29 marzo 2011

Jane Eyre in Beijing

Già che siamo in tema di Jane Eyre, visto che di recente abbiamo parlato dell'adattamento di Fukunaga in uscita nelle sale da metà marzo, ho deciso di continuiare a sfruttare la nostra Jane e di proporvi, questa volta, un adattamento certamente insolito, ma non per questo scadente.

La nostra istitutrice della brughiera, infatti, nel 2009 ha lasciato le nebbiose lande inglesi e si è trasferita momentaneamente a Beijing per un adattamento teatrale messo in scena al Beijing's National Center for the Performing Arts, d'ora in avanti NCPA.

Nota: per i pochi che dopo le Olimpiadi del 2008 ancora lo ignorassero, Beijing è la capitale della Repubblica Socialista Cinese, città a noi nota anche con il nome occidentalizzato di Pechino.

Per accompagnare adeguatamente il clima del post e la suggestiva ambientazione, ho preparato una playlist di musica cinese, di cui un brano tradizionale e due C-pop provenienti entrambi dalle Olimpiadi che dovrebbe essere in esecuzione in questo momento.


Scheda tecnica
Produzione: National Centre for the Performing Arts, Pechino
Direttore: Wang Xiaoying
Sceneggiatore: Yu Rongjun
Attori principali:

Siete sorpresi di ritrovare l'amata maestrina così distante dalle mura centenarie di casa Rochester? Io personalmente sono rimasta un tantino sconcertata, non tanto per Jane, che è un'opera internazione e conosciuta in ogni angolo del globo, ma soprattutto perchè il teatro orientale vanta splendide rappresentazioni, storie e drammoni al cui confronto i film wuxiapian (La tigre e il dragone, La foresta dei pugnali volanti, La città proibita, I tre regni, Hero) sono favolette da raccontare ai monelli.

Sia in Cina che in Giappone, infatti, la tradizione teatrale, oltre ad essere molto diversificata per genere e per ruolo, era un tassello fondamentale dell'esistenza degli esseri umani che si ponevano come obiettivo di assistere ad almeno una rappresentazione ufficiale e importante nella vita.
Il teatro è preso molto seriamente in Oriente, ancora oggi è così a differenza di quanto accaduto da noi, dove ormai chi va a teatro viene automaticamente classificato nella categoria dei matusalemme, in barba al fatto che può andare a vedere un'opera, un balletto, una rappresentazione di prosa, un concerto musicale, una rassegna poetica, musical e quant'altro.
Se il teato Kabuki e il teatro No giapponese sono comunque rinomati in tutto il mondo, anche l'Opera di Pechino vanta una tradizione invidiabilissima, molto antica e molto conosciuta, per questo sono rimasta tanto stupita che la Cina così conservatrice in materia teatrale, fedele alle storie della tradizione taoista e confuciana, si sia aperta ad una rappresentazione tanto occidentale quanto può esserlo Jane Eyre.

È anche da dire che, a dispetto della sua totale caratterizzazione occidentale, Jane è molto conosciuta in Cina, dove la sua interpretazione del 1970 con George Scott e Susannah York è osannata come un autentico capolavoro della storia del cinema.
Insomma, si può dire che, anche nell'anticonformismo, i produttori del NCPA abbiano comunque voluto puntare su qualcosa di sicuro e non buttarsi proprio allo sbaraglio con un'opera di quelle contemporanee che poi non apprezza nessuno.

Jane Eyre risulta comunque il primo tentativo nel teatro cinese NCPA di un adattamento letterario tipicamente occidentale.
Un traguardo invidiabile per la nostra maestrina che per approdare al NCPA di strada ne ha fatta tanta, ma è ammirevole constatare quanto i produttori non abbiano minimamente variato la vicenda per adattarla alle proprie preferenze stilistiche o scenografiche dal gusto molto orientale, gli unici cambiamenti in tal senso sono stati per la teatralità dell'opera, che doveva essere resa idonea per una sua trasposizione sul palco, enfatizzando quindi la minimale gestualità dei personaggi, Jane e Rochester infatti, per stessa caratteristica stessa della cultura anglosassone sono abbastanza trattenuti nelle loro manifestazioni di affetto e ancora di più vista l'epoca in cui romanzo e autrice anno vissuto; ma questo processo di teatralizzazione della sceneggiatura è un passo imprescindibile della trasposizione di un romanzo, specialmente di uno un po' datato, in un'opera per il palcoscenico: questo passaggio una volta era fatto anche per il cinema, ma con lo scadere sempre più profondo delle capacità recitative degli attori contemporanei rispetto ai loro predecessori, si è andato perduto ormai da più di un ventennio, con Liz Taylor è morta anche l'ultima grande diva, chi ci rimane ormai?


Critica, affluenza e commenti
Tre quotidiani tra i più importanti della capitale cinese hanno recensito la messa in scena del Jane Eyre di Beijing, in paticolare il Beijing Daily Messenger, il The Beijing News e SINA.com, un sito di critica.

Tutti e tre si sono espressi in termini entusiastici e lo spettacolo ha riscosso moltissimo successo anche nel pubblico con più di 10.000 visitatori allo spettacolo, registrando il tutto esaurito per le 10 serate in programma nel giugno 2009 ed è stato addirittura replicato per una seconda stagione teatrale l'anno successivo e, non ci è dato sapere, forse lo sarà per una terza nel presente 2011.

Una caratteristica importante è che nessun cliente del teatro ha richiesto il rimborso del biglietto una volta terminato lo spettacolo, è un fatto importante in quanto nessuno si è pubblicamente risentito né del soggetto scelto né della recitazione, giudicando quindi lo spettacolo più che passabile.

Se la trasposizione teatrale, è stato detto, rende perfettamente sentimenti e stati d'animo, un po', ne è sacrificata la scenografia.
Quasi tutti gli sceneggiati televisivi e i film riguardanti Jane Eyre, infatti, hanno sempre puntato moltissimo sulla fotografia e l'ambientazione e sul suggestivo scenario naturale che la brughiera inglese offre. A teatro è un po' difficile ricreare la brughiera o una casa semi abbandonata come poteva essere Thornfield Hall all'arrivo dell'istitutrice, è stato quindi deciso dalla produzione un allestimento minimale con pochi colori e sui toni del grigi, del marrone e del nero per rappresentare la cupezza dell'ambientazione, senza cercare di emulare la grandezza della natura che invece aveva fatto grandi i lungometraggi del passato.

Ottima invece è la ricostruzione dell'abbigliamento, che denota un grande lavoro e un impegno fuori dal comune dei costumisti teatrali, che evidentemente hanno studiato bene le informazioni in loro possesso, evitando grossolani errori di stile come è accaduto in altre trasposizioni storiche, ad esempio Orgoglio e Pregiudizio 2006 che ha avuto dei picchi di caduta non indifferenti in certi punti.
Non solo accurata, ma delicatamente decadente è stata la scelta di fondo della realizzazione dei vestiti, che non denotano ricchezza e opulenza come difficilmente Jane avrebbe potuto permettersi, ma la miserevole povertà di una ragazzina cresciuta in orfanotrofio e di professione misera istitutrice in una sperduta casa nella brughiera dimenticata. Insomma, costumi che siano anche uno specchio dell'anima dei protagonisti e non una mera esaltazione di bravura.


Attori e attrici
Sebbene lo scetticismo fosse inizialmente alto per la capacità di attori provenienti principalmente dalla televisione, alla fine ciascuno ha recitato splendidamente la propria parte e le polemiche che aveano accompagnato la realizzazione e in particolare la scelta dell'attrice Chen Shu per il ruolo di Jane sono state accantonate in favore dell'ammirazione suscitata dalla suddetta attrice nel difficile ruolo che l'ha fatta salire al livello di grandi star internazionali cinesi come Gong Li, già protagonista di Lanterne rosse e La città proibita e personaggio importante nel film Memorie di una geisha.
Ma Chen Shu, molti hanno dimenticato, esordì sul pascoscenico 12 anni fa proprio nello spettacolo di un'altra governante a noi molto nota, Maria von Trapp nel famosissimo Tutti insieme appassionatamente dove interpretava la figlia maggiore.

