31 dicembre 2009

Ricette per i saponi di una volta

Continuando sulla scia dei post della pulizia (ormai vi avrò tormentato a sufficienza, credo), ecco qui l'ultimo contenente tre ricettine per la preparazione del sapone casalingo e alcuni trucchi per lavare gli indumenti neri o colorati.

Sapone dei poveri

Il sapone si faceva con gli avanzi della macellazione del maiale, comprese le ossa, sciolte in acqua bollente e soda caustica

Ingredienti:

  • 2,5 kg di cotenna e ossa di suino,
  • 9 litri di acqua,
  • 500 gr. di soda caustica

Preparazione:
diluire la soda nell'acqua fino a scioglierla completamente (se solida o in polvere), oppure amalgamarla con cura (se liquida), dopodichè aggiungere le parti del maiale mescolando non frequentemente ma con costanza,
Portare a ebollizione e lasciarla cuocere a fuoco non troppo vivo per circa 3 ore continuando a rimestare a intervalli.

Dopodichè lasciar raffreddare il tutto e tagliare il sapone così ottenuto in pani.

Poichè l'odore di questo sapone non è propriamente come quello moderno, si consiglia, dopo aver fatto sciogliere le ossa e la cotenna, di aggiungere aromi naturali: particolarmente indicati quelli mediterranei come rosmarino e alloro, ma anche la lavanda funziona bene.



Liscivia: cenere come detersivo

Quello della lisciva era un tempo un vero e proprio rito, che coinvolgeva tutte le donne della famiglia e che agli occhi dei bambini assumeva caratteri magici ed affascinanti. Dall'unione di acqua e cenere nasceva un'alchimia nascosta che miracolosamente faceva diventare bianca, morbida e profumata la biancheria ed il bucato. Naturalmente ogni regione, ogni paese, ogni casa aveva il suo metodo per lavare i panni, ma il procedimento era a grandi linee abbastanza simile da Nord a Sud.



Ingredienti:

  • Cenere e acqua in un rapporto di 1:5, ovvero 1 bicchiere di cenere e 5 di acqua.

Preparazione:

Setacciare la cenere.
Disporla in una grossa pentola (espressamente destinata a questo uso), rispettando il giusto rapporto cenere/acqua ed aggiungervi l'acqua.

Portare ad ebollizione, a fuoco lento, mescolando di frequente all'inizio e di tanto in tanto quando la cottura si è stabilizzata.

Far bollire circa 2 ore. E' consigliabile, verso fine cottura, assaggiare giusto una goccia del composto da posare sulla lingua per valutarne la potenza: se ha bollito sufficientemente pizzicherà appena.
Non eccedere nella bollitura, in quanto la lisciva ottenuta diventerebbe troppo forte ed aggressiva per la pelle e per l'ambiente.

A cottura ultimata, lasciare raffreddare e decantare.

Preparare un recipiente e qualche straccio di cotone pulito che non scolorisca.
Tendere sul recipiente lo straccio e fissarlo nella posizione con una corsa, uno spago, una fettuccia o un elastico.
Versare il contenuto della pentola sullo straccio nel recipiente, con l'accortezza di non agitare il liquido, cercando cioè di mantenere separata la parte solida da quella liquida. Se necessario ripetere questa operazione per ottenere una lisciva (ovvero la parte liquida) più filtrata e quindi più limpida.

Versare la lisciva in un flacone di plastica.
La lisciva è pronta! e si conserverà anche per anni...


Cosa si ottiene dal procedimento:

  • Una parte liquida, la lisciva propriamente detta,d a usarsi per tutti le pulizie (piatti, biancheria, pavimenti, ecc.), dicono sia ottima anche in lavatrice al posto del detersivo.
    La liscivia pura è utilizzabile per pulire più a fondo, mentre diluita per le pulizie leggere, come lavare i piatti.
  • Una pasta cremosa, che possiede un certo potere detergente e che può essere usata per lavare i piatti poichè non sporca come la cenere in polvere, lasciando che la parte pura sia adoperata per smacchiature più impegnative.

Sapone by Wikipedia

Ingredienti:

  • 10g di olio di oliva
  • 5g di idrossido di sodio
  • 40 ml di soluzione acqua/alcool al 50% (20ml di acqua e 20 di alcool)
  • 150ml di acqua e cloruro di sodio

Preparazione:

Si scalda il tutto per circa 45 minuti agitando continuamente. A parte si prepara un'altra soluzione acqua-alcol da aggiungere di volta in volta.
Dopo un po' si aggiunge il tutto ad una soluzione di 150 ml di acqua e cloruro di sodio fredda. Questa serve ad innalzare la forza ionica e a favorire la precipitazione del sapone.
Si filtra il precipitato e lo si asciuga in stufa.
Questo è il metodo per una completa saponificazione dell'olio (sia esso derivante dalle olive o da altra fonte animale e/o vegetale)

Gl ingredienti principali del sapone sono olio di oliva di seconda o terza spremitura (le cosiddette "sanse") e glicerina.

Al posto dell'idrossido di sodio per la saponificazione si usa talvolta la lisciva; la glicerina è un componente naturale che si forma per saponificazione dei trigliceridi degli oli vegetali o dei grassi animali.


Il fiele di bue

Per lavare gli indumenti neri si usava il fiele di bue diluito in acqua tiepida.

Siccome lasciava spesso un odore sgradevole, si preparava un infuso di foglie d’edera così il nero riprendeva anche la sua lucentezza.

La cenere: le proprietà segrete

Detergente per acciai

Oltre alle sue proprietà per il bucato, la cenere è molto impiegata anche come smacchiatore per gli acciai per le sue proprietà sgrassanti e perché, con alcuni piccoli accorgimenti, è utilissimo per ridare brillantezza e lucentezza alle pentole, al lavello inox e al piano cottura.

Anche la cappa e altri arnesi in metallo possono beneficiare delle molteplici proprietà della cenere!

Dite addio a Cillit Bang e altri prodotti al limite della soda caustica, ecco una ricettina veloce veloce e del tutto naturale ^_^


Per dare un brillo speciale alle pentole basta strofinarle con la cenere e un pochino di detersivo e risciacquare bene, poi vedrete come vengono belle pulite!

La stessa cosa è valida per le superfici in acciaio e alluminio.


E per ottenere un brillo ancora più intenso potete lavare la superficie, alla fine con una spugna imbevuta con aceto.


Puzza un po’, lo ammetto, io ODIO letteralmente l’aceto, ma se poi si toglie e si strofina il tutto con mezzo limone l’odoraccio scompare in fretta e sarà come se non aveste mai tirato fuori quel liquido abominevole.


Concime

Causa la grande quantità di antiossidanti contenuti nella cenere di legno, essa è abbondantemente impiegata anche come concimante e fertilizzante.


In alcune parti del mondo, vi sarà capitato di sentire, a causa del sottile strato di terreno fertile, esso vien ulteriormente concimato bruciando tutto al di sopra di esso, in questo modo la cenere che si viene a creare funge sia da “coperta” e protezione per lo strato sottostante, molto più debole, sia da concime per quello che dovrà nascere.


Non è una notizia nuova, no? Per anni al telegiornale non hanno fatto altro che tartassarci con le abitudini barbare di questi australiani e di alcuni contadini delle zone limitrofe all’Amazzonia, senza tenere conto che, invece, si trattava di un sistema antico e assolutamente naturale e non aveva a che fare con piromani impazziti.


