28 settembre 2010

Les Macarons

Alessandra mi ha fatto letteralmente perdere la testa col suo commento sui macarons, sarà che dovrei mettermi a dieta e non posso neanche guardare un biscottino integrale, sarà che ho voglia di dolce per carenza d'affetto, chi lo sa, ma è certo che mi sbaferei un macaron seduta stante.
Dopotutto tanto schifo non possono fare, li mangiava Maria Antonietta ed erano i suoi dolcetti preferiti...

I macarons si dice siano il peccato di gola dei veri parigini, il cui cuore romantico è affascinato dalla perfezione dei dolcetti tondi dai mille colori e sapori con un morbido cuore rappresentano il meglio in fatto di dolcezza: sono bellissimi da vedere, perfetti da regalare, buonissimi da mangiare.
Detto tutto.

Cosa c'è di bello nei macarons è che fanno innamorare con la loro consistenza di meringa, eppure morbida all'interno del biscotto, farciti con creme semplici o elaborate, presentati in mille colori e varianti tra cui non si sa mai quale scegliere: ho la (s)fortuna di vivere in una città dove le Pasticcerie Storiche contano più di Cristoforo Colombo e, come tali, non hanno nulla da invidiare ai francesi (quando mai un italiano deve invidiare qualcosa ai francesi? Su, un po' d'amor di patria!), tantomeno alle pasticcerie francesi.

E volete sapere la cosa divertente?
La parola macaron che indica questo dolce tipicamente parigino, tanto francese non lo è... bello smacco, vero?
La parola macaron è la stessa di maccherone, e venitemi a dire che non è italiano il maccherone... l'italiano è maccheronico e da sempre gli stranieri pensano che in Italia si mangino solo quelli in interminabili tavolate con olio, pane e bruschetta, sotto un pergolato ombroso, di fianco ad una tipica casa toscana con le donne con camicie bianche scollate e la gonna a righe dai colori vivaci. L'immagine che gli stranieri hanno dell'Italia non comprende: pastorelle tirolesi, cultura piemontese, dialetto veneto. Per loro parliamo tutti napoletano, ci vestiamo ancora come nella pubblicità della Barilla e così via.
Invidia, dite voi? Forse...
La parola maccherone da cui deriva anche macaron è di origine latina, da maccare, ovvero schiacciare, ecco perchè sia la pasta che il dolcetto parigino prendono questo nome, se infatti avete dato un'occhiata alle foto, i macarones sono caratterizzati dalla classica forma "a sandwich".
In inglese il termine corrispondente sarebbe macaroon, ma in verità la ricetta è un po' diversa, con biscotti non precisamente liscissimi, sebbene fatti da pasta di meringa, gli inglesi preferiscono quindi adoperare la terminologia francese per i dolcetti francesi e quella inglese per la variante d'oltremanica.

Fare macaron richiede una grande quantità di studio ed è un processo che dipende fortemente dalla precisione, dalla tecnica, e dall'attrezzatura adeguata.
Per questo motivo è una ricetta notoriamente difficile da padroneggiare e di uno sforzo frustrante per i fornai dilettanti.

La pasticceria più famosa che prepara i macarons è sicuramente la parigina Ladurée, che si dice abbia trovato la ricetta perfetta per questi dolci nel 1930, grazie al contributo di Pierre Desfontaines, cugino di Monsieur Ladurée.



Storicamente parlando...
I macarons rimasero un dolce d'elite fino al Novecento.
Consumati dai nobili e dai ricchi borghesi, erano gustati in salottini, pasticcerie raffinate o per la pausa del tè, ma mai preparati in casa.

Era proprio questo, il fatto che fossero comprati e non preparati che li rendeva speciali, un piatto da ricchi, perchè comprare un piatto fatto e finito è sempre più costoso che cucinarselo (regola aurea di ogni brava massaia): all'epoca quasi qualsiasi cosa era cucinata in casa, se possibile, o almeno preparata e poi portata al forno.
Per compare piatti finiti bisognava essere benestanti e anche un po' snob.

Dolcetto preferito della Regina Maria Antonietta di Francia, essi acquisirono una grandissima popolarità nel paese durante il suo regno e furono importati anche a Londra, dove le nobildonne fecero follie per averli, dopotutto la Regina era considerata un autentica icona di gusto e il suo stile seguito ed emulato in ogni corte.