Chen Shu, come molte adolescenti sue compatriote, ha studiato Jane Eyre durante le scuole medie [in Italia ce lo sognamo di studiare Jane alle medie...] e dice di essersi immedesimata molissimo nel modo di Jane di conservare silenziosamente il proprio dolore e le proprie sofferenze, ma allo stesso tempo ammette di essere rimasta affascinata dalla forza interiore di questa donna che ha saputo ribellarsi alle convenzioni e avere il coraggio di lasciare un uomo ricco e potente che era già sposato. Jane, che non accetta di essere la ruota di scorta di nessuno, ha quindi proclamato la sua volontà in maniera chiara e decisa, ha dimostrato di sapersi mantenere e vivere la sua vita e di bramare i sentimenti più che i soldi.


Se su Chen Shu si erano avuti dei dubbi, non altrettanto è accaduto per l'attore maschile, Wang Luoyong che aveva già recitato spesso a teatro e in particolare nei musical di Broadway, diventando uno degli attori preferiti per la messa in scena dello spettacolo Miss Saigon, rivisitazione in chiave musical della famosa opera pucciniana Madama Butterfly.

Insieme questi due attori sono riusciti a ricostruire una delle coppie più conosciute, amate e tormentate dell'intera letteratura, riportando i dubbi e le difficoltà che hanno accompagnato la loro esistenza, separati e insieme, fino all'amaro lieto fine che conclude la vicenda.
In particolare i duetti sono stati molto toccanti e spontanei, scrivono i quotidiani e confermano gli spettatori, e nelle scene singole entrambi hanno saputo replicare lo struggimento che invade i cuori di Jane e del suo amato Rochester.


Ci tenevo a riportare la notizia del lungo viaggio di Jane dall'Inghilterra vittoriana alla Cina socialista moderna, per tratteggiare la vita che spero sia ancora lunga e famosa di quest'opera che tutte noi amiamo, chi più chi meno.
A mio avvio Jane Eyre rappresenta appieno quel clima di cambiamento che fu l'epoca vittoriana con le sue contraddizioni, con il suo filo che la lega al passato, ma allo stesso tempo con il bisogno di crescita e conoscenza che la spinse inesorabilmente verso un futuro di cui noi siamo parte.
Non solo, ma volevo un attimo confrontare anche la recente opera cinematografica con una un po' meno conosciuta, ma che non ha certo nulla da invidiarle. Se il film di Fukunaga, a giudicare dai trailer che ho visto, punta molto su suspence e fotografia ad effetto, la versione cinese si concentra invece su sentimenti e recitazione, caratteristiche che nel cinema e nel teatro cinese non sono ancora scomparse del tutto come accaduto invece in Occidente.
Io penso che questa Jane Eyre in Beijing non abbia niente di meno delle sue consorelle europee e mi auguro che presto il dvd con le riprese dello spettacolo venga commercializzato anche su Amazon.come, dove sono sintonizzata da un po' alla sua ricerca, specialmente per via delle entusiastiche recensione che i frigidi quotidiani ne hanno fatto.


Spero che l'approfondimento sia stato interessante,
Baci a tutti!





Mauser






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25 marzo 2011

Ernest William Haslehust

La finestra di Anna Bolena sul cortile
Abbandono solo temporaneamente la casa vittoriana per dedicare qualche tempo alla rubrica VIP, troppo spesso dimenticata.
Il post sull stanze è attualmente in lavorazione, con i suoi tempi tecnici (è una faticaccia pazzesca!) così ne approfitto per pubblicare qualche chicca che avevo già pronta, un po' come i surgelati, li si congela in freezer e al momento opportuno li si tira fuori e in cinque minuti sono pronti.

Bene, trascurando i paragoni culinari del tutto fuori luogo, oggi vorrei parlarvi di un artista vittoriano a mio avviso molto bravo, un paesaggista e acquarellista di tutto rispetto di nome Ernest William Haslehust.
Ecco un altro poverino che, come i volontari del canile, mi sono ripromessa di salvare dal dimenticatoio dove oramai è finito da un pezzo, eppure ritengo che i suoi lavori siano pregevolissimi e, a giudicare dalla sua fama in vita, dovevano pensarlo anche i suoi contemporanei, visto che espose diverse volte anche per la Royal Academy.

Mol's Cofee House
La caffetteria di Mol
La sua storia inizia nel 1866 da William Henry Haslehust a Walthamstow, a quel tempo facente parte della contea dell'Essex, contea che è sparita dopo essere stata inglobata nella Grande Londra nel 1965. Attualmente fa parte dei 32 borough della capitale britannica.

A quanto si sa di lui, perché quasi tutte le informazioni sono appena abbozzate o sparite o scritte in lingue non precisamente comprensibili, Ernest dimostrò fin da ragazzo un poliedrico interesse sia per l'arte che per la scienza, tanto che nella sua vastissia produzione si notano, oltre a splendidi paesaggi e riproduzioni agresti anche molti schizzi di macchinari meccanici e dotazioni scientifiche e per tutta la vita fece parte di un grandissimo numero di associazioni sia a carattere artistico che di ricerca scientifica.

La sua educazione artistica passò attraverso la Slade School of Fine Arts in Londra, dove studiò con profitto sotto Alphonse Legros, noto pittore e scultore.

Old Hall al Corpus Christi College
I successivi dati sulla sua vita sono abbastanza confusi, ma fin da subito venne riconosciuto in lui un grandissimo talento artistico come paesaggista e divenne maestro nell'arte dell'acquerello con cui fu particolarmente famoso ed illustrò guide turistiche e delle città.

Come già detto, il suo nome è citato in moltissimo accademie e società artistiche, principalmente perché la sua era arte abbastanza commerciale, quindi si vendeva facilmente, e non creava scandalo nei benpensanti, trattandosi di innocui paesaggi raramente popolati da creature umane, ecco quindi che, a differenza di altri, venne accettato senza problemi.
Tra le molte società bisogna indubbiamente citare il Royal Institure of Painters in Water Colour, la Royal Society of British Artists e anche la Royal West of English Academy.

I suoi splendidi acquerelli, molto delicati e fedelissimi alla realtà apparvero innumerevoli volte presso mostre della Royal Academy.

Il ponte del paese
Contagiato dalla modernizzazione dell'arte e dal suo impiego nella pubblicità e nella propaganda, Haslehust disegnò diversi manifesti per le ferrovie inglesi e partecipò all'Illustrated London News.

Questa sua propensione alla pubblicità è insolita in un artista tanto affezionato ad una tecnica, quella dell'acquarello, a cui neanche i puristi dell'arte trovano da obiettare.
Vero è che il mondo stava cambiando e non si avevano più rampolli aristocratici terrorizzati dall'idea di invecchiare (cfr. Il ritratto di Dorian Gray) che si facevano ritrarre in continuazione quasi come esorcismo contro il naturale decorso.
Non vi erano neppure borghesi che dovevano mostrare tutta la loro ricchezza e magnificenza, in quanto la fotografia era ormai diventata abbastanza quotidiana da poter essere accessibile e, soprattutto, permetteva una ripoduzione fedelissima. Tantopiù che i borghesi arricchiti e i ritratti non erano mai andati d'accordo, la maggior parte di loro li considerava un ornamento della casa di dubbio gusto e, quando dovevano averne per ostentare una qualche radice della famiglia, fingendo di non essere emersi direttamente dalla fogna di Londra, allora acquistavano gli alteri dipinti dei nobili decaduti, costretti a vendere dai debiti.
La cupola della chiesa papista.
Da notare il nome dispregiativo con cui
gli anglicani chiamano i cattolici, papista
è un'eredità lasciata dal periodo Puritano.
Ecco quindi che un artista doveva riciclarsi in qualche modo ed aver puntato sulla pubblicità è stata una mossa vincente, soprattutto perchè gli ha conferito la possibilità di viaggiare per il paese ritraendo paesaggi e facendo, è il caso di dirlo, quello che gli piaceva.
All'epoca la pubblicità era diversa, si ritraevano scenari pittoreschi per le guide Michelin del tempo, non certo pubblicità del dentifricio o, quelle che odio più di tutte, dei deodoranti per il bagno!

Molto famosa specialmente nel Regno Unito è la serie di acquerelli di Haslehust raccolti in 36 volumi che ritraggono le bellezze della nazione e s'intitolano Beautiful England.

La sua scomparsa avvenne nel 1949 all'età di 82 anni.


Spero che questo bravissimo acquarellista, antenato dei moderni pittori di stampo romantico come Thomas Kinkade, vi sia piaciuto e spero che qualcuno dalle alte sfere dell'arte e della letteratura con il passaparola desideri conoscerlo e sponsorizzarlo a sufficienza per ridargli un po' della notorietà che col tempo è inevitabilmente scemata fino a rendere il suo nome quello di un emerito sconosciuto.

Baci a tutti





Mauser

19 marzo 2011

Stili architettonici delle case vittoriane

Carissimi, mentre cercavo qualche altro approfondimento sull'arredamento delle stanze del primo piano mi sono imbattuta in un'interessante digressione circa gli stili architettonici più diffusi durante l'epoca vittoriana.

Come già detto in precedenza, la linea di demarcazione tra l'uno e l'altro e tra vittorianesimo e non è piuttosto labile, ma se una determinata quantità di caratteristiche possono essere ritrovate nell'architettura di una abitazione, allora la consuetudine prevede che questa sia assegnata ad una categoria piuttosto che ad un'altra.
Vediamo quali erano gli stili più in voga durante il lunghissimo regno della Regina Vittoria, in alcuni casi ho preferito mantenere il nome originario, anche perché alcune traduzioni credo non avrebbero reso a sufficienza il sentimento che quell stile voleva esprimere.
Archetipo della casa neogotica
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Revival gotico o neogotico
C'è ben poco da dire sulle ispirazioni di questo stile.
sua fonte primaria è sicuramente lo stile gotico medievaleggiante che piaceva tanto nei primi anni di regno della grande Regina, costituto da torrette, tetti a guglia, finestre a sesto acuto e intricate decorazioni alle ringhiere e agli infissi.

Il neogotico era senz'altro una corrente nata sulla crescita economica dei paesi, in quanto la lavorazione del legno e dei materiali per la costruzione delle dimore in questo stile era particolarmente costosa. Inizialmente, infatti, prima del periodo vittoriano e dell'avvento dell'industria e della produzione in serie, le abitazioni erano costruite con materiali facilmente reperibili in zona e priva di decorazioni che avrebbero notevolmente aumentato la cifra da sborsare.

Fisherman Bastion, Budapest
Costruzione in stile neogotico
La Seconda Rivoluzione Industriale cambiò radicalmente le carte in tavola, in quanto con la ridistribuzione della ricchezza anche alla borghesia, questa iniziò a costruire abitazioni secondo il proprio gusto, ma comunque in grado di trasmettere la loro ricchezza. Il gothic revival è il primo stile ad apparire in questo senso, influenzato dall'amore per il Medioevo che era da poco fiorito con la riqualificazione di quell'epoca storica a "Periodo di grandi cambiamenti e innovazioni" al posto dell'etichetta di "Secoli bui" in cui era stato relegato fino ad allora.

Le parole chiavi sono: ricchezza, abbondanza e ostentazione.

Esempi famosi: Tower Bridge, Strawberry Hill


Italianate o neo rinascimentale
Nome insolito per definire lo stile archiettonico che acquistò grande popolarità intorno al 1840.
Cliveden, Buckinghamshire, Inghilterra,
estate in stile neorinascimentale o italianate

Gli esperti di architettura sostengono che questo stile sia stato importantissimo nella riorganizzazione dell'architettura avvenuta nell'Ottocento in quanto le facciate delle dimore private iniziano a sovvertire i canoni di classicità, severità e ordine imposti da Christopher Wren nel XV secolo.
Facciate e decorazioni cominciano la loro virata dal maestoso verso il romantico, con un chiaro riferimento ed ispirazione allo stile rinascimentale italiano, non a caso, accostando alcuni esempi di italianate alle dimore cinquecentesche toscane, è facile cogliere una somiglianza non indifferente, il tutto nell'ottica di ispirazione che caratterizzò l'intero XIX secolo [che pare aver prodotto poco di suo e copiato tanto di altri ;-) ].

Decorazioni a soffitto in stile italianate
alla
Casa del Governatore, Melbourne, Australia

Caratteristiche architettoniche inconfondibili di questo stile sono le finestre di foggia rettangolare con la parte superiore bombata in modo da dare l'effetto arrotondato; altrettanto importante era la torretta quadrangolare, rintracciabile sia sopra il tetto vero e proprio, che nella versione con base a terra. La torretta di questo tipo, che spesso era occupata da studioli o salottini, era ispirata senza fallo agli stili rinascimentali italiani, di cui un esempio importante è la Torre del Mangia della città di Siena, ma che si vedono anche in alcune ville e casolari della campagna toscana che è divenuta poi tanto cara ai registi americani.
Significativo era il contorno finestre ed infissi fatto in blocchi di pietra mentre il resto della facciata risultava intonacata.

Villino in stile italianate
in
Connecticut, USA
A differenza del neogotico visto prima, l'italianate era uno stile medio in quanto permetteva buoni effetti scenografici senza l'impiego di materiali e lavorazioni costose. Non solo, questo stile si caratterizzerà via via per la sua produzione massiva in quanto i materiali, ma soprattutto le decorazioni, iniziarono dalla metà dell'Ottocento ad essere prodotte in maniera massiva e preconfezionata per adattarsi alle esigenze del cliente, ma allo stesso tempo mantenere una spesa contenuta.

Il declino di questo stile avverrà intorno al 1870, quando altre forme decorative si affacciarono prepotentemente nel panorama artistico; mantenne comunque un alto numero di fedelissimi, specialmente nel Midwest degli stati uniti, dove la casa vittoriana divenne un materiale da esportazione molto richiesto.

Parole chiavi: scenografico, produzione in serie, anche per budget limitati

Esempi famosi: Dresden Semper Opera House

Archetipo della casa in stile neorinascimentale
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Jacobethan
Nome insolito per uno stile insolito. Il Jacobethan è infatti un'accozzaglia di caratteri provenienti da stili diversi e sapientemente mescolati fino ad ottenere una sagoma piacevole ed esteticamente gradevole.
Minnie Storz Higgins Residence
in stile
Jacobethan
Non nacque con questo nome, che gli venne imposto solo nel 1933, ma è indubbiamente significativo per risalire alle sue origini: il Jacobethan, infatti, coniuga nella sua architettura elementi provenienti dal revival rinascimentale di cui abbiamo visto prima, con caratteristiche tipiche dell'epoca Tudor, definita elisabettiana, in più acquisisce anche dallo stile giacobino.
È proprio unendo i termini giacobino (jacobean) ed elisabettiano (elizabethan) che si ottiene il nome con cui è oggi conosciuto e che nel corso del tempo è stato applicato anche al di fuori dell'architettura, per esempio in campo letterario sul personaggio di William Shakespeare in quanto appartenente sia all'epoca elisabettiana che a quella giacobina avendo egli prodotto scritti anche dopo la sovrava Elisabetta I.

Brandies-Millard House in stile
Jacobethan
L'architettura di questo stile è opulenta di caratteristiche tra le più diverse fra loro: negli esempi più famosi, come Harlaxton Manor le varie correnti convivono egregiamente, in altri casi, purtroppo, si rasenta il ridicolo. Piacciono i contrasti di colore, ad esempio tra il bianco e il marrone scuro, un'usanza tipica dello stile Tudor, oppure mattoni rossi a vista con cornici e infissi bianchissimi, bow windows sporgenti dotati di molte vetrate, tetti doppi a capanna e abbaini che si affacciano dalla mansarda.
Ufficialmente viene considerato l'antenato più prossimo dello stile Regina Anna.

Parole chiavi: come si direbbe per un vestito a fantasia stampata con aragoste, difficile da portare con grazia ed eleganza.

Esempi famosi: Harlaxton Manor


Romanesque Revival o neo romanico
Chiesa di St. William
presso Price Hill
in stile
neoromanico
Come detto in precedenta, in campo architettonio i victorians non si sforzarono molto di produrre qualcosa di nuovo, ma si limitarono a rielaborare quanto già creato in passato.
Dopo un periodo di revival del gotico, del rinascimentale, e, per un breve lasso di tempo anche della grcità dorica, ecco che si sono dati al romanico.

Liberamente ispirato all'architettura del XI e XII secolo, il neo romanico seguì gli stessi sviluppi dei suoi predecessori Neo [non quello di Matrix!]: scoperta, amore, declino, il tutto in un tempo assai breve.
L'ispirazione a questo stile si suppone sia stata data come spinta per un ritorno alle forme massicce e ben piazzate del georgiano e degli stili alla Christopher Wren che erano stati sovvertiti dal neogotico e dal neorinascimentale.
Archetipo della casa in stile
neoromanico

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Grande ritorno degli archi a tutto sesto tipici dell'architettura del primo Medioevo, forme massicce e decorazioni minime, sagome principalmente spigolose piuttosto che arrotondate e smussate.

Fu molto popolare in Germania e Canada, ma in Inghilterra ottenne solo tiepidi consensi e venne relegato ad architettura per chiese.

Parole chiavi: impegnativo, severo, imponente

Esempi famosi: Univerità di Toronto


Davenport House, casa in
stile Secondo Impero
Secondo Impero
Considerando che l'Inghilterra diverrà ufficialmente un impero solo nel 1867, non stiamo parlando di uno stile made in UK. No, l'Impero in questione è quello francese e lo stile il più chic della Parigi bene della metà del secolo XIX, sponsorizzato da Napoleone III, quello degli accordi alle terme di Plombiers con Cavour e la Contessa di Castiglione, per intenderci.

Lo stile Secondo Impero presenta elmenti innovativi nell'architettura, sebbene in larga misura attinga anch'esso al neogotico e al neorinascimentale, nello specifico con il preciso scopo di essere imponente, eccessivo, opulento e magnificamente pesante.
Guardare uno stile Secondo Impero è un po' come vedere il baldacchino di San Pietro: per carità, splendido, ma eccessivo al punto da essere opprimente.

Questo stile è un tripudio di archi, colonnati e decori.
Archetipo della casa in stile Secondo Impero
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Per uso abitativo la struttura della casa era costituita da un corpo centrale, generalmente turrito, e da due ali gemelle laterali; il tetto era mansardato e abitabile e si riconoscono esempi di bow window o bovindi [odio questa parola] e di abbaini, le classiche finestrelle sporgenti dai tetti.

Lo stile Secondo Impero è sicuramente quello che più siamo abituati a riconoscere negli sceneggiati televisivi e nei romanzi ambientati in città, questo perchè, a dispetto delle decorazioni, era comunque uno stile compatto e rendeva egregiamente anche in poco spazio, inoltre permetteva di sfruttare quasi la totalità del volume della mansarda, cosa non fattibile con stili che prevedevano il tetto a capanna in quanto le aree più ribassate non erano abitabili.

Parole chiavi: speculare, ordinato, eccessivamente decorato

Esempi famosi: Palazzo dell'Eliseo, Opera Parigi, Windsor Hotel di Melbourne

City Hall di Providence, stile Secondo Impero


Regina Anna
Uno stile che fu molto importante per l'architettura delle case vittoriane fu il Queen Anne, in voga dal 1870 in poi.
David Syme House in Sycamore, Illinois,
costruita nel 1880 in stile
Regina Anna
A dispetto dei precedenti questo stile prevedeva che la costruzione della casa fosse in pietra o mattoni e solo decorazioni e pannellature in legno. Che c'è di strano?
C'è che nel mondo anglosassone le case erano costruite quasi esclusivamente in legno, negli Stati Uniti, in particolare, questa caratteristicha è valida ancora oggi e non di rado si possono riconoscere imponenti ville sulla cresta delle colline della Florida fatte interamente di legno e, immancabilmente, distrutte dal primo tifone di passaggio.

Archetipo della casa in stile
Regina Anna
- Click per lo zoom -
Sebbene la costruzione in pietra o mattone potesse risultare severa, i victorian svilupparono un'ampia rosa di decorazioni per ingentilire maggiormente l'aspetto, tra queste vi erano intarsi in legno oppure rampicanti naturali alle pareti, trucchetto già adoperato in passato con lo stile dei castelli Tudor (1500) per smorzare un po' l'impatto di quelle pareti imponenti e monocromatiche.

Non di rado lo stile Regina Anna acquistò una caratterizzazione di eccesso, con case votate all'esagerazione, ricche di vetrate e finestre, torri, torrette, portici spesso su più livelli, tetti decorati, creste, merlature, decorazioni a sbalzo o in pietra, elaborate balaustre e ringhiere spettacolari. Anche gli interni propri di questo stile erano su questo stile, non a caso i caminetti che vengono classificati in questa categoria artistico-architettonica sono capolvori di imponente magnificenza.

Parole chiavi: decorazioni, eccesso, opulenza


Yates House, casa in stile
Stick Eastlake
Stick Eastlake
Ho un po' di dubbi su come si potrebbe tradurre il nome di questo stile per rendere meglio l'idea, ma le mie manchevolezze linguistiche in questo caso mi intralciano parecchio e il traduttore automatico non è in grado di salvarmi.
Tragedia! Come griderebbe Olive Penderghast del film Easy Girl.

Divagazioni a parte, lo Stick Eastlake è uno stile architettonico che si sviluppò nel periodo tra il 1860 e il 1890, esso ha le sue radici nello stile architettonico americano definito Stick, e nel movimento del Regina Anna chiamato Eastlake, che deve il nome al fondatore del suddetto movimento, nonchè architetto e designer d'interno [anche se all'epoca non si chiamava così], Charles Eastlake.

Il processo di identificazione dello Stick Eastlake è complesso, in quanto acquisisce caratteristiche di molti altri stili, sia per la sua formazione piuttosto tardiva (1860) che per il principio stesso dello stile di migliorare i precedenti per ottenere un risultato che non sembrasse ridicolo, caratteristica che purtroppo si nota in alcuni esempi di italianate decisamente troppo kitch.
Roberts House in autunno,
villino in stile
Stick Eastlake
Rispetto al neogotico e al Regina Anna, lo Stick Eastlake ha un'introduzione significativa, o meglio, una manchevolezza: in quanto è dogma spirituale dello stile Stick americano, il suddetto non ha torri, torrette e guglie inutili, ma una forma compatta e lineare nei contorni; di conseguenza, essendo lo Stick Eastlake figlio dello Stick, ne riprende questo pensiero.

Casetta in stile Stick Eastlake
eseguita a punto croce
Non solo dal Queen Anne trae ispirazione, ma lo Stick Eastlake viene spesso definito come un'evoluzione del gotich revival: alla casa neogotica toglie, oltre a torrette d'avvistamento piuttosto inutili, anche quell'aria tetra e maligna da "casa delle streghe" [come la villetta di Sabrina vita da strega] e ne conferisce una più dignitosa e signorile, mantenendo però la leggiadria della forma e la semplicità dell'impatto d'insieme, entrambe mancanti a stili come l'italianate oppure il Queen Anne che, invece, erano piuttosto imponenti e massicci, ben piantati.

Una caratteristica importante è la presenza di giganteschi portici prospicenti all'abitazione, spesso su più livelli e decorati con ringhiere in legno e intagli che snelliscano l'aria massiccia del colonnato di supporto.

Parole chiavi: signorile, dignitoso e dalle linee semplici ed eleganti.

[Nota: personalmente è quello che preferisco, anche se ho sempre sognato di avere uno studio in una casa con torretta, ma mi accontento di uno studio con terrazzo ^_^]


Spero che l'approfondimento sia stato interessante, se voleste dedicarvi agli approfondimenti ecco qualche link

Per le appassionate di punto croce qui troverete un sacco di cataloghi e basi per la realizzazione di splendidi quadretti ricamati aventi come soggetto le varie tipologie di case vittoriane. A mio avviso è un'idea deliziosamente adorabile!
Stitcher's Paradise - Victorian Houses from across America

Libri (sono tutti ordinabili su Amazon)
Linda Osband, Victorian House Style Handbook
A. J. Bicknell & Co., Victorian Wooden and Brick Houses with Details
A. J. Bicknell & Co., 100 Victorian Architectural Designs for Houses and Other Buildings (consigliato)
Randolph Delehanty, In the Victorian style
E. K. Rossiter, F. A. Wright, Authentic Color Schemes for Victorian Houses
Janet W. Foster, The Queen Anne house
Daniel Lewis, Kristin Helberg, The Victorian House Coloring Book (per i più piccini)
Geo E. Woodward, Victorian City and Country Houses
Trevor Yorke, The Victorian House Explained


baci a tutti e a presto!




Mauser

17 marzo 2011

Viva l'Italia, Unita

Credo che festeggiare l'Unità d'Italia sia importante e non solo perchè sono una storica (autodidatta) e per me gli eventi storici hanno molta rilevanza, ma anche questa è una data importante, un fatto significativo per tutti, per noi italiani che in Italia ci abitiamo e per il mondo intero.
Perchè se non ci fosse stata, probabilmente la storia non sarebbe stata uguale e non è detto che sarebbe stata migliore.

Nel bene e nel male, dato che le cose non si possono cambiare, ringraziamo per tutto quello che ci è stato dato con questa unità, per la possibilità di dire a voce alta, ovunque nel mondo:
«Vengo dallo stesso Paese di Dante, Petrarca, Leonardo, Michelangelo, Carducci, Luisa Sanfelice, Balilla, Joe Petrosino, Falcone e Borsellino, Sacco e Vanzetti, di Benedetto Croce e di Eleonora Duse, di Maltide di Canossa e di Goffredo di Buglione. Di Giulio Cesare»

Perchè in Italia sono nate tante, troppe cose che ci dimentichiamo, è fiorita l'arte, l'architettura, la pittura, abbiamo avuto grandi nomi come Giotto e Raffaello, narratori eccellenti come Manzoni e Vasari, i migliori saggisti politici, Beccaria è uno su tutti.
L'Italia si sminusce a causa di scandali e scandaletti da rotocalco e troppo spesso finisce per dimenticare ciò che davvero la fa grande: le doti e i grandi personaggi che sul questo suolo vedono e hanno visto la luce.
Non siamo superficiali né fannulloni come, a causa del gossip, ci dipingono all'estero, non siamo un paese di latin lover né di pezzi di marmo, siamo uomini e donne e dovremmo essere felici esserlo. Dobbiamo essere orgogliosi di chiamarci italiani e se non lo siamo, allora è anche un po' colpa nostra, che non abbiamo fatto e non facciamo abbastanza perchè il nostro Paese sia un luogo di cui vantarsi, da ricordare con trasporto, senza rammarichi e senza vergogna.
E non venitemi a dire che intanto tutti sostengono che gli italiani sono un branco di lavativi, non credo che abbiano inventato in Italia il tessuto denim del blue-jeans solo per fare la moda, nossignore, l'hanno inventato perchè resistesse egregiamente sotto lo sforzo e sotto l'usura tipica di chi al lavoro ci si consuma non solo gli occhi, ma le mani, la schiena, le ginocchia.

E il brutto che la Storia inevitabilmente porta con sè non deve essere un freno, ma una spinta perchè l'orgoglio nazionale riemerga dalla cenere come l'araba fenice. Abbiamo costruito palazzi per i re più esigenti d'Europa, in Russia non volevano che noi, Rossini non era architetto, ma musicista, eppure lo conoscono anche in Nuova Zelanda. Solo noi non sappiamo più chi sia lui o chi sia stata Regina Strinasacchi, Respighi, Verdi, Vivaldi.

Spero che la circostanza del 150° anniversario dell'Unità d'Italia sia davvero un'occasione per ricordarli tutti e non solo "i più famosi". Ci sono persone che meritano di tornare ai fasti della gloria e l'Italia deve davvero tornare ad essere un Paese dove il merito va al di là della moneta, perchè non c'è merce di scambio più valida e perchè, alla fine, col denaro non si comprano che cose materiali, ma non l'affetto sincero né la Fede.

Benigni che declama l'inno d'Italia è stato meraviglioso, l'ho amato dall'inizio alla fine e quando ha concluso posso dire con orgoglio di essermi ritrovata in piedi e con la lacrimuccia che seguivo rapita la sua performance che è stata molto più di uno show da televisione.
E a coloro i quali lo criticano per i riferimenti politici un po' troppo aperti, vorrei chiedere davvero quanti dei personaggi storici citati con la più assoluta naturalezza conoscono. Non penso di poter trovare molti tra i politici italiani che sanno chi fu Francesco Ferrucci, Nino Bixio (che non si pronuncia X, ma Bigio! Era genovese il ragazzo, suvvia un po' di coerenza linguistica!), ecc.
L'Italia è stata grande, grandissima e grandiosa, solo quando ha scelto di vendersi e quando ha smesso di lottare è diventata una schitta insignificante come adesso.

Non potrà mai essere la politica a salvare la nostra Italia, ma potrebbero essere gli italiani che sono tosti, tostissimi, che sono bravi e lavorano sodo, che la fatica non li spaventa, che amano godersi il bello della vita e se ne fregano di quel che si dice di loro. Tutta invidia.
Siamo tutti diversi e questo è un bene, non ci sono razze, umani lo siamo tutti, eppure a modo nostro siamo speciali e non dobbiamo dimenticarlo, ma ricordarlo con orgoglio mentre costuiamo su quel passato, su questo presente, il nostro futuro.


Fratelli d'Italia,
l'Italia s'è desta?


Qualche canzone della nostra storia che meritano un tributo, ho scelto le esecuzioni che a mio avviso esprimono più trasporto e anche se non sono tutte precisamente patriottiche, molte sono parte del nostro Paese, oppure hanno un significato particolre.

15 marzo 2011

La casa vittoriana - piano terreno

Come promesso non mi sono dimenticata dell'argomento che avevamo incominciato con il primo post dedicato alla casa vittoriana: struttura e architettura dell'abitazione.
Esaurita la prima infarinatura circa l'aspetto esterno, oltrepassiamo adesso il cancello per inoltrarci nel vivo della dimora, nel cuore della casa, andando a studiare un pochino più approfonditamente mobilio e camere in cui ci si poteva imbattere.

Come già ripetuto in passato, non è possibile tracciare una linea netta di demarcazione su tutte le caratteristiche che compaiono nell'ideale "casa vittoriana", questo perché molti stili e mole forme d'arte si sono susseguite durante il lungo regno della Regina Vittoria, ecco quindi che se la forma esterna poteva anche essere facilmente identificabile, non era infrequente trovare all'interno mobili e caratteristiche estetiche proprie di vari stili: Regina Anna, Italiano, Secondo Impero, Neogotico, non si finisce più.


La veranda
La prima stanza, se così la si può definire, dove ci ritroviamo, è la veranda. La veranda è presente solo nelle case vittoriane indipendenti, quelle più prestigiose con a disposizione un piccolo prato, il classico "modello americano" con giardino, per dire, non la ritroveremo certo in piena città, dove la fame di spazio avrebbe sicuramente vietato questo spreco di metri.
La veranda era una zona prospicente alla casa, rialzata sopra il livello del terreno dal basamento di cui abbiamo detto in precedenza e facilmente raggiungibile tramite alcuni gradini; era ombreggiata da una tettoia che si collegava direttamente alle pareti dei piani superiori e poteva essere contornata da una ringhiera metallica o in legno, dal caratteristico stile a colonne semplici.

La veranda era chiamata in molti modi a seconda se si voleva rendere l'idea più signorile o più pratica, ecco quindi che la si ritrova anche con il nome di portico, sebbene sia un po' pretenzioso, terrazzo, anche se la dicitura sarebbe errata, ecc.

I victorian pensavano che la vita all'aria aperta facesse bene alla salute, ecco quindi che tutti quelli che potevano cercavano di trascorrere il loro tempo in lunghe passeggiate negli splendidi parchi inglesi, oppure passavano il tempo seduti all'aperto sotto la loro tettoia a guardare il viavai della strada, cucire e ricamare, leggere su dondoli e sedie di legno e panche; in alcune circostanze i vittoriani pranzavano anche all'aperto.


L'ingresso
Per lungo tempo considerato solo un luogo di passaggio, con il trascorrere del tempo questo spazio è riuscito a conquistarsi la dignità di stanza al 100% e come tale ha iniziato ad essere trattato.
Ingresso vittoriano
Nonostante questa conquista, manteneva comunque uno spazio a sé limitato, giusto il necessario per il passaggio e se lo contendeva con l'onnipresente scala di legno che conduceva ai piani superiori. Dall'ingresso era possibile raggiungere il salottino dell visite, lo studio, la sala da pranzo, la cucina e, se presente, una stanza da bagno al piano terreno.

Il mobilio che più spesso si poteva riscontrare era destinato ad appendere mantelli e cappotti, erano privilegiati appendi abiti e porta ombrelli appesi alle pareti, rigorosamente rivestite in legno almeno per un terzo, come esigeva la moda già dai tempi di Napoleone, inoltre serviva per mantenere al caldo la casa senza disperdere il calore interno dato da stufe e caminetti a legna.
Le pareti erano decorate con fotografie di famiglia, se la famiglia era abbastanza facoltosa da possederne, oppure da acquerelli con vedute di caccia dal sapore tipicamente british.
Le lampade o i porta lumi erano sempre gemelli ai due lati del passaggio e decorati con stoffe e trine realizzate dalla padrona di casa; una caratteristica tipicamente vittoriana, specialmente con l'avvento dell'elettricità domestica, era di decorare con graziosi fiocchetti e nastrini i porta lampade, tanto da farli assomigliare più ai cappellini delle signore che a forme di arredamento.


Il parlour, altrimenti detto salottino, stanza delle chiacchiere, soggiorno
Tanti nomi per definire, alla fine, la stessa camera, destinata al ricevimento degli ospiti e allo svolgimento delle pratiche diversive quotidiane come il ricamo e piccoli svaghi (puzzle, scacchi, lettura, musica, ecc.).
Salottino vittoriano in stile neorinascimentale
Dove possibile si cercavano di creare più stanze destinate al ricevimento degli ospiti, ma era principalmente un'ostentazione di ricchezza, mentre era frequente avere una grande sala con divanetti e poltroncine, un tavolino rotondo per il tè e molte credenze alle pareti. A ricevere ospiti presso il salottino era la padrona di casa, oppure le figlie, mentre gli uomini preferivano intrattenere relazioni meno collettive e richiamare i propri ospiti nella biblioteca o nello studio.

Il salottino è facilmente riconoscibile per la luminosità della stanza, per la delicatezza degli arredi, la presenza di suppellettili [leggasi: alloggiapolvere] e tappeti sul pavimenti.
I classici pannelli di legno che la fanno da padroni nell'ingresso potevano essere sostituiti da una raffinata tappezzeria a righe verticali (molto in voga) oppure, sul finire del secolo, da una a fantasie floreali bordata in alto da una striscia in tinta unita.
Lo stile vittoriano prevedeva che nella stessa stanza si presentassero molte fantasie diverse, non era quindi inusuale trovare tappeti o tappezzerie mescolati tra righe, rombi, fantasie impero e fiorellini e nessuno scandalo.

Elemento imprescindibile della stanza era il tavolino, qui venivano posati i vassoi con i biglietti da visita degli ospiti, qui si sedevano le signore per sorbire il tè, qui erano posati alcuni elementi di pregio delle suppellettili, ad esempio sofisticati orologi meccanici sotto una campana di vetro trasparente oppure vasi di fiori freschi cambiati ogni giorno, magari dono di qualche corteggiatore e ammiratore.
Insieme al tavolino viaggiavano almeno due sedie abbinate.

La stanza contava almeno di una credenza dove mettere in mostra il servizio più chic, quello della porcellana più raffinata, dalla provenienza più esotica, il più antico o il più prezioso, magari in argento.

Potevano essere presenti diversi strumenti musicali con i quali le ragazze di casa intrattenevano gli ospiti suonando o cantando, il pianoforte era quasi d'obbligo, se si scorre il tempo all'indietro si potrebbe riconosce un virginale, una variante antica principalmente suonato nel Seicento e Settecento e dal suono molto limpido con cui si esercitavano le fanciulle, e poi anche flauti, specialmente traversi, violini, liuti e mandolini, questi in particolare nei paesi mediterranei [Caravaggio docet!].

Nel salottino, inoltre, attendevano gli ospiti che lasciavano presso le cameriere o i paggi alla porta i propri biglietti da visita, recapitati brevi mano alla padrona o all'interessata che aveva la facoltà di scegliere se scendere e accogliere l'ospite oppure no.
Per ulteriori informazioni vi rimando ai post scritti qualche tempo fa:
Tea Party ~ Il tè pomeridiano
Le visite ~ breve vademecum su come fare visita a qualcuno


La biblioteca
Stanza di impronta nettamente maschile, inutile soffermarci sul suo significato, sebbene, oltre che da stanza dei libri e della cultura servisse anche da studio.
Quando si parla di biblioteca iniziamo subito a inquadrare un minimo l'ambiente: non aspettatevi un salone con le pareti tappezzate di scaffalature tipo La bella e la bestia, in realtà le dimensioni e il contenuto erano decisamente più modeste.
Angolo biblioteca
Immaginate quindi una stanza con una o due scrivanie, magari posizionate l'una di fronte all'altra; alla scrivania più imponente sedeva il padrone di casa, su una poltrona dall'aspetto monumentale, probabilmente la sua scrivania aveva dimensioni o foggia più seriose e massicce, lì il signore della casa teneva i conti delle sue proprietà, i suoi acquisti, le spese sul libro di casa, il libro contabile.
La moglie sedeva di fronte, in una scrivania decisamente più raffinata e delicata, leggeva, compilava il registro delle spese domestiche, segnava i salari dei suoi dipendenti, annotava il diario, accessorio indispensabile spesso contenuto in uno dei cassetti dello scrittoio, infine gestiva la corrispondenza, in riferimento a lettere (le persone della famiglia lontane si scrivevano quasi ogni giorno, basti vedere in Orgoglio e Pregiudizio), inviti, ringraziamenti, telegrammi, condoglianze, ecc.
Anche se presente, la scrivania della moglie era comunque un'aggiunta in quanto la biblioteca veniva considerata la stanza del padrone di casa, dove a volte vi rimaneva rinchiuso l'intera giornata. Se egli non voleva la consorte tra i piedi, questa sbrigava le sue faccende tra la propria stanza e il salottino di cui abbiamo detto sopra.

Accessori indispensabili di questa camera erano le confortevoli poltrone con braccioli per la lettura e il caminetto. La legna ardeva sempre nel focolare, ma il carbone veniva aggiunto dalla servitù solo quando i padroni entravano per leggere o consultare qualcosa, per risparmiare sulle spese (il carbone era abbastanza caro, vedi il post intitolato Il costo della vita); quando non adoperato, il carbone stava nel suo contenitore, sulla sinistra del caminetto, a destra risiedevano invece gli attrezzi per attizzare il fuoco, quindi attizzatoio, paletta, scopino, ecc. ma questi erano presenti in ogni stanza con camino.

Per quanto riguarda il materiale da consultazione, poteva essercene del più vario a seconda del tipo di famiglia, di estrazione, di idee politiche e religiose.
Biblioteca di una estate di campagna, la
dimensione è decisamente cosa diversa dalla
precedente immagine e anche le scaffalature
Una famiglia media poteva vantare sugli scaffali diversi almanacchi, ovvero previsioni per l'anno a venire e riassunti dei fatti salienti di quelli trascorsi (Sherlock Holmes ne consulta diversi durante le sue indagini e li tiene nel suo soggiorno); c'erano poi dizionari, in quanto era considerato importante saper parlare bene e usare terminologie corrette in riferimento al contesto [abitudini tristemente perse... la gente non sa più consultare né il dizionario né l'enciclopedia e, soprattutto, non sa più parlare correttamente e scrivere quello che dice].
Infine non potevano mancare alcuni classici della letteratura e qui cominciamo a porci d'innanzi ad una questione non da poco: cosa era classico al tempo dei Victorians?
Considerando che i libri di allora sono per noi dei classici (Hardy, Austen, Bronte, Dickens), lo erano per allora?
Nossignore, la Austen scriveva in pratica di Harmony dell'epoca e Dickens era considerato abbastanza populistico., tanto da esserne vietata la lettura agli scolari; Hardy poi era troppo teatrale. I veri classici erano Shakespeare, ovviamente, Chaucer, un po' il Boccaccio inglese, e soprattutto molti sonetti e poesie talmente melensi e smielati che ormai non li legge più nessuno. Ai victorians, nello specifico, piacevano le ballate medievali, i poemi epici, l'amor cortese e il cor gentile infarciti di melassa. Insomma: du palle...
Visto che scritti nel Settecento, erano già classici titoli come Pamela, Joseph Andrews, Viaggi in diverse nazioni remote del mondo, di Lemuel Gulliver il libro che detesto di più in assoluto (all'epoca andava ancora il titolo per esteso e l'edizione in 3-4 volumi) e Robinson Crusoe.
Comunque Dickens, la Austen, le Bronte e Hardy e Thackeray e tutti i loro compagni del tempo erano sì presenti, solo non come classici come adesso, ma come contemporanei, insomma gli omologhi di Follett, Brown, Cornwell e la Reichs. E chissà che nel mucchio non troviate anche qualche libro proibito, ovviamente c'erano, ma non in bella mostra, per esempio si potevano scorgere le copie di Fanny Hill: memorie di una donna di piacere, che non è un libro per educande neanche oggi...

Un immancabile nella biblioteca di casa era La Sacra Bibbia, ma quella era un must have di qualsiasi famiglia sapesse leggere, sia che avesse o no una biblioteca: passaggi e brani erano spesso letti quando la famiglia si riuniva in salotto o a tavola (cfr. Sette spose per sette fratelli) alla classica maniera protestante, inoltre si ringraziava sempre per il cibo che si consumava, un'usanza che forse dovremmo riprendere perché noi lo diamo per scontato, ma il cibo è un dono, ottenuto sì con la fatica, ma pur sempre un dono che non ci è dovuto e quindi, a mio avviso, dovremmo davvero ringraziare per tutto ciò che abbiamo.

Per quanto riguarda l'estetica, la biblioteca di solito era una stanza dalla mobilia scura, in ciliegio rosso, mogano, colori tendenti al nero, anche l'ebano a volte che appesantivano un po' l'ambiente; la tappezzeria era di colori carichi come verde, blu o bordeaux e con pannelli di legno nella parte inferiore del muro. In terra parquet o tappeti e grandi finestre, ove possibile.


Sala da pranzo
Sala da pranzo di Stato a Buckingham
Palace, Londra
Nel mondo anglosassone la distinzione tra living room e dining room è estremamente importante. Da noi può capitare che la sala da pranzo faccia da soggiorno e viceversa, lassù no, è una grave mancanza, la forma più sciatta di arredamento. Ecco quindi che il salotto/salottino erano una cosa e la sala da pranzo un'altra.
La stanza di rappresentanza della casa e quindi la più fastosa e decorata, un vero tripudio, un eccesso dietro l'altro, a cominciare dall'esposizione quasi da banco del mercato di servizi da portata, ordinatamente riposti nelle credenze, ma comunque in bella mostra, zuppiere in argento o porcellana rifinita sul tavolo, intarsi e decori alla mobilia fino a diventare opprimenti e, soprattutto, lini e tovaglie di pregiata fattura, ricamate a mano stipate nelle ante, pronte per essere tirare fuori durante il pranzo della domenica, consumato dai vari membri della famiglia in casa l'uno dell'altro e, quindi, occasione per ostentare il proprio status.

Oltre ai mobili, riccamente decorati, a volte dorati e zeppi di teste di leoni, intarsi, ornamenti, rifiniture, ghirigori e fioriti, a seconda dello stile, anche le tende non erano da meno.
Sala da pranzo vittoriana
Le tende erano uno dei pezzi forti della sala da pranzo, costituite da due o tre strati di tessuto sovrapposti, tutti preziosi e in mostra, in particolare lo strato sottostante, in stoffa chiara e trasparente era usato per filtrare la luce in modo che non accecasse i presenti, mentre il drappeggio superiore era in drappi spessi e pesanti come broccato, seta o velluto, era usato di notte per coprire i vetri, in modo da mantenere la privacy, era inoltre efficacissimo contro i fastidiosi spifferi che sgusciavano tra le feritoie delle finestre; quest'usanza era in voga già dal Medioevo, quando i castelli e le case non avevano finestre di vetro né imposte, ma solo la sagoma e per ripararsi, specialmente d'inverno dalla pioggia e dalla neve erano usate pesanti tende e arazzi.
Nei paesi nord europei, infatti, non esiste la cultura della persiana che, come dice il nome, viene dall'Oriente, questo perchè i raggi solari erano meno intensi che sul Mediterraneo o in Medio Oriente, dove invece il sole picchia parecchio e nelle ore più calde del mezzogiorno spesso le persone andavano a riposarsi nella frescura della casa o del pergolato, oscurando con pesiane di legno le finestre, che filtravano efficacemente i potenti raggi del primo meriggio.


Studio, studiolo, stanza della musica, della pittura, del...
La ricchezza, si sa, porta ostentazione e stravaganza: insieme, separate, ma una delle due c'è sicuramente. Ecco che la ricchezza in tempo vittoriano era espressa nella manifestazione dei propri possessi, di cui la casa era il più evidente. Ecco quindi che la casa diventa biglietto da visita quando si cerca di fare colpo su personaggi più importanti, per impressionarli l'architettura rasenta l'assurdo e le stanze interne si moltiplicano.
Stanza della musica
Con la configurazione fino a poco prima nessuno sentiva la necessità di una stanza da disegno, ma se si è ricchi e potenti, questa può diventare una necessità, uno status, ecco quindi che entriamo nell'intricato ambito delle stanze inutili, ovvero camere destinati a scopi ricreativi o semplici doppioni delle precedenti. Una casa importante e ricca, come potrebbe essere Chatsworth House (location di Pemberley in più di un adattamento O&P) avrà sicuramente avuto una biblioteca e almeno quattro salottini.
Le stanze superflue sono inutili, ma si sfrutta l'opportunità di mostrare quanto in più si ha, sia come spazio, sia come oggettistica, mobilio, tappezzeria, tendaggi, tappeti. Se doveste riempire cinquanta stanze, quanto spendereste? Un capitale. Avere molte stanze e spendere qualcosa per ciascuna era come gridare: ho del capitale, ne ho talmente tanto che posso fare a meno perfino di tutto quello che ho usato per queste camere.
Vero.
E falso. Perchè il bluff esiste e magari l'ostentazione era solo uno specchietto per le allodole per accasare bene l'unica figlia.
Le stanze superflue erano principalmente varianti del salottino, le persone di casa vi si riunivano per leggere insieme, ricamare, nella stanza da musica si suonava e si avevano molti strumenti a disposizione, di cui immancabile era il pianoforte, preferibilmente a coda. Nella stanza da disegno l'ambiente e l'illuminazione erano studiati perchè fosse perfetta per disegna e dipingere, un'attività che tutte le ragazze cercavano di apprendre, infatti Lady Catherine DeBurgh rimane estremamente stupita che Lizzie non la conosca (e sia carente anche suonatrice): naturalmente a Rosings probabilmente erano presenti sia la stanza della musica che quella da disegno, mentre difficilmente a Longbourn c'erano, stretti come stavano.


La sala da ballo
Discorso a parte va fatto per la stanza da ballo. Dare un ballo era, per certe signore, un'esigenza sociale e serviva per mantenere il loro status, ecco quindi che la casa doveva essere provvista di un salone adeguato con scalone e sufficiente spazio perchè gli ospiti possano danzare in una stanza e rinfrescarsi in un'altra servendosi dal buffet.
Una dance room vittoriana, probabilmente
di un ricevimento al Palazzo Reale
È da classificare come stanza inutile? Personalmente non la definirei tale, ma naturalmente la mia può non essere la vostra opinione; personalmente però, visto la rilevanza che certi eventi mondani avevano sulla vita sociale, su tutti gli aspetti, credo che fosse un dettaglio troppo rilevante perchè potesse essere trascurato, ergo la stanza da ballo non era superflua, almeno da un certo rango in su.
Per maggiori info vi rimando ad alcuni post scritti in passato:
Come organizzare un ballo
Regole di base sul comportamente ai balli sociali

Una nota doverosissima: non immaginate i saloni da ballo come sterminate piazze d'armi, non lo erano: spesso c'era posto solo per i ballerini e alcuni ospiti alle pareti, in questo romanzi e film tendono ad esagerare, ma se guardate delle immagini di Almack's, che tra l'altro era proprio un'istituzione sorta a questo scopo, vi accorgerete che le sue dimensioni erano alquanto modeste. Alcune dimore fuori Londra potevano permettersi i saloni che a noi tutti piace immaginare, probabilmente a Pemberley c'era, ma non dovunque.

Per quanto riguarda l'arredamento, per la sala da ballo dovete immaginare qualcosa di simile al salottino: tappezzeria dai colori vivaci, ostentazione di ricchezza con pesanti e raffinati tendaggi multistrato, mobilia costosa, spesso in legno intarsiato e marmo lavorato, specchiere e grandi candelabri.
Mancanza essenziale erano i tappeti per terra, che avrebbero infastidito i ballerini che scivolavano rapidi sul parquet, importante invece era la presenza di uno o più grandi lampadari al soffitto, tra i quali i preziosi manufatti di Murano erano molto apprezzati, così come splendide creazioni in cristallo di Boemia, disperazione dei domestici che dovevano pulirli periodicamente o accendere tutte le candele.


La cucina
La cucina meriterebbe un discorso molto più ampio di quanto fatto fin'ora e non è detto che prima o poi non mi ci dedichi (ma non contateci troppo, eh!).
Cucina vittoriana con la stufa in ghisa al posto del
caminetto gigantesco
Zona fondamentale della casa, era spesso costruita sul retro ed era gigantesca, una stanza enorme dove stufe, camini e strumenti la facevano da padroni mentre il personale si affacendava su immensi tavoloni in legno.
La cucina era il regno delle donne e comprendeva alcune tra le particolarità della casa, ad esempio la ghiacciaia. Nei secoli passati, si sa, la conservazione degli alimenti era un problema non secondario e le soluzioni che i nostri avi inventarono o scoprirono furono sicuramente ingegnosissime, a cominciare dalla salatura, dall'avvolgimento in spezie, dal sotterrare il cibo, in particolare i vini (nelle cantine) e i formaggi (quelli che chiamiamo "di fossa"), avvolgendo nella cera. Insomma, c'erano un'infinità di modi e ciascuno conferiva al cibo un gusto particolarissimo.
Già nel Settecento si era capito che le basse temperature congelavano, oltre all'acchia, anche il processo di decomposizione e si iniziarono a sfruttare le tecnologie per ottenere vantaggi da ciò anche a quote inferiori a quelle del Monte Bianco; così dalle montagne venivano trasportati a valle enormi cubi di ghiaccio e poi conservati al fresco in un luogo buio e riparato e insieme a loro venivano sistemati gli alimenti da conservare. La struttura di queste ghiacciaie non era molto diversa da quella di una libreria: tanti ripiani dove si intervallavano cubi di ghiaccio molto grossi (più lo sono e più lentamente si sciolgono) ad otri di carne, pesce, ecc.

La cucina stessa poi era un capolavoro di tecnica e di tecnologia. Nel Settecento la maggior parte delle pietanze delle grandi case era cucinata ancora sul camino nei grossi paioli e calderoni molto medievali che abbiamo visto anche in La cameriera che travasa la zuppa; nell'Ottocento, invece, le cose cambiano: le stufe, un'invenzione dell'Europa centro-occidentale (Germania, Olanda e Belgio) conquista sempre più campo nelle piccole abitazioni dove si rivela più comoda del camino, lì sopra si sistemano le pentole, si porta ad ebollizione l'acqua, si cucinano le minestre, si usano anche per scandare i mattoni del letto e come caloriferi, ruolo per cui erano molto efficaci, specialmente per la loro posizione centrale nella stanza, a differenza del caminetto che, invece, era sempre dislocato su una delle pareti e, quindi, parte del calore si disperdeva oltre il muro in un'altra camera o all'esterno (che spreco!).
Una cucina di campagna con camino e utensili
di rame
Sulla metà dell'Ottocento le cucine a stufa avevano soppiantato quasi del tutto i camini per cucinare, mentre alla fine del secolo fecero la loro comparsa le prime stufe a gas, le mamme dei moderni piani cottura che usiamo in Italia, mentre all'estero è molto impiegata la piastra riscaldata al posto del fornello, una via di mezzo tra il principio della stufa e il funzionamento della cucina a gas.

Altro indispensabile strumento era il lavandino: verso la fine del XIX secolo ce n'era uno in ogni cucina e dotato di acqua corrente, ma non era così prima, quando l'acqua arrivava dal pozzo e veniva fatta sgorgare tramite una pompa manuale (ricordate Biancaneve?), attrezzo che richiedeva che le donne di cucina avesse delle belle braccia robuste.
L'avvento dell'acqua corrente fece sì che molti installassero lavandini, ma le tubature non arrivavano ovunque e la spesa era onerosa, quindi ci volle circa un secolo prima che la situazione cambiasse da come era stata fin dai tempi antichi, con ragazzi robusti che portavano l'acqua e ragazze che prelevavano dal pozzo.

Immaginarsi una cucina vittoriana credo sia affascinante, ho visitato diversi castelli e residenze e ogni volta è più affascinante: a Neuschwanstein la cucina intonsa di Ludwig II è un capolavoro di modernità, la cucina della Venaria Reale, fuori Torino, invece, è stata creata appositamente per cucinae piatti di cacciagione che piacevano tanto ai Savoia e che si cacciavano proprio alla reggia. Particolarissima è la cucinina dell'Amalienburg, il casino di caccia della regina di Baviera, decorata con maioliche coloratissime perchè ad Amalia Savoia, colei che l'ha voluta, piaceva farsi vedere dai suoi ospiti mentre dava un giro di mestolo alle pietanze che avrebbero poi mangiato [per carità, più di un giro di mestolo non faceva! Ma sapete, non poteva mica stare in un ambiente fumoso, spoglio e con le pareti intonacate, la poverina...].
Utensili da cucina per al consumazione della
servitù (si riconosce dalla qualtià del metallo)
Mia madre sostiene essere molto bella la cucina del Castello di Chenonceau, nella Valle della Loira, residenza della famosa amante di Enrico II di Franica, Diana di Poitiers. Secondo me è anche molto pittoresca la cucina medievale del Castello di Kost, vicino Praga, ma io sono una patita del medievale ^__^

La cucina generalmente era grande nelle magioni furi Londra, le estates, come erano chiamate, autentiche piazze d'armi con un grosso tavolo al centro dove si preparavano le pietanze, tutt'attorno le pareti erano decorate dagli utensili appesi: teglie, pentole, scolapasta, casseruole, mattarelli, principalmente in rame o ottone. Eppoi la moltitudine di vasi e rami di erbe aromatiche lasciate ad essiccare conferivano quel tocco di rustico.
La cucina, a differenza di quelle moderne, era un luogo abbastanza sporco, il camino e la stufa sempre in funzione macchiavano irrimediabilmente di carbone le pareti chiare e conferivano all'ambiente quell'aria scura e opprimente, inoltre il cibo, l'dore di carne e di spezie erano forti e l'aria viziata dai sapori così violenti. Lavorare in cucina, si diceva, era come lavorare all'inferno, il che dovrebbe farci capire come fosse piacevole.


Bene, ci sentiamo nella prossima puntata per quanto riguarda il primo piano, sperando che la sua gestazione e relativo reperimento di fonti siano un po' più rapidi di questi.

Baci a tutti





Mauser


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