Per le piante di casa, comunque, la cenere e i fondi di caffè sono ottime soluzioni.

Versatene un po’ sopra il terriccio o rimescolatela con la terra quando reinvasate i vostri giardini pensili: sarà un valido aiuto, soprattutto se per una qualche ragione la pianta non potrà ricevere troppa luce naturale.


Antiumidità

Credevate che avessi finito? E invece no, c’è ancora moooolto da dire, specialmente sulle proprietà segrete come antiumido.


Essendo infatti un composto di carbonati, la cenere serve anche ad attirare umidità, liberando quindi le vostre cantine da antiestetiche chiazze di bagnato e dal caratteristico odore di stantio che aleggia nei locali dove gira poca aria fresca.


Ideale anche per le soffitte e gli attici, diventa impareggiabile nel caso ci sia molto legno intorno.



Mauser

La cenere e la lisciva: il detersivo naturale

Abbiamo parlato ieri del bucato e del giorno del bucato, ma soprattutto di quanto fosse difficile e faticoso lavare e fare le faccende domestiche.

Oggi voglio analizzare qualche curiosità riguardo alla cenere: ottimo sbiancante e sgrassatore, mezzo ideale contro l'umidità e concime impareggiabile per le piante.

Non credevate che le sue proprietà fossero tante e tanto efficaci, vero? Invece a volte i consigli degli antichi andrebbero ripresi, soprattutto alla luce delle nuove notizie sul clima e lo stato del pianeta.

Lisciva, o liscivia è il nome con cui si definisce una soluzione liquida formata da cenere e utilizzata come smacchiature e sbiancante per tessuti e bucato e, diluita, anche per la pulizia del corpo.

Oltre a questi due impieghi, la liscivia era ampiamente adoperata anche per le pulizie domestiche, specialmente per le sue proprietà di sgrassante.

La lisciva è un detersivo naturale, ottenibile con un procedimento casalingo semplice, che non richiede impianti imponenti e lavorazioni complesse e che per questo rappresenta per l'ambiente un carico di entità bassissima.

Al giorno d'oggi pare forse strano adoperare della cenere per questo compito, ci si immagina le tele tutte imbrattate di scuro e di grigio a causa del colore che siamo abituati ad associare alla cenere, tuttavia, prima di procedere, vorrei sottolineare che il colorito cupo della cenere non è una cosa naturale, bensì composto da parti incombuste del legno, catrame e sporcizia in genere come combustione di materiale plastico: la cenere vera e propria era assolutamente candida, al più appena grigiata.

Tra al cenere veniva comunque fatta una cernita: si adoperava prevalentemente il renno, ovvero la cenere di legname particolarmente stagionato che bruciava con una certa facilità in maniera quasi completa, lasciando pochi residui incombusti e, perlopiù, di grosse dimensioni, quindi facilmente separabili dal resto.

In Italia l'utilizzo del ranno è stato molto comune sino agli anni '60 del Novecento: si utilizzava in particolare per la pulizia delle lenzuola (il bucato) prima dell'avvento della lavatrice.


Comunque, per evitare problemi legati alle macchie di cenere, soprattutto quando si lavavano i panni dei nobili, si adoperava un cencio di canapa tessuto a mano o un vecchio lenzuolo, detto Cenerone
dove veniva deposta la cenere, poi sopra era versata dell'acqua calda, in modo che il panno fungesse da filtro per tutte le impurità scure; l'acqua calda dissolve i carbonati di cui la cenere è ricca e, in particolare, il carbonato di sodio che ha notevole effetto sgrassante, questi passavano direttamente al bucato.

Questa acqua filtrata contenenti alcuni carbonati della cenere era proprio la liscivia.


In alcuni casi la liscivia era fatta in pani come il sapone da bucato, in questo modo se ne faceva scorta per un po', anche perché il procedimento era piuttosto lungo, le varie ricette le posterò più avanti.


Nonostante tutti questi fattori naturali, ricordiamoci che la liscivia è comunque da considerarsi un detersivo a tutti gli effetti!

L'acqua bollita, infatti, genera una reazione che fa assumere all'acqua un potere detergente, ma anche corrosivo; il tutto amplificato dall'azione della cenere dava vita ad un composto molto aggressivo nei confronti dei grassi.


La cenere distrugge qualsiasi tipo di grasso avendo un pH decisamente basico intorno al 10.0, mentre, come tutti sappiamo, la pelle gradisce un 5.5, cioè appena acido, quindi il contatto tra i due è devastante (per la pelle), questo il motivo per cui le lavandaie di un tempo avevano le mani così rovinate: veniva completamente rimosso tutto lo strato grasso che le ricopre proteggendole, lasciandole secche e sfibrate.


Attenzione! Se desiderate utilizzare la cenere come detersivo naturale secondo la ricetta che fornirò nel prossimo post, vi raccomando ASSOLUTAMENTE di indossare dei guanti di gomma o di lattice per proteggere la pelle!


Bene, ora vado, ho ancora un post da ultimare…


A presto, bacioni!



Mauser



PS: a quanto pare la Dixan ha riscoperto la cenere come componente dei detersivi, alla faccia della nuova formula! ;)



29 dicembre 2009

Il giorno del bucato

Ciao,rieccoci a scrivere ^_^
Inauguriamo una nuova rubrica di Economia Domestica, una materia che ormai non insegnano più, ma di cui ci sarebbe davvero molto bisogno... (e lo dice una che ha imparato a fare la lavatrice a... beh, comunque troppo tardi perchè sia un vanto).
Oggi vorrei parlare del bucato nell'epoca Vittoriana.

Vi siete mai soffermati a pensare a quanto sia facile, per noi uomini e donne moderni, fare il bucato? Abbiamo un sacco di facilitazioni! Escluso il tempo, che quella è la più grande mancanza dall'antichità fino ai tempi moderni, rispetto al passato noi siamo notevolmente avvantaggiati.
Quando la cesta del bucato si riempe fino a traboccare (come in casa mia >_>) un'anima buona si dedica all'opera di pulizia. Si dividono i bianchi, i capi scuri e quelli colorati e poi si fanno svariate macchinate.
In alcuni casi ci sono abiti che non possono essere lavati in lavatrice perchè troppo delicati o perchè prima necessitano di un ulteriore passaggio a mano, ma anche qui non si tratta di un grande problema: si fanno tante bacinelle separate con il sapone, si strofina un po' l'indumento ed ecco che il gioco è fatto perchè i nuovi saponi effervescenti con particelle di chissà cosa dentro fanno quasi tutto da soli.

Una volta invece la cosa non era così semplice, il bucato era un lavoro impegnativo sia per i poveri che per i re e, oltretutto, era anche una cosa lunga da fare che impiegava tutta una giornata e molte persone! Altro che lavanderia cinese dietro l'angolo...

Tra i nobili
Biancheria ed abiti erano sostituiti con una certa frequenza, più per un fatto estetico (le lenzuola stropicciate stavano male in letto =P) che per una questione di igiene e pulizia; almeno una volta a settimana si provvedeva al cambio di tutta la biancheria nella casa.

Nelle famiglie particolarmente facoltose, in special modo quelle che abitavano leggermente distaccate dalla capitale in case indipendenti, esisteva un vero e proprio locale lavanderia dove i panni sporchi venivano portati dalle cameriere o arrivavano attraverso particolari condotti del bucato sporco.
Qui erano ammucchiati in ceste a seconda del colore e della delicatezza e si procedeva quindi con il lavaggio vero e proprio.
Quest'idea di un locale dove lavare i panni, anzichè recarsi al truogolo, era stata copiata dalle grandi fattorie del nord, dove la quantità di persone che lavoravano e vivevano all'interno della proprietà rendeva più conveniente lavare tutto all'interno dell casa anzichè portarlo al paese.

Fare il bucato, un'operazione quasi esclusivamente femminile, era un lavoro duro e molto faticoso perchè bisognava sgobbare per ore con le mani immerse in acqua e detersivo o rimestare i panni con appositi strumenti, insomma, era un'impiego stancante e ben poco gratificate.

La prima parte difficoltosa era procurarsi l'acqua per lavare. L'acqua corrente, apannaggio di pochissimi fortunati, era comunque limitata al vano cucina.
Ma più spesso, nell'Ottocento e nel Settecento, l'acqua corrente era un'utopia, le case, anche quelle nobili, non possedevano condutture idrauliche che mandassero l'acqua direttamente dove se ne aveva la necessità.
Era quindi necessario recarsi al pozzo o alla pompa meccanica e, con due secchi, portare l'acqua alla lavanderia. Portare l'acqua era un lavoro faticosissimo, spesso bisognava fare molti viaggi e non sempre il pozzo era situato dietro l'angolo. Il compito ingrato era spesso svolto da ragazzine appena entrate a servizio: sguattere di cucina e di lavanderia che avevano la mansione di tuttofare ed erano mandate dove ce n'era bisogno.

Racimolta l'acqua necessaria, si poteva finalmente procedere.

Il bucato era fatto all'interno di conche, secchi o barili, questi venivano riempiti d'acqua per metà e ad essa erano aggiunti alcuni panni sporchi precedentemente bagnati e insaponati a mano, dopodichè si rimestava il tutto con un bastone, simile a quello impiegato per la polenta, per un'ora circa.
Terminato il giro del bastone, si procedeva attraverso uno strumento singolare detto "dolly", formato da un lungo manico a cui erano fissati un piattello di legno e, sotto questo, tre o più zampe di legno anch'esse. Questo strumento assai singolare aveva una duplice funzione: rimescolare per bene la stoffa con l'acqua e il sapone e ammorbidire il tutto, un'operazione che tra i poveri era fatta sbattendo con forza i panni sulla pietra del lavatoio.

Spesso, per facilitare l'operazione di pulizia, l'acqua di lavaggio veniva bollita: ecco quindi che le sguattere facevano un continuo viavai tra il pozzo e la cucina, dove era scaldata l'acqua nel grande focolare, e da lì fino alla lavanderia dove era utilizzata, con il risultato del doppio dei viaggi, ma un pulito sgargiante.

L'operazione di battitura dei panni durava diverse ore e teniamo conto che la biancheria di una casa era molta, quindi il giorno del bucato occupava buona parte della servitù per quasi tutta la giornata.

Verso la metà dell'Ottocento divennero popolari degli strumenti noti come "washing machinary", ovvero lavatrici formati da una conca di metallo dove si aggiungevano l'acqua calda, il sapone e i panni, si richiudeva il tutto e si agitava attraverso una manovella laterale che faceva ruotare il contenuto con foga in un modo molto simile a quello delle pesche di beneficienza.

Dopo che il panno era stato lavato accuratamente si doveva risciacquare il tutto accuratamente in modo che non rimanessero tracce di sapone che potevano danneggiare il tessuto e lasciare antiestetici aloni sui colorati.
Per eliminare l'acqua in eccesso si poteva procedere tramite uno "strizzatoio" o "asciugatoio", dryer in inglese, ovverossia una struttura composta da due rulli paralleli e fissati tramite ingranaggi ad una manovella laterale che, azionata, li faceva girare entrambi in maniera speculare.
In questo strumento, la cui altezza dei rulli era regolbile, si facevano passare lenzuola e vestiti perchè fossero strizzati, esso dava inoltre una prima grossolna stiratura.
Questo strumento, sebbene in dimensione ridotta, poteva anche essere incorporato nella lavatrice dove i panni erano passati appena usciti dalla centrifuga.

Se lo strizzatoio non era disponibile, si procedeva con i metodi antichi: i panni erano tenuti da due persone e strizzati facendoli girare in parti opposte.
In alternativa, questi erano sbattuti con violenza su lastre pulite di pietra per eliminare l'acqua in eccesso.
Entrambi i lavori erano duri e faticosi, in special moso se si stavano lavando tende o lenzuola; le cameriere, inoltre, erano costrette a lavorare in continuazione con le mani bagnate, rischiando di prendersi influenze o di rovinare la pelle, specialmente coi saponi (si diceva che una nobile la si riconoscesse dalle mani e avevano ragione ^_^).


A questo punto si procedeva con l'asciugatura vera e propria.
In estate, quando il tempo era buono, i panni erano stesi all'aperto o disposti sui prati perchè prendessero luce e calore. In questi due casi le cameriere dovevano fare molta attenzione perchè una prolungata esposizione ai raggi del sole poteva danneggiare il tessuto, ingiallendolo in maniera indelebile.
Sul prato si rischiavano inoltre orribili scherzi da parte dei ragazzini che si divertivano a sporcare nuovamente il bucato (cfr. Ferdinando e Carolina, film italiano con Sergio Assisi).


In alternativa, nelle case più grandi, i panni erano portati nella soffitta, dove erano predisposte assi e corde per stendere.
Perchè la soffitta? Perchè era il luogo più caldo della casa e riceveva molta luce anche durante le giornate di pioggia.
Lo dimostra anche il fatto che, nelle cartiere, i panni di carta erano sistemati ad aciugare proprio nelle soffitte delle case.
Lenzuola, federe e altre parti del bucato erano lasciate ad aciugare.
L'operazione era piuttosto lunga, specialmente se si trattava di capi di grandi dimensioni, ad esempio tende o tappeti.

In alcuni casi, donne e ragazze armate di battipanni si sistemavano ai lati e battevano contro la tela per accelerare il processo.
Era assolutamente improponibile sistemare i panni in una stanza dove ci fossero fuochi o camini poichè si sarebbero impregnati dell'odore di bruciato e avrebbero catturato aloni dalla cenere che volava.
Nelle case povere, comunque, la biancheria era spesso stesa ad aciugare sopra la stufa su apprositi trespoli.

Quando finalmente i panni erano aciutti, si procedeva alla piegatura.
Per federe, lenzuola e tende due cameriere di disponevano di fronte ad una certa distanza e piegavano le lenzuola nello stesso modo in cui si fa ancora oggi (io detesto piegare le lenzuola con gli angoli, è odioso, mi fanno venire un nervoso...!).

A questo punto bisognava stirare il tutto.
Non sottovalutate quest'operazione rispetto alle altre! Anche stirare era stancante perchè non erano ancora state inventate la stirella, la vaporella e tutte queste cose. Le piastre non erano in acciaio inox o ceramica.

I ferri da stiro erano strutture di ferro molto massicce e del peso di diversi chili. Per avere una temperatura adeguata venivano messi a scaldare sopra una stufa o riempiti di braci.
Dato che la loro durata era limitata, spesso si utilizzava un'intera batteria di ferri da stiro: quando il primo era esausto, veniva rimesso sulla stufa e preso il secondo e così via, altrimenti si riempiva nuovamente di carboni vivi.
L'intera stiratura, che oggigiorno avviene col calore, data la quasi mancanza di esso, in passato era sopperita da buon olio di gomito: le donne esercitavano una forte pressione per stirare, aiutate dalla pesantezza dello strumento.
Luogo di stiratura era il tavolo. Più largo era meglio era, solo successivamente si provvide all'invenzione dall'asse da stiro che, comunque, non fu mai pienamente accettata perchè instabil e debole rispetto alla forza che anadava applicata sui capi.

Tra i poveri
Se può consolarvi, lavare il bucato tra i poveri era cosa assai più semplice.
Nei paesi, nelle campagne e in alcune città, le donne portavano le ceste del bucato fino ai truogoli e li lavavano insieme tutti i panni, magari cantando canzoni popolari mentre si sbatteva la stoffa sulle pietre del lavatoio.
Probabilmente tutti avrete presente i vecchi lavatoi, sebbene in disuso da molto tempo: dalle mie parti ce ne sono moltissimi e mi pare quasi di vedere le vecchie matrone mentre cantavano canzoni genovesi come la Tomata de Babilonia strofinando con vigore il bucato.


Mia nonna mi ha insegnato a lavare come si usava una volta (e anche qualche canzone sebbene sia stonatissima =P) e per esperienza personal vi confermo che si tratta di un lavoro durissimo e massacrante, si sta curvi e con le mani nell'acqua e alla fine vengono tutte screpolate per l'acua gelida e il sapone. Strofinare è inoltre un lavoro che richiede dei buoni muscoli, le lavandaie, dopotutto, sono sempre state simbolo di grossolanità proprio per il loro fisico piuttosto robusto, ma non per questo disprezzabile.

Vi era poi il caso di chi non andava al lavatoio. Valeva anche per i capi delicati.
Si preparava una bacinella d'acqua fredda e si strofinava rigorosamente a mano la biancheria sporca. Per lavorare meglio si stava accucciati per terra o magari seduti su bassi sgabelli, in uqesto modo di poteva strofinare più energicamente i panni, come le fasce, i vestiti belli, i ricami particolarmente preziosi.


Saponi, detergenti e smacchiatori
L'utilizzo in maniera massiccia del sapone divenne tale solo dopo la metà dell'Ottocento, nel 1853, per l'esattezza, venne abolita una tassa molto esosa su questo componente che ne precludeva l'acquisto a molte persone. Da allora, soprattutto nei cosiddetti pani o nelle saponette si cominciò a vendere il sapone in maniera diffusa.

Il sapone era costituito da grasso animale, specialmente di mucca, o olio di oliva, comunque un emulsionante, a volte latte, cenere, sodio e, ma più raramente, alcool; erano parte della mistura anche sostanze naturali come la calce e il caolino.
La sua efficacia derivava dal fatto che fosse molto aggressivo e corrosivo.
Ai tempi della Regina Vittoria il metodo di saponificazione era ancora quello detto Leblanc, che prevedeva l'utilizzo della soda estratta dal sale marino, mentre dalla fine del diciannovesimo secolo prenderà campo il metodo Solvay, utilizzato ancora oggi.

Successivamente il borace divenne un ottimo sostituto per la sua azione, impiegato anche nei saponi in polvere e nei detersivi per la casa (ma questo sarà moooooolto dopo).

Ma già nei primi del Novecento, comparvero i primi saponi artificiali che tenderanno, nel corso di quel secolo, a soppiantare in maniera quasi definitiva i vecchi saponi naturali.

La cenere era considerata un ottimo sbiancante, soprattutto quella di legno, vi scriverò sopra un apposito post in modo da spiegarne il processo più chiaramente.

Anche calce e caolino, sbiancanti naturali per la loro azione aggressiva, erano impiegati, questo dimostra come mai le lavandaie avessero le mani così rovinate.

E naturalmente era già stata scoperta la candeggina, detta anche varechina o varichina.


Bene, credo di aver chiarito un pochettino l'argomento, almeno a me stessa e spero anche a voi.
A presto, baci!



Mauser

28 dicembre 2009

The Young Victoria - Il film

Ciao, un breve excursus che non potevo lasciarmi scappare.
Purtroppo sono arrivata in ritardo anche io alla notizia... soooory =P


Naturalmente l'avrete capito dal titolo, sto parlando di un film.
Un film che questo blog di appassionati dell'epoca Georgiana e (oserei dire soprattutto) dell'epoca Vittoriana non può lasciarsi sfuggire perchè racconta la vita della giovane Vittoria da un anno prima di salire al trono.

Già, ora avete capito come mai non potevo lasciar correre così, en passant, qualcuno la potrebbe definire una questione di principio!

Ma non devo divagare, ho promesso che sarò breve.
La trama del film è cosa risaputa, i primi tempi del regno della giovane Vittoria (salita al trono britannico a soli 18 anni), con un occhio di riguardo alla sua storia con il Principe Alberto (questo film mi piace sempre di più *________*); il tutto fino alla nascita del loro figlio primogenito.

La sinossi è quindi inutile, Wikipedia e le sue consorelle forniranno di sicuro materiale di lavoro e approfondimento a iosa su Vittoria e Alberto anche senza questo movie-documentario, come sono tanto di moda negli USA, ma i film, si sa, sono tutta un'altra cosa.

Ma parliamo un po' della produzione? Faccio qualche nome, probabilmente vi stupirete quanto lo ero io quando li ho letti:
  • Martin Scorsese
  • Graham King
  • Sara Ferguson
Siete sicuri che quell'ultimo nome non vi dica proprio niente?
Non era Sara la moglie di quell'Andrea duca di York e figlio di Elisabetta II? Dite che è la STESSA Sara?
Sì, è proprio lei. Chissà come mai una che è uscita dalla famiglia reale inglese in maniera non altrettanto "regale", visto che gossip, tabloid e pettegolezzi le sono saltati alla giugulare praticamente da subito, si sia messa a fare un film proprio su un'antenata dell'ex marito.
Pura indagine commerciale o ha qualche legame che ancora l'unisce con la famiglia regnante d'Inghilterra? Chissà, lei certo non ce lo dirà e anche se lo dicesse non sono sicura che sarebbe la risposta vera...

Ma passando oltre le mie velenose osservazioni, continuiamo a parlare di questo lungometraggio: a interpretare Vittoria c'è Emily Blunt, già famosa sul grande schermo in altri panni ancora più storici (Le sei mogli di Enrico VIII), ma forse ancora di più per il suo ruolo di Emily in Il diavolo veste prada, dove faceva l'altra segretaria di Miranda e collega di Andrea.
A mio giudizio rende abbastanza bene la giovane regina, non troppo vistora per quanto riguarda la bellezza, cosa che calza perfettamente visto che Vittoria non era una manichen, ma comunque carina e graziosa e con una buona recitazione per quanto riguarda le scene dove la Regina fa sfoggio del suo potere.

Rupert Friend è invece un'ottimo Principe Alberto, forse un po' malinconico rispetto a come ce lo immaginiamo dai severi ed austeri dipinti vittoriani, e con una vena musicale particolarmente spiccata che lo rende decisamente romantico.

The Young Victoria si candida quindi come il primo reale antagonista del famosissimo film d'esordio di Romy Schneider, prima ancora che diventasse famosa con il suo ruolo di Sissi nei tre film seguenti.
Il film si è comunque guadagnato la sua dose di critiche da parte di storici e appassionati di cinema, soprattutto per quanto riguarda particolari episodi storici distorti per aumentare la drammaticità della pellicola e romanzare ulteriormente il rapporto tra i personaggi (come se ce ne fosse stato bisogno ^_^').

Di particolare rilievo è invece la colonna sonora che segue tutta la vita ritratta di Vittoria attraverso pezzi scritti appositamente per il film, più alcuni interludi classici, specialmente Schubert, suonati dallo stesso Rupert Friend.

E adesso i tasti dolenti: ahimè...
Il film è uscito nelle sale cinematografiche il 6 marzo 2009, cioè quasi un anno fa! E nessuno ne sapeva niente!
Già perchè nonostante esso sia stato proiettato in molti paesi anche al di fuori della Gran Bretagna e degli USA, in Italia (aggiungerei NATURALEMENTE) non è arrivato.
Nel frattempo ne è comunque uscito il DVD con la versione integrale il 13 luglio di quest'anno.
Cosa ancora peggiore, non si sa nulla se mai arriverà (ma più probabilmente no), infatti pare che nessuno dei produttori e rivenditori italiani sia interessato all'acquisto della pellicola, giudicandola di bassa qualità e utile soltanto come una delle tante fiction storiche che ormai sfornano a ruota libera a Cinecittà, non contando che, invece, The Young Victoria è un prodotto di ben altro spessore e di molto superiore ai telefilm in costume nostrani.

Per i link, sono riuscita a trovare solamente il sito ufficiale che, tuttavia mi è sembrato piuttosto curato, almeno dal punto di vista grafico...
The Young Victoria Official Website

Ecco qui i due trailer internazionali del film uno spezzone tratto dal lungometraggio che mi è sembrato significativo ^_^







Ok, per oggi non aggiungo altro, vi lascio in pace...
A prestissimo!



Mauser





27 dicembre 2009

La macchina per cucire

Ciao a tutti!
Ben ritrovati dopo questo Natale 2009 che, grazie al Cielo, è andato un po' meglio di quello precedente =P
Come vi sentite dopo le abbuffate delle prime feste? Io sono così piena che potrei vomitare e se solo penso che tra qualche giorno è Capodanno e mi tocca ricominciare a rimpinzarmi per non offendere zia Adelina e zia Dolores (scherzo mica si chiamano così ^_^) mi prende veramente male!
Mi sa che fino al 2010 io sono a digiuno...
Ma proprio in virtù di tanto tempo libero, ecco rimettermi a scrivere sul blog, quest'oggi l'argomento sarà............la macchina per cucire!
Occhio a quel PER, non sta campato per aria, ma ha il suo significato perchè indica la funzione! Lo so, discorso assurdo, lo saprete già senza che ve lo spieghi, ma qui dalle mie parti esiste la deformazione dialettale che il DA indica il PER, quindi la macchina è "da cucire", non chiedetemi delucidazioni in merito, i padri genovesi evidentemente avevano qualche deformazione linguistica... l'unica cosa che so è che si dice anche macchina da lavare (la lavatrice) ecc.

Ma vi chiederete: perchè proprio un post sulla macchina per cucire?
Beh, questo congegno tecnologico ha seguito un po' il percorso che fa questo blog, la sua storia nasce nel Settecento e si è via via evoluta fino a diventare quel portento che mostrano in tv che tra un po' cucinerà anche il roastbeef, caratterizzando una professione, quella della sarta e del sarto, che ha seguito passo passo ogni generazione nata tra la metà del Settecento e i primi del Novecento senza mai abbandonarle. E non solo!
E' proprio tra la fine dell'Ottocent e i primi anni del Novecento che la macchina per cucire entra anche nelle case comuni, dove le donne, per racimolare qualche spicciolo, eseguivano i lavoretti più noiosi per le cucitrici (le sarte) e preparavano in casa gli abiti per la famiglia, sarà tuttavia solo negli anni '40 che, prima in America e poi all'estero, si ebbe il grande boom di questo arnese, entrando nella quotidianità.

La macchina da cucire, a differenza del telaio che ha rappresentato il punto di partenza della Rivoluzione Industriale diventando "meccanico", ha subito questo genere di metamorfosi solamente nella seconda metà dell'Ottocento e ci impiegò parecchio prima che la cucitura in serie diventasse apprezzabile e rendesse nei confronti di quella a mano.
Un esempio? Parlo di un tempo non troppo distante: gli anni Cinquanta.
Negli anni Cinquanta del Novecento (meglio precisare, non vorrei creare troppa confusione) era assolutamente normale avere abiti fatti su misura da una sartina. E, soprattutto le camicie, era impensabile comprarle già fatte, bell'e pronte!
Mia nonna, lo saprete perchè l'ho già detto, era proprio una camiciaia e con la sua macchina per cucire confezionava le camicie ai dirigenti della Piaggio. Non ho una sua fotografia di quando lavorava con la macchina per cucire, ma mi piacerebbe davvero vederla ^_^

Ma torniamo alla macchina, bando alle ciance e mettiamoci a parlare della sua turbolenta storia, premetto che per stendere questo articoletto mi sono servita in maniera massiccia del contributo di Wikipedia, sempre un'ottima collaboratrice e un aiuto importante per i dettagli che tendono a sfuggire di mente =P

Struttura e funzionamento
Come dice il nome stesso, la macchina per cucire è un'apparecchiatura meccanica il cui è scopo è quello di fissare insieme lembi di stoffa, pelle e altri materiale attraverso una cucitura.

Il principio di funzionamento prevede l'impiego di un filo, solitamente di cotone, che viene fatto passare attraverso le due parti da giuntare attraverso l'impiego di un ago oscillante che segue il movimento alto|basso.

A seconda del tipo di cucitura che si vuole ottenere, la macchina può avere una struttura più o meno particolare, gli aghi possono avere diverse dimensioni, per adattarsi al materiale su cui andranno a cucire, ugualmente essi potranno avere anche forme diverse a seconda del tipo di cucitura che si vorrà realizzare, ad esempio per la cucitura invisibile si adopera un particolare tipo di ago ricurvo che trapassa solo il primo strato di tessuto e infilza appena il secondo, dando l'illusione che non ci sia cucitura (è il metodo impiegato per gli orli di pantaloni e gonne formali, dove non sta bene che l'orlo basso di chiusura sia visibile).
Anche la struttura può essere diversificata: molte macchine da cucire avevano una base in parte smontabile con cui era possibile cucire i polsini delle camicie, un lavoro che richiedeva per forza un supporto sottile e tubolare per seguire la forma della manica. Questo venne successivamente realizzato anche grazzie all'aggiunta di un braccio di lavoro intercambiabile e applicabile alla struttura originaria, ma si tratta comunque di un'aggiunta piuttosto recente, prima ci si ingegnava come si poteva.

Le macchine per cucire si differenziano, oltre che dal tipo di punto eseguito, anche per la struttura con la quale sono composte e che di conseguenza la differenziano in base all'utilizzo che possono avere.


Pedale e Manovella
Sicuramente vi è capitato di vederne di entrambi i tipi.
L'originale macchina per cucire aveva un sistema di movimentazione degli aghi attraverso una manovella laterale che l'utilizzatore/trice si preoccupava di girare in continuazione; a seconda della velocità con cui si muoveva la manovella, si regolva anche quella dell'ago che cuciva insieme la stoffa.

Tipicamente la ruota laterale era manovrata con la mano destra, mentre era la sinistra ad occuparsi di direzionare il tessuto per seguire la linea corretta dove cucire.

La manovella era fissata al resto della struttura attraverso una cinghia di cuoio ed era, per così dire, l'anello debole della macchina da cucire perchè la cinghia di trasmissione era facile all'usura e spesso andava, oltre che cambiata, anche adeguatamente lubrificata.
Benchè il prototipo della macchina per cucire sia antico di quasi tre secoli, è piuttosto frequente ritrovare nei casali o nelle case dei nonni delle macchine a manovella.

L'evoluzione del modello della macchina per cucire portò all'introduzione della macchina a pedale, questo tipo di macchina prendeva l'energia di funzionamento da un pedale disposto sotto la struttura e non più dalla manovella laterale.
Nonostante questo, la manovella non scomparve deltutto dai modelli seguenti perchè era tramite essa che si poteva regolare alla perfezione l'andamento e la velocità della macchina.

Attraverso l'innovazione del pedale, la cucitrice si ritrovò quindi ad avere a disposizione entrambe le mani, con cui era possibile regolare ancora meglio le cuciture, l'andamento sia della stoffa che del filo e creare splendidi effetti.

Il pedale, però, comportò anche un ingrandimento della struttura della macchina, che dovette quindi diventare una specie di tavolino a cui la cucitrice si sedeva per far andare tutta la struttura..

L'Ago, ritorno alla Bella Addormentata
Molti sottovalutano l'importanza di questo componente, sostenendo che "uno vale l'altro", in realtà le caratteristiche dell'ago sono quelle che predicono come sarà il risultato finale di una cucitura.
L'ago è quindi fondamentale e le sue diverse caratteristiche determinano la sua efficacia nella formazione del punto.


  • Codolo: È la parte dell'ago che viene fissata sulla morsa presente nella parte inferiore della barra ago. Ha una forma cilindrica e talvolta presenta una sezione longitudinale del codolo stesso, che favorisce l'esatto posizionamento dell'ago nella macchina. Sul codolo sono impresse normalmente anche le caratteristiche fisiche dell'ago stesso.
  • Calcio: È la parte terminale del codolo; ha una forma a tronco di cono per favorirne l'inserimento nella barra ago.
  • Spalla: Anch'essa a forma di tronco di cono, raccorda la parte superiore dell'ago (codolo) con la parte inferiore (stelo).
  • Stelo: È la parte compresa tra la spalla e la cruna, può presentare un rigonfiamento appena sopra la cruna per favorire l'allargamento dei fili di trama ed ordito allo scopo di ridurre l'attrito. Il diametro dello stelo determina la finezza d'ago e varia a seconda della tipologia del tessuto da lavorare.
  • Scanalatura: È un canale scavato lungo lo stelo nella parte anteriore dell'ago dalla cruna fino alla spalla ed ha la funzione di contenere il cucirino durante il passaggio attraverso il tessuto, per non provocare attrito e tensioni elevate. In alcuni casi può essere presente una scanalatura anche sulla parte posteriore dell'ago, in questo caso di dimensioni più ridotte.
  • Cruna: È il foro, posizionato appena sopra la punta, entro cui viene infilato il cucirino. È il punto di maggior attrito dell'ago a causa del continuo scorrere del cucirino al suo interno; per questo ha una forma ideata per ridurre al minimo lo sfregamento ed un diametro variabile da proporzionare al titolo del cucirino da utilizzare.
  • Scalfo: È un vano posizionato nella parte posteriore dell'ago, subito sopra alla cruna. Ha due funzioni fondamentali: la prima è di consentire la formazione del cappio del cucirino, la seconda è di favorire il crochet nell'afferrare il cappio stesso, passando il più vicino possibile all'ago.
  • Punta: L'estremità inferiore dell'ago è chiamata punta; ha una forma conica ed un vertice appuntito che può avere varie sezioni.
    All'interno delle punte è inoltre necessario fare un'ulteriore suddivisione a seconda dell'impiego per cui sono progettate:
    • Punte tonde: vengono impiegate nella cucitura dei tessuti, l'arrotondamento infatti permette di penetrare tra la trama e le fibre senza rovinarle e senza creare quegli antiestetici fili che spuntano e che rovinerebbero il colpo d'occhio del capo finale.
    • Punte taglienti: vengono impiegate per la cucitura di tutti i materiali composti da uno strato uniforme e non da un'intreccio. In particolare sono utilizzate nella cucitura della pelle dove, per operare una bucatura, occorre fare molto sforzo su un punto preciso del materiale.


Struttura originaria e struttura a pedale
La struttura originale della macchina per cucire era da tavolo.
Sarà solo con l'introduzione del pedale che essa assumerà la forma di un tavolino a cui l'utilizzatore si sedeva per far andare il tutto.

La macchina era inizialmente un congegno utilizzabile su qualsiasi superficie piana di adeguata altezza per un lavoro ben fatto e una luce sufficiente; la sua costruzione di metallo e legno la rendeva decisamente poco trasportabile e lo rimase a lungo (fino alle Singer anni '50), ma con il ridimensionamento degli spazi e una gestione più ottimizzata dei componenti divenne abbastanza facile muoverla all'occorrenza senza problemi di dimensioni, l'unico inconveniente era costituito dal peso non indifferente...
Essa era fissata al tavolo o al supporto tramite martinetti poichè lo strumento doveva rimanere fermo mentre si eseguivano le cuciture.

Con l'introduzione del pedale la macchina iniziò ad assumere dimensioni ragguardevoli.
Essa rappresentava molto spesso una parte del mobilio ed era grossa quanto una piccola cassettiera o un tavolino. Anche l'altezza era aumentata.
Fu per questo che taluni modelli, oltre all'originaria struttura di supporto, vi costruirono attorno un piccolo mobile in legno che contenesse il tutto: la macchina era a scomparsa, ovvero poteva essere sistemata all'interno della struttura, mentre le gambe e la pedaliera erano coperte da una parete di legno, in questo modo la macchina era completamente rinchiusa e invisibil e tutto il mobiletto poteva essere utilizzato come supporto fino al nuovo utilizzo.
Il principio di scomparsa delle macchine a cucire del genere ricorda senz'altro quello dei moderni arredamenti Foppapedretti.


Difficile è attribuire l'effettiva paternità del meccanismo della macchina per cucire.
La sua invenzione è piuttosto controversa, infatti brevetti per meccanismi in grado di produrre cuciture furono depositati da Fredrick Wiesenthal nel 1755, da Thomas Saint nel 1790, da Barthélemy Thimonnier nel 1830 e da John J. Greenough nel 1842.

Con l'introduzione del telaio meccanico nella produzione di tele e tessuti e la trasformazione di tale produzione in un sistema industriale, si abbassò drasticamente i prezzi della stoffa, il che rappresentò un ottimo trampolino di lancio per la macchina da cucire prima tra sarti e sarte (prima metà dell'Ottocento) e poi tra la gente comune (tarda seconda metà).

Nel Novecento, dagli anni '20 agli anni '40, cioè prima della macchina da cucire industriale, si sopperì alla produzione di abiti in serie con batterie di uomini e donne che cucivano contemporaneamente nei locali della società. A tal proposito rimando il link al video a fine pagina con la canzone The sewing machine tratta da un musical proprio degli anni '40. Il video rende un po' l'idea di come doveva essere l'ambiente di lavoro.


Insomma, le macchine da cucire sono state per molto tempo le fidate compagne delle nostre nonne e bisnonne. Ultimamente l'introduzione della cucitura in serie, oltre ad aver dato luogo a capi che si sfilacciano alla prima occasione meno indicata, ha anche costretto quest'oggetto ad un ridimensionamento di utilizzo. Da una parte è diventato completamente automatizzato, senza più la cucitrice che fa andare il pedale o la manovella, azionate ad energia elettrica. Dall'altra, visto che ci sono ben poche persone che sono in grado di adoperarla, la macchina da cucire è diventata uno dei tanti elettrodomestici sponsorizzati in televisione.



Lascio dei link interessanti sull'argomento:

A Brief History Of The Sewing Machine
Si tratta di un sito di approfondimento sulla storia della macchina per cucire. Purtroppo è in lingua inglese, ma dato che non utilizza termini tecnici particolarmente approfonditi, credo sia comprensibile da tutti, nel sito è inoltre presente una vasta gallery di fotografie e stampe di macchine da cucire d'epoca.

Ecco il video di cui parlavo intitolato The sewing machine, è tratto da un musical, Annie get your gun, poi trasposto negli anni '50 in versione cinematografica e arrivato anche in Italia con (l'orrido) titolo di Anna, prendi il fucile.





Qui invece abbiamo un video illustrativo di una bellissima macchina per cucire Singer di fine secolo, assolutamente deliziosa!




Altro video molto carino sulle macchine da cucire d'epoca, assolutamente fantastiche! *____*




Ecco poi due spot pubblicitari della Singer degli anni 50/60, so che sono un po' tardi, ma le macchine da cucire non è che siano cambiate granchè nel tempo =P


Per finire, ecco tre libri: il primo, Old Sewing Machines, della casa editrice Shire, è un ottimo approfondimento sulla storia della macchina da cucire, naturalmente in lingua inglese.

Il secondo, The Encyclopedia of Early American Sewing Machines: Identification & Values, è un libro di approfondimento contenente valutazioni di mercato, ma soprattutto bellissime illustrazioni.

Per finire, ecco
Queen Of Inventions: How The Sewing Machine Changed the World, approfondimento davvero molto interessante ^_^

Tutti sono acquistabili su Amazon.com.

Ora vi lascio, a presto!



Mauser

25 dicembre 2009

Merry Christmas


Tantissimi auguri a voi, cari lettori del blog, e alle persone che amate per questo Natale 2009!

Che possa essere dolcissimo e pieno di felicità!

Baci a tutti e i miei migliori auspici per il nuovo anno!

Mauser

23 dicembre 2009

Le posate

Ciao a tutti e bentornati su questo blog!
Oggi vorrei affrontare un argomento particolare e piuttosto inconsueto, ovvero quello delle posate.

Cosa c'entrano le posate con la cultura georgiana e vittoriana? Direte voi, ebbene, è proprio in quel periodo che questi strumenti prendono finalmente il loro posto sulla tavola così come lo conosciamo.
Non starai esagerando? Chiederà qualcuno.

Ebbene no, forchetta, cucchiaio, coltello e i vari mestoli, scolapasta e spiedi assumono la loro forma moderna solo verso la metà dell'Ottocento, quindi piuttosto tardi se si considera che il cibo alla fine è sempre lo stesso dalla notte dei tempi...

Cosa c'è di bello, confrontandosi coi secoli passati, è vedere come le cose di cui oggi non possiamo assolutamente fare a meno, fossero del tutto inutili.
Mangiare con le mani oggi è considerato uno dei peggiori sintomi di inciviltà culturale di una persona, oltre che altamente antigienico e poco fine: ebbene, i grandi e civilizzati romani mangiavano con le mani perchè la forchetta non aveva la sua funzione moderna, era come se non fosse stata ancora inventata. Nel Medioevo abbiamo tutti chiari in mente i quadretti cinematografici con il signorotto seduto alla sua tavola mentre addenta cosciotti di agnello e ali di pollo con le mani per poi gettare gli scarti sotto il tavolo...
Quando ero bambina trovavo alquanto difficile cimentarmi col coltello, è divertente vedere come un tempo non ce ne fosse bisogno e tutto quello che faceva alzare più di un cipiglioso sopracciglio ai miei genitori era considerato quotidiano se non NORMALE, l'esatto opposto di adesso. Scoprirlo è stata un po' la mia piccola rivincita nei confronti di quell'educazione insopportabile che si insegna ai ragazzini.

Ma passiamo ad analizzare le varie posate.

La forchetta
Ormai elemento indispensabile sulla nostra tavola, la forchetta, benchè abbia origini antiche è entrata relativamente tardi (proprio in epoca Georgiana) nella quotidianità e, ricordiamoci, per quotidianità si intende sempre quella dei più ricchi, i poveri continuavano a mangiare minestra...

Si dice che l'origine della forchetta sia orientale, presumibilmente cinese o giapponese, dove da tempo si litigano sulla paternità; è un fatto insolito che sia nata in quei paesi per essere poi soppiantata dalle bacchette (hashi, chackara, ecc).
Il suo utilizzo in Oriente, comunque, era prevalentemente dedicato alla pasta lunga, quella che oggigiorno viene chiamata noodles, ma che in Cina, Giappone e Corea si trova in pietanze come ramen o ramyeon.

La forchetta, comunque, a dispetto della sua origine antica, arrivò in Europa già ai tempi dei Romani nella variante a due rebbi anzichè tre o quattro come le forchette moderne. La sua funzione era quella di piccolo spiedo per infilzare la frutta come i datteri e sarà solo più avanti che muterà utilizzo, aggiungendo altri due rebbi a quelli esistenti. Insomma, era adoperata per gli stuzzichini come le forchettine da antipasto che conosciamo oggi, quelle con cui si (tenta) di infilzare le olive o i tramezzini mignon.

L'introduzione della forchetta sualla tavola dei ricchi è cosa assai recente, essa ha infatti incontrato notevoli difficoltà ad essere adoperata, specialmente per la sua rassomiglianza con lo strumento infernale utilizzato da Lucifero.
Sarà solo nel Settecento, con l'arrivo di molte pietanze solide che necessitavano di essere infilzate e l'introduzione della pasta lunga (tagliatelle, bucatini, spaghetti e così via) che la forchetta riassumerà il suo utilizzo originale.

Il primo personaggio famoso ad adoperare la forchetta sulla propria tavola (molto aristocratica, è il caso si dirlo) fu Enrico III di Valois, figlio di Caterina de Medici e Re di Francia. Correva il 1600 e ci vorrà quasi un secolo prima che l'oggetto venga accettato ed entri a tutti gli effetti nell'utilizzo quotidiano.

Ancora nell'Ottocento, tuttavia, benchè fosse considerato sconvenientissimo mangiare con le mani, si preferiva servire a tavola e agli ospiti una zuppa o un brodo piuttosto che un piatto solido per non metterli di fronte all'annoso problema: forchettà sì, forchetta no?
Una cosa da nulla, beh, proprio no: meglio sembrare poveri che eretici...


Il coltello
Senz'altro la posata più antica.
Dotato di un'impugnatura e di una lama affilata, il coltello presenta molte varietà nella forma, nell'impiego e nei materiali in cui è fabbricato.
E' anche l'unica posata ad avere chiara fin da subito la sua funzione e a non mutarla nel tempo: tagliare sarà sempre il suo obiettivo (tranne a quelli di casa mia che sono costantemente con la lama senza filo perchè nessuno si ricorda mai di affilarli...).

Il suo nome deriva da una parola latina che identificava il vomere dell'aratro ed è dalla stessa radice che arriva anche la parola moderna forcella, ma questo non c'entra... >_>

Di origine preistorica, il coltello sempre fu e sempre sarà sulla tavola, a meno che qualche computer ultramoderno non sia in grado di fare di meglio. Perfino nell nostra società di massa e consumista oltre ogni dire, le porzioni non vanno mai a pennello a chi mangia, l'utilizzo di questo attrezzo si rende quindi indispensabile per partizionare le vivande e questa fu la sua occupazione fin da quando fu introdotto sulle ricche tavole e tovaglie.

Per un breve periodo, nel Medioevo, esso fu sostituito dalla spada, i cavalieri avevano infatti l'orribile (a mio dire) abitudine di affettare il cibo con la lama con cui avevano infilzato i miscredenti arabi durante le Crociate e la stessa lama era stata precedentemente lisciata e pulita, oltre che lucidata con grasso di talpa e olio di topo, insomma, l'ideale per i deboli di stomaco...
Ma si sa (è un pregiudizio, non predetela per una verità), nel Medioevo c'erano solo incivili ed era un periodo "barbaro".


Il cucchiaio
Detto anche "la posata dei poveri", il cucchiaio sarà l'ultima delle tre posate a fare la sua comparsa, proprio per la sua bassa estrazione.
Era infatti adoperato fin dai tempi antichi per sorbire la minestra e le zuppe, piatti tipicamente povere mangiate dal popolino: quindi squallido che un tale arnese facesse la sua apparizione sulle tavol imbandite dei nobili, che mangiavano la minestra come gli altri, ma consideravano più fine sorbirla direttamente dalla scodella (!!!).

Il nome gli deriva dal latino cochlea (chiocciola) perché forse il primo rudimentale cucchiaio fu una conchiglia, da cui il nome usato ancora oggi.

Con il tempo il cucchiaio ha subito un'evoluzione: nel '600 il manico è stato progressivamente allungato, mentre nel '700 il cucchiaio ha assunto forme e dimensioni diversificate in base all'uso a cui era destinato.

Oltre che per cibarsi, il cucchiaio ha avuto (e ha) anche una funzione liturgica. Fino al '700 ne esistevano a fori sottilissimi per far passare il vino durante la messa. Esistono ancora nelle chiese di rito cattolico romano cucchiai da incenso, mentre nel rito greco, copto e siriaco esiste un cucchiaio da comunione.

Forte è la rassomiglianza tra il cucchiaio e il mestolo da cucina.

Entrambi possiedono pressappoco la stessa forma, diversificata per la lunghezza del manico, le dimensioni della "conchiglia" e il materiale.

Sebbene infatti il cucchiaio si sia evoluto dal legno alla porcellana e poi al metallo, il mestolo è rimasto di legno, con alcune incursioni dell'acciaio inox, ma solo nell'ultimo cinquantennio, quindi si tratta di un'introduzione decisamente moderna.

Il cucchiaio è inoltre un elemento comune tra molte culture: essendo dovunque, nel mondo, presente del cibo acquoso o di stato fisico liquido, si è creato un processo di "convergenza evolutiva", come viene chiamato in biologia, ovvero, per sopperire a problemi analoghi, specie diverse hanno adottato le stesse soluzioni.

In questo caso il problema era quello di mangiare i suddetti cibi liquidi, mentre le specie differenti (che mi si passi il paragone, non vuole assolutamente essere razzista) erano quelle orientali, europee, americane e australi.

Per fare degli esempi basta considerare il cucchiaio di porcellana finemente decorato utilizzato in Cina per sorbire le minestre o in particolri cerimonie del tè. Stesso discorso va fatto per il "cucchiaio" coreano, che in quel particolare paese, a differenza degli altri, è utilizzato per mangiare il riso e presenta un manico molto sottile e una spatola rotondeggiante e piuttosto larga.

Anche in America precolombiana si sono trovate posate del genere, utilizzate specialmente per un preparato fatto con intestini di animale che andavano bolliti e poi mangiati proprio attraverso questo utensile.

Per finire, in Europa il cucchiaio ha storia assai antica: importato probabilmente dalla Persia, ma potrebbe anche trattarsi di un'invenzione autoctona.

Curiosamente, nei paesi anglosassoni il cucchiaio identifica anche un'unità di misura.

L'introduzione ufficiale del cucchiaio sulla tavola benestante, comunque, è della fine del Settecento, sebbene alcuni non lo accettassero almeno fino alla metà dell'Ottocento.


L'etichetta in tavola


Naturalmente, dopo che furono entrati nell'ordinario, tutti questi arnesi e posate cominciarono ad essere ricoperti da una folta coltre di rigide norme e regole su come andavano impugnati, come dovevano essere portati alla bocca, come si doveva disporli sulla mensa e così via, ai Victorians piaceva molto fare delle regole per ogni cosa, forse neltentativo di mettere ordine in quel caotivo mondo in cui vivevano, ricco di contraddizioni e cambiamenti, ma (forse) nulla paragonato a quello moderno dove, per citare una vignetta dei fratelli Origone (noti fumettisti liguri), con Neb, il primo ministro egizio, parla con l'ambasciatore arabo:

Arabo: nel mio Paese ci sono troppi enti inutili
Neb: anche qui in Egitto
Arabo: sì, ma mai come da noi
Neb: questo lo dici tu. Voi ce l'avete l'ente per la protezione delle guardie del corpo?

Un ottimo riassunto del mondo moderno, credo.

Ecco quindi da dove nasce la disposizione dell posate che usiamo ancora oggi: Il coltello alla destra, la forchetta alla sinistra (forse perchè uno "istrumentum diabolicus", come lo chiamavano nel Seicento, ben si abbinava alla "mano del diavolo"), perchè i piatti andassero impilati in un certo ordine, quale fosse l'ordine delle salse e la disposizione delle saliere.

L'etichetta che regolava la disposizione delle pietanze sul tavolo non aveva nulla da invidiare a quella che mi hanno insegnato al corso di Coreano sulla disposizione dei piatti nella loro cultura. Esisteva una differenziazione a seconda della casta di appartenenza e nei vari casi il tutto era organizzato millimetricamente per dare l'idea di abbondanza e opulenza.

Paradossalmente noi mangiamo con posate di plastica, facendo poca attenzione a dove va messo il coltello, da che parte sta il bicchiere da vino. La pizza, non so se a voi è mai capitato, ma l'ho già mangiata direttamente nel cartone e la cosa non mi ha creato particolari problemi.
E bere dalla bottiglia non è considerata chissà quale forma di maleducazione. Le rigide norme vittoriane erano così poco adattabili che si sono perse per strada, incapaci di mutare anche quel minimo per essere adoperate anche ai nostri giorni. Dopotutto, insegna la scienza, questo è il destino di chi non si adatta, di chi è troppo rigido e fermo.

Beh, credo che sull'argomento per oggi si possa concludere qui.

Lascio due libri in inglese che ho trovato sulla rete e sono particolarmente interessanti.

Il primo, Victorian Kitchens & Baths è una monografia molto bella e con spiegazioni interessanti su queste due stanze e su come erano abitate due secoli fa.

Il secondo, Perfect Tables è un'ottima guida sulla preparazione della tavola, con una sezione su come era organizzata ai tempi della Regina Vittoria, ma, soprattutto, PER la Regina Vittoria ^_^

In italiano consiglio inoltre questo sito su come imbandire la tavola, però non ha molto a che fare con il tempo vittoriano, è solo una rassegna delle norme fondamentali, molte delle quali arrivano proprio da quel periodo, ma non sono stat in grado di trovarvi specifici riferimenti
Apparecchiare la tavola

A presto, baci!


Mauser



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