Con l'avvento dell'Impero e dell'epoca napoleonica, le raffinatezze e le ricercatezze, così come ogni ostentazione di ricchezza e potere, caddero in declino in favore di uno stile più semplice e parsimonioso fino ad una nuova rinascita verso gli anni Venti dell'Ottocento, quando anche i macarons tornarono alla ribalta, riguadagnando il terreno perso e conquistandosi fama e popolarità come pasticcini per il tè pomeridiano, un'usanza che prese via via sempre più campo.

Da allora hanno mantenuto la nomea e il fascino di uno sfizioso dolce, raffinato ed elegante, ma allo stesso tempo sbarazzino e irriverente che, si può dire, incarna alla perfezione lo spirito della Regina che tanto li aveva prediletti.


La ricetta
Esistono infinite varianti per la preparazione dei macarons, ma alla fine la ricetta è sempre una, sempre quella.
La finezza della farina di mandorle e la temperatura del forno sono fondamentali per non far formare le crepe in cottura e vi ricordo che è molto importante che un buon macaron in superficie sia liscissimo, quindizero crepe e zero grumi.

La ricetta che ho adoperato è quella di PianetaDonna, ma ve ne sono molte altre ugualmente sfiziose e saporite.

Ingredienti:
220 gr di zucchero a velo,
120 gr di farina di mandorle,
90 g di albumi invecchiati (rompere le uova e tenere gli albumi in un bicchiere coperto da pellicola, rigorosamente fuori frigo) a temperatura ambiente,
30 g di zucchero semolato,
1 cucchiaino di succo di limone,
un pizzico di sale.


Preparazione:
Riscaldate il forno, teglia compresa, a 145°-155°.

Passate al mixer, senza far scaldare troppo, lo zucchero a velo e la farina di mandorle e setacciate il tutto.

Aggiungere una presa di sale e due gocce di succo di limone agli albumi e montateli a neve soda e lucida.
Quando saranno ben compatti aggiungete lo zucchero semolato, sempre sbattendo.
A questo punto, volendo, aggiungete il colorante e gli aromi: come coloranti vanno benissimo coloranti alimentari che trovate nei negozi di pasticceria o al supermercato (quelli forniti), oppure estratti di limone, pistacchio, mandorla, nocciola, ecc.

Addizionate metà del composto mandorle e zucchero agli albumi, e mescolate delicatamente con una spatola, dal basso verso l’alto.
Quando il composto sarà omogeneo aggiungere il resto del composto secco e mescolate delicatamente fino a ottenere una crema liscia e bianca, che "scrive".

Versare il tutto in un sac à poche (una sacca da pasticceri), e formate delle gocce su una teglia da pasticceria rivestita di carta forno.
I macarons tendono ad allargarsi durante il periodo di cottura, per cui tenetene conto per le dimensioni.

Infornate la teglia calda e lasciate cuocere per 13-14 minuti.

Sfornate i macarons, spruzzate dell'acqua al di sotto del foglio e dopo alcuni minuti staccare i dolcetti.
In alternativa togliete il foglio di carta dalla teglia e adagiatelo sopra una superficie di marmo inumidita con un velo d'acqua. Questo procedimento serve per indurre uno shock termico che faciliterà il distacco, senza rovinare il dolcino.


Incollate i macarons a due a due con la crema prescelta, come se steste impilando un panino.
Conservate in frigo in un unico strato coperti da un foglio di pellicola per almeno un giorno.

Volendo si possono congelare e poi scongelare mediante un passaggio in frigo.

Il risultato finale dovrebbe assomigliare ad un grosso bacio di dama, mi raccomando, non siate tirchi con la crema ;)


Link utili per ricette alternative
I dolci di Pinella
PianetaDonna
Ladurée Paris
Cookaround - Ispahan (macarons alla rosa lamponi e litchi)
Spigoloso
Grasso che cola
Macarons.it

Molti di questi blog raccontano anche le loro personalissime avventure e disavventure con questi dolci, più qualche consiglio extra sulla preparazione, che come si è visto deve spesso essere perfezionata e raffinata.


Bibliografia
Cecile Cannone, Macarons: Authentic French Cookie Recipes That You Can Make at Home
Hisako Ogita, I love macarons
Jamie Cahill, The Patisseries of Paris
Pierre Hermé, Macaron (dicono che sia un guru dei macarons!)
Dorie Greenspan, Paris Sweets
Jill Colonna, Mad About Macarons!: Make Macarons Like the French
Philippe Vaurès-Santamaria, Philippe Mérel, Macarons
Sébastien Serveau, Macarons
Marie-Claire Frédéric, La ronde des macarons
Berengere Abraham, Macarons
Sarah Billingsley, Amy Treadwell, Whoopie Pies : Dozens of Mix 'em, Match 'em, Eat 'em Up Recipes
Rick Rodgers, Tea and Cookies: Enjoy the Perfect Cup of Tea


Info
Il posto migliore dove mangiare i macarons, si dice, sono i negozi parigini di Ladurée, nello specifico molto quotato è quello a Versailles.
Oltre a questo, Ladurée ne ha altri sei nella capitale, più diverse succursali in giro per il mondo, come Londra, Tokyo, Nagoya, Dublino e una di recentissima apertura anche a Milano, come ci informa il Corriere della Sera in un articolo di aprile intitolato Oui, je suis Ladurée.

Se vi piacciono le storie d'amore, i fumetti e la cucina (e vi intendete anche di cinese, magari), vi consiglio la lettura di questa storia illustrata: 柯德莉的Macarons, ambientata ad Hong Kong, questa vicenda segue la ricerca dell'amore di tre amiche: Audrey, dell'ufficio Pubbliche Relazioni di una importante ditta e del suo capo Karl. Poi c'è Ellen, assistente di volo, e Crystal, che di relazioni fallimentari alle spalle ne ha una marea, quasi incapace di trovare un uomo interessato a qualcosa di più di un'avventura.
Una commedia frizzante tra dolcetti di consolazione per la ricerca dell'amore.

Il termine macaron nel Settecento era utilizzato non solo per il dolce preferito della Regina, ma anche per designare quella categoria di uomini nulla facenti, i debosciati, libertini che popolavano la corte più come un elemento di divertimento che come reali anticonformisti.


Bene, eccoci giunti alla fine di questo post che mi ha fatto venire una voglia matta di prendere il primo volo per Milano per assaggiare queste prelibatezze, devono essere assolutamente squisite, non riesco ad immaginare che siano disgustosi...
Penso anche che si potrebbe fare un figurone con queste delicatessen quando si hanno ospiti a casa, quindi credo sia bene tenerli a mente nel caso l'odiata suocera, l'antipatica zia o la cugina di quinto grado capitassero nel vostro soggiorno affamate come Ezechiele Lupo, in quel caso saprete come rimetterle al loro post.

Ora scappo davvero, in mancanza di macarons credo che mi accontenterò di un Kinder Bueno, baci a tutti e a presto





Mauser





27 settembre 2010

Il tè: storia, tradizione e curiosità della bevanda nazionale victorian

Steam rises from a cup of tea,
and we are wrapped in history,
inhaling ancient times and lands,

comfort of ages in our hands.
Faith Greenbowl

Prima di iniziare, chiedo ai presenti di alzare la mano chi NON è un assiduo consumatore di tè al limite della droga fisica o dell'iniezione per via endovenosa.
Tutto costoro sono pregati di cambiare immediatamente pagina, l'argomento che tratteremo col trasporto che utilizzerò non penso sarà apprezzato.
Signore e signori state parlando con una drogata del tè, addirittura più del caffè.
Non sono un'esperta e non lo faccio perchè è snob (così mi è è stato detto essere una persona assidua consumatrice di tè O.O), mi piace e me lo bevo. C'è chi fuma, c'è chi si ubriaca, la sottoscritta ucciderebbe per una tazza del tè e si farebbe prendere da una crisi isterica senza la sua tazza giornaliera: unico appunto, devo rinunciare al piacere del tè alle cinque alla maniera inglese perchè, ahimè, in ufficio non sono io a stabilire i tempi di lavoro.

Il tè può essere considerata la bevanda più consumata nel mondo dopo l'acqua, è universale e allo stesso tempo particolare, specialmente con le tradizioni che caratterizzano questo rituale in ciascun paese.
Particolarmente consumato negli stati dell'Estremo Oriente, ovvero Cina, Giappone, Corea, Malesia, Indonesia e Tailandia specialmente nella versione da noi chiamata tè verde, è altrettanto diffuso in Europa nei paesi anglosassoni e in Olanda, qui però nelle sue varianti essiccate.


Generalità
La parola deriva dal cinese min (pronuncia tei) contrassegnato dal carattere 茶.
Questa radice cinese sta alla base della parola con cui la bevanda viene identificata in molte lingue, ovvero: malese, danese, inglese, spagnolo, svedese, yiddish, ebraico, cingalese, tamil, finlandese, francese, italiano, lettone, tedesco, olandese e ungherese.
Dalle pronunce piuttosto simili del carattere cinese 茶 nei dialetti settentrionali (Pinyin: chá) derivano i nomi del tè in: giapponese, persiano, arabo, turco, russo, portoghese, ceco, slovacco, serbo, hindi, tibetano e romeno.
Il italiano è corretto chiamare questa bevanda con l'ultima lettera accentata sebbene sia monosillabico, per distinguerlo da "te", pronome.
È generalmente considerata corretta anche la dicitura the, in questo caso scritta rigorosamente senza accento; la variante thè è invece un francesismo da debellare visto che l'accento su un monosillabico, in italiano, si mette solo nel caso vada distinto: nella nostra lingua non ci sono altre parole di significato confuso scritte the. La forma corretta rimane , le H inutili sono solo un vizio di forma ormai, visto che è stata appositamente creata la parola necessaria e, direi, anche da diverso tempo.

La magia del tè che ha stregato tante persone da diventare quello che è adesso, sta tutta nelle foglie di una pianta, la stessa pianta: la Camellia sinensis.
Da questa particolare variante di camelia, nasce tutto quello che noi conosciamo.
Per praticità i tè vengono suddivisi in sei principali categorieil tè nero,
Una curiosità che mi è capitato di cogliere studiando un po' di coreano è l'inesattezza con cui in Europa e in America chiamiamo il tè verde, che i rammenta il colore VERDE, mentre in Corea del Sud, così come in Giappone, lo stesso tè non viene assimilato al verde, bensì al GIALLO, la radice ma che sta alla parola "tè verde in coreano" vuole infatti dire giallo, non verde ^___^

Tutte le diverse varietà derivano dalle foglie della medesima pianta, ma sono create attraverso trattamenti differenti e presentano diversi gradi di ossidazione (comunemente chiamata "fermentazione"). I tè neri sono tè "fermentati", i verdi sono tè "non fermentati" e gli oolong sono "semifermentati". Una volta essiccato il tè può essere ulteriormente lavorato.
Il fatto che così tanti aromi e gusti affascinanti provengano dalle foglioline di un'unica specie di pianta mi affascina moltissimo.

Il maggiore produttore di tè del mondo è la Cina che si occupa della coltivazione di Lung Ching, Gunpowder, Lu Mu Dan, Shui-Hsien, Ch'i-Men Mao Feng, quasi tutte qualità di tè verde: essendo in Europa piccoli consumatori di questa variante, non siamo avvezzi ad adoperare particolari nomenclature al riguardo come facciamo invece per i tè essiccati.
Dopo la Cina abbiamo l'India, dove viene coltivato l'Assam, il Darjeeling e il Nilgiri. Anche il Giappone svolge un ruolo importante nella produzione di alcune qualità (Bancha, Matcha, Sencha e Gyokuro), anche quest'ultime sono qualità di tè verde, come ci ricorda il loro nome che finisce per cha (la radice cinese nel dialetto del Nord pinyin di cui abbiamo parlato poc'anzi).
In Europa il tè viene coltivato nelle isole Azzorre, la sua produzione è limitata e ci si limita all'importazione dall'Oriente: l'Europa è il primo importatore mondiale di tè.


Storia del tè in Europa
Il tè ha origine cinese e da sempre viene coltivato negli sterminati campi da tè, nei lunghi filari e nei terrazzamenti delle località collinose.
Si può dire che la storia del tè sia stata tutta orientale fino al Cinquecento circa, anni in cui, per la prima volta, portoghesi e olandesi entrano in contatto con la cultura del Giappone ed iniziano ad importare alcune delle tipicità di quei luoghi: spezie, tè, ecc.
La Compagnia Olandese delle Indie Orientali è stata la prima importatrice di quella che diventerà subito una bevanda di gran moda in tutta l'Europa, surclassando il caffè ed entrando di prepotenza tra le corti europee e tra i popolani.
L'approvazione per il commercio delle foglie di tè venne data dalla Regina Elisabetta I in persona che acconsentì allo smercio nei suoi territori.
Sulla scia del successe venne creata la Compagnia Britannica del Tè
Questo ingresso ad effetto sarà quello che garantirà il suo posto al sole nelle più rigide tradizioni inglesi, tanto che risulta davvero difficile immaginarci un inglese senza il tè delle cinque.
Tea
by George Dunlop Leslie
Il tè era una bevanda universale, consumata da tutti. Mentre nelle classi alte era consumato per moda, in quelle povere era la necessità a spingere le persone a berlo, l'elevato contenuto di teanina, un eccitante come la caffeina, costituiva infatti un valido aiuto per operai ed operaie che passavano la vita nelle fabbriche a lavorare quattordici ore al giorno, infondeva calore ed energia per proseguire con il proprio mestiere un giorno dopo l'altro, tutta la vita fino alla morte e qualsiasi fosse il mestiere fatto, era comunque duro e difficile e provava nel corpo e nella mente per la sua ripetitività. Il tè risulta inoltre un ottimo antiossidante e fornisce validi aiuti contro malattie come dissenteria, tifo e colera, particolarmente diffuse in passato e che colpivano particolarmente la classe operaia.
I nobili sorbivano il tè da pregiate porcellane cinesi o tedesche (Meissen, Rosenthal, ecc), tazze piuttosto piccole come le nostre da caffè e munite di piattino, i poveri invece si accontentavano delle mug, quelle che diventeranno poi le tazze più diffuse al mondo, fatte di semplice ceramica, più grandi e di forma cilindrica e sprovviste di sottotazza.

Il tè sarà protagonista di uno degli episodi storici più famosi della Storia Americana, il Boston Tea Party, quando i coloni del Nuovo Mondo, indignati per gli iniqui dazi imposti dal governo della madrepatria su importazioni ed esportazioni, si rivoltarono gettando nel porto di Boston le casse di tè e iniziarono la loro ribellione contro l'Inghilterra. La fine di tutto, sappiamo quale sia stata.

Ma sarà nell'Ottocento che, persa l'America, l'Inghilterra costituirà un vero e proprio impero commerciale oltre che coloniale, importando ed esportando, commerciando e facendo affari con tutto il mondo.
L'Inghilterra di Vittoria sarà un paese politicamente aggressivo, forte e rampante sotto molti punti di vista, si creeranno le nuove fabbriche del tè in Inghilterra e in India, la maggiore colonia britannica, si selezioneranno nuove specie di camelia per soddisfare i raffinati palati dei victorians e si installera un autentico mercato del tè.

Le fabbriche e i depositi di tè erano situati quasi tutti sulle rive del Tamigi, dove i grandi importatori come Twining's e Fortnum and Mason's avevano i loro depositi.
Nelle fabbriche del tè lavoravano solo donne, soprattutto ragazze, queste svolgevano lavori psicologicamente logoranti, come confezionare tutto il dì scatolette di tè con un peso medio, incollrci sopra le etichette e ricominciare tutto da capo.
Ecco cosa scrive Jennifer Donnelly nel suo libro I giorni del tè e delle rose:
Il giorno prima nel reparto miscelazione, al piano superiore, avevano preparato due tonnellate di Earl Grey che doveva essere confezionato entro mezzogiorno. Cinquantacinque ragazze avevano avuto cinque ore per confezionare ottomila scatole. Ci si poteva riuscire dedicando due minuti a ciascuna scatola.
Minton però sosteneva che due minuti fossero anche troppi e si piazzava a turno dietro a ciascuna delle ragazze per prendere il tempo, schernirle e intimidirle. Il tutto per guadagnare qualche manciata di secondi.

Come spesso accadeva, il lavoro in fabbrica era autentico sfruttamento. Le operaie venivano multate se parlavano tra di loro, se fischiettavano o se sollevavano lo sguardo dal loro lavoro. Analogamente c'era una detrazione dallo stipendio per ogni volta che si dovevano allontanare per andare in bagno.

Ragazze del tè in una fabbrica


Si lavorava in piedi per cinque ore fino a che le gambe si addormentavano, racconta Fiona, la protagonista del libro di prima, o, se non lo eri, il dolore cominciava lentamente dalla caviglia proseguiva fino alla spina dorsale, straziandoti.
I sindacalisti all'epoca erano multati e chi era scoperto a parteggiare per una organizzazione sindacale perdeva il lavoro: lo sciopero non era contemplato, non lo era l'insubordinazione e quanti altri diritti hanno ancora (forse) i lavoratori moderni. Anche se, con le recenti opinioni espresse da certuni ministri, più che passi avanti ne stiamo facendo indietro.

Quello delle ragazze del tè non era un buon lavoro, anche malpagato perchè lo stipendio era di 7 scellini a settimana: le scatolette da mezza libbra di tè che venivano preparate erano per i borghesi e i benestanti, tutti gli altri compravano il tè a peso nelle drogherie, a seconda delle proprie necessità, e si accontentavano della seconda o terza scelta, di un tè mescolato e senza sapore.
Siamo nel 1889, questo era il mondo poco più di un secolo fa.
Quando parliamo dell'epoca vittoriana, per quanto affascinante possa essere stata, credo sia giusto mostrarne anche i lati negativi: non idealizziamola, non c'erano solo balli e feste e fidanzamenti, ma purtroppo anche cose orribili ed è nostro dovere ricordarle per far sì che non si debbano ripetere mai più e che il valore delle persone e il loro lavoro sia tenuto nella debita considerazione.


La cerimonia del tè inglese
La cerimonia del tè vittoriana era davvero un evento sociale, come ho già avuto modo di parlarne nel post Tea party ~ Il tè pomeridiano.
Come tale, era tenuto in altissima considerazione.

Una tipica colazione all'inglese

I popolani sorbivano il tè a qualsiasi ora, specialmente dopo i pasti, qualsiasi occasione era ideale per consumarne una tazza e tirarsi un po' su.
I più ricchi, invece, lo consumavano ad orari prestabiliti. L'English breakfast, consumato ancora oggi, ha questo nome proprio perchè sorbito la mattina per colazione, solitamente una colazione all'inglese composta di porridge, beacon e uova. Si tratta di una qualità abbastanza forte che si sposa bene con il latte e lo zucchero, se si preferisce si può sostituire il latte con il limone, ma mai insieme! Altra cosa che non va mai servita con questo tè è la panna, assolutamente poco chic.
A causa del suo aroma particolarmente strong, l'English Breakfast era servito solamente di mattina, eccezion fatta per gli irlandesi che, si sa, nella cultura inglese sono dei pecoroni incivili che sopportano di tutto, anche un English breakfast a pranzo ed era risaputo lo consumassero durante tutta la giornata [tsk, questi zotici...].
Come esiste un English Breakfast, c'è anche un English Afternoon, caratterizzato da un blend di tè Assam, Darjeeling e di Ceylon (oggi Sri Lanka). Il suo gusto rotondo è adatto a qualsiasi ora della giornata, non solamente al pomeriggio come indica il nome.
Il secondo tè preferito del mondo moderno è l'Earl Grey, un tipo di tè caratterizzato dal gusto rotondo con una punta di dolcezza derivante dalla sua miscelazione con il bergamotto. Solitamente viene servito liscio senza ulteriori aggiunte per non intaccarne l'aroma.
Al primo posto dei più apprezzati, comunque, c'è ancora il famoso Darjeeling; tè ideale per il pomeriggio, viene servito liscio o, al massimo, con il limone, ma è assolutamente da evitare il latte.
Molto famoso ed apprezzato è l'Oolong, una varietà di tè speciale, importata in Inghilterra nel 1868, attualmente le maggiori piantagioni si trovano a Taiwan. Il sapore del tè Oolong vien considerato molto elegante e deriva da una particolare mistura di tè neri e tè verdi che gli conferiscono il particolare aroma fruttato.
Un tè entrato di recente nella cultura europea e, bisogna dirlo, aborrito dai puristi di questa scienza di degustazione, è il tè verde, quello della famosa Cerimonia del tè giapponese che si chiama cha no yu, dove, ricordiamo sempre, cha è ancora la parola per .
Il tè verde è estraneo alla cultura europea anche per il suo gusto pungente di erba, ma sta prendendo campo per le sue proprietà ed è molto impiegato da erboristi e nella medicina omeopatica. Personalmente non lo apprezzo granchè, sono più legata al gusto tradizionale.
Oltre a questi, ve ne sono molissime altre varietà entrate nel corso degli anni e dei secoli nella cultura, come l'Orange Pekoe che mi sono preparata stasera, caratterizzato dal fatto che sia preparato con le ultime due foglie del rametto raccolto.
Oppure il Lemont Scented, una varietà aromatizzata al limone; come questo ne esistono altri insaporiti con spezie (Spiced Tea), oppure frutti di bosco o ancora zenzero, noce moscata, cannella, fiori, peperoncino, menta, ecc.


Il tè delle cinque, mito e realtà
Il rituale del tè alle cinque del pomeriggio è sicuramente una delle cose per cui tutti gli anglosassoni sono più famosi nel mondo assieme a Big Ben e alla Regina.
Anna Maria Stanhope
7a Duchessa di Bedford

La leggenda vuole che quest'usanza sia stata iniziata da una delle cameriere della Regina Vittoriana, una certa Anna Maria Stanhope, duchessa di Bedford, che a causa del pranzo di fretta che era costretta a consumare a causa dei numerosi impegni della regina, iniziò ad accusare un certo languorino verso le quattro/cinque di pomeriggio; inizialmente chiese alle sue cameriere (era comunque una duchessa) di rubarle in cucina una teiera con del pane o dei dolcini, successivamente, visto che l'usanza veniva comunque praticata abitualmente, chiese anche alle sue amiche si servirsi con lei ed organizzò dei veri e propri riti d'incontro pomeridiani.
Non si sa se questa sia la storia reale del perchè gli inglesi alle cinque hanno un orologio interno che li spinge a consumare tè, le statistiche dicono che il consumo della bevanda sia calto di un 10% in favore di bevande sintetiche spacciate come naturali (finte tisane piene di conservanti, bevande energetiche, ecc), ma è innegabile che all'ora prestabilita gli uffici e i negozi si svuotino per andare a riempire le sale da tè o le proprie case o a prendere un tè coi colleghi.


Come preparare il tè all'inglese
Ecco i passaggi per preparare il tè proprio come fanno i britannici:
  1. L'acqua viene bollita a fuoco medio in un pentolino e poi versata nella teiera.
  2. L'acqua viene fatta girare nella teiera perchè sia riscaldata in tutta la sua forma, quindi versata nuovamente nel pentolino
  3. Vengono messe nella teiera le foglie libere, nel caso si abbiano a disposizione solo bustine, queste vanno aperte; ricordiamo la dose: 1 cucchiaino per ogni invitato e uno per la teiera
  4. Viene nuovamente versata l'acqua nella teiera e lasciato il tutto in infusione per diversi minuti, coperto da un tea cosy per preservare il calore senza che si disperda nell'ambiente.
  5. Se si gradisce latte unito al tè, questo può essere aggiunto alla tazza prima che vi sia versata la bevanda
  6. Sopra la tazza viene posizionato un apposito colino da tè, quindi la bevanda viene versata all'interno della tazza con gesti lenti e delicati, ricordiamo che il rituale del tè è bello perchè rilassante, il tè non va mai sorbito di fretta, è contro la sua stessa natura.
  7. La tazza viene quindi consegnata all'ospite.
È sempre buona cosa che la teiera non rimanga vuota dopo aver servito tutti gli ospiti.

Il tè va sorbito con il piattino appoggiato al tavolo, si solleva la tazza verso le labbra, non è la persona che si china; finita la sorsata, la tazzina va riappoggiata, così fino alla fine.
Se non si ha a disposizione un tavolo, il piattino va tenuto in grembo sulle gambe e si procede con lo stesso sistema descritto sopra.
Una tazza di Irish Breakfast Tea
Non si tiene mai la tazza sollevata a mezz'aria a meno che non si stia bevendo, altrimenti va riappoggiata.


Libri e link utili e interessanti
Jane Pettigrew, Il tè, guida ai tè di tutto il mondo
Davide Pellegrino, Il piacere del tè
Il grande libro del tè

Tè - pensieri, parole e aromi
Kazuko Okakura, Il libro del tè
Daniela Ferraresi, Thègustandum

Associazione Italiana Cultura del Tè
Teatime Links
Tè & The Blog

Tea Travels! ...Understanding Tea Time Service

Baci a tutti,
con affetto




Mauser

26 settembre 2010

L'Acqua di Parma

Non so quanti di voi l'abbiano sentita nominare, non è un prodotto molto diffuso ormai, dimenticato tra le scaffalature piene di elaborati profumi esotici di importanti marche costose, anche io che di storia un po' me ne intendo, ho ritrovato questa chicca solamente ieri durante una gita a Parma, città dei salumi, del formaggio, della pasta, dei Farnese e... dell'Acqua di Parma.

L'Acqua di Parma, chiamata anche Essenza di Violetta oppure Essenza di Parma, è un particolare profumo da donna, molto delicato, a base di oli ed essenze estratte dