipo di scialle molto ampio e coprente era particolarmente diffuso nella medio-bassa borghesia e in tutti gli strati a seguire della popolazione in quanto permetteva di coprirsi completamente, le signore rimanevano infatti infagottate lì dentro come in un bozzolo e avevano qualche speranza di ripararsi dal vento sferzante e dalla pioggia.
Divenne di gran moda in America, specialmente durante il periodo secessionista, tanto che ancora oggi è difficile trovarne di forme diverse tanto questa è radicata.

Come indossarlo
Lo scialle quadrato era molto versatile.
Lo si poteva piegare lungo la diagonale e poi come uno scialle triangolare, manentenendo però l'apertura di uno quadrato decisamente più ampia.
Scialle di tipo "algerino"
Forma: quadrata
Oppure lo si portava aperto in tutta la sua grandezza, appoggiato sugli avambracci, lasciando che il lembo che fungeva da "coda" scendesse liberamente fino ai polpacci: in questo modo si evidenziavano i disegni, a patto che fossero riportati uguali per tutti e quattro gli spigoli.
Infine, quando ci si voleva avvolgere, lo scialle era completamente aperto nella sua grandezza e posto sul capo o sulle spalle per avvolgere al meglio la persona; in questa foggia lo scialle assomigliava quasi ad un cappuccio.
Questa modalità non era usata quasi mai nelle classi alte perchè le signore avevano spesso dei cappellini che non permettevano di portare lo scialle sulla testa, in quanto avrebbe nascosto un accessorio decisamente più costoso.


Ho letto in giro una nota che riportava una presa in giro del tempo: più lo scialle era ampio e più la persona che lo indossava era povera.
Personalmente non mi sento di condividere questa definizione, in quanto molte signore nobili indossavano grandissimi drappi sulle spalle per mostrare la ricchezza che possedevano.


Materiale e fattura
Preziosi scialli in pizzo Chantilly
Chiaramente questa variabile dipendeva dal prezzo che ci si poteva permettere.
Se si poteva permetterselo, uno scialle poteva diventare un capolavoro, costosissimo, altrimenti rappresentava solo la maniera più ovvia per far fronte al freddo e all'acqua.

Per i ricchi e le classi alte, lo scialle era solamente un'apprendice del vestito delle signore, queste non lo indossavano per uscire, in quanto potevano permettersi mantelline e paltò decisamente più comode e coprenti, ma anche costose. Per loro lo scialle non era altro che un'accessorio da sfoggiare come lo strascico, la borsetta o il cappellino e come tale era realizzato in materiale prezioso con tessuti damascati, velluti e sete, bordature di pelliccia, broccati.
Anche i dettagli erano pregiati e costosi, pietre o rarità cucite nel tessuto, ricami a mano sulla superficie, frange e pendenti per abbellire il tutto, una trama raffinata ed elegante.
A parte quelli in pizzo che fungevano da abbellimento per gli abiti da sera, solitamente per smorzare una scollatura troppo profonda o le spalle scoperte di un vestito, lo scialle era un indumento informale, lo si portava per fare visita alle amiche durante i tea party del pomeriggio, ma non per le passeggiate e assolutamente non per cavalcare, dove era d'obbligo la casacca di stile militaresco.

Anche le classi basse compravano periodicamente la stoffa per realizzarsi degli scialli.
Lo scialle era pià economico della mantellina o del paltò e lo possedevano quasi tutte, anche se alcuni erano vecchi, sporchi e sdruciti, consumati fino a vederne la trama: uno scialle di buona fattura resisteva per decenni e non si buttava mai, le donne lo rammendavano e potevano a lungo.
I materiali prediletti erano quelli impermeabili e abbastanza spessi per riparare dal freddo autunnale e invernale, ricordiamoci che in Inghilterra il clima non è precisamente clemente e ci sono posti che non hanno niente da invidiare alla meyeriana Forks.
Angora Shawls
Scialli d'angora
Illustrazione vittoriana
La lana lavorata e infeltrita era un'ottima scelta, riparava dall'acqua e dal gelo; la si comprava a lunghezza e le signore realizzavano e ricamavano a casa i loro capi, in quanto spesso non potevano permettersi di andare dalla sarta, ma anche così i risultati erano spesso bellissimi, basti richiamare alla memoria un quadro di cui ho parlato diverso tempo fa: Returning from Covent Garden Market, che con i suoi colori caldi e il suo tripudio di vita non ha nulla da invidiare agli aristocratici e agiati salotti di un'altra fascia di popolazione. Nel quadro nessuna signora manca di indossare uno scialle, non diverso da quelli che ancora possiamo rinvenire nei cassetti delle nostre nonne.


Decorazioni e disegni
La parte decorativa di un indumento tanto ampio era fondamentale, basti pensare quanto ancora sia significativo il disegno a tematica ippica dei foulard di Hermés...
La decorazione di uno scialle si chiama motif.

Nella seconda metà del Seicento, quando lo scialle cominciò a diffondersi sempre più, la decorazione era spesso costituita da un'unica stampa o ricamo a tema naturalistico posta al centro dell'accessorio.
Illustrazione che rappresenta l'evoluzione
delle decorazioni sugli scialli
La figura era ispirata alle illustrazioni degli erbari (libri contenenti raffigurazioni di piante studiate in botanica) tanto cari agli inglesi, seguiti con cura da precisi acquarellisti che passavano la vita intera a ritrarre e catalogare specie di fiorellini di campo, verdure e altri esseri viventi con le foglie.
La piantina era raffigurata nella sua completezza con radici e foglie, bulbi, ecc.

Successivamente, sul finire del secolo, la tendenza cominciò a mutare e da un'unico disegno centrale si passò ad una quantità di fiori disseminata per tutta l'ampiezza della stoffa usata.

Intorno al 1750 le preferenze mutarono nuovamente e le forme dei fiori e delle piante iniziarono ad essere realizzare in modo sempre più stilizzato, ispirandosi alle pratiche decorative della penisola indiana (è il periodo dell'arrivo inglese in India, ma non ancora del colonialismo selvaggio).

Nell'Ottocento si diffuse l'idea di avere una forma principale disposta sullo sciall, riempita con una decorazione che, a seconda del periodo, poteva essere geometrica, naturalistica o stilizzata.
In questa fase dell'evoluzione decorativa del tessuto nasce il Paisley pine, ovvero quella figura che conosciamo benissimo a forma di goccia ricurva vagamente simile ai pendenti giapponesi in giada chiamati magatama.

Verso la metà dell'Ottocento il commercio di scialli, specialmente in kashmir, era un business non indifferente e ottenne una rapida valutazione e un'improvvisa svalutazione simile a quella della Bolla dei Tulipani.
In Inghilterra erano due le più rinomate manifatture: Edimburgo e Norwich, ma con il trascorrere del tempo, la realizzazione di sempre maggiori fabbriche e, di conseguenza, la svalutazione dei preziosi scialli, si cominciano a creare idee sempre più strambe per cercare di ridare valore a quell'oggetto, una delle quali fu quella di combinare assieme alcuni pezzi di scialli di fatture e motif diversi, magari senza nesso logico, in un effetto patchwork ante litteram (di dubbio gusto). Inutile dire che la cosa non durò molto.


Scialle in pizzo, epoca vittoriana
Link e approfondimenti
19th century shawls from the Daisy Deane Williamson Collection
Haapsalu Shawl Museum, Estonia
Brice Museum Collection - Kashmir Shawls
The Young Museum - Shawls

Pamela Clabburn, Shawls
Charyl Oberle, Folk Shawls
Chet Gadsby, Victorian Paisley Shawls


Bene, spero che l'approfondimento sia stato interessante.
Baci a tutti e a presto







Mauser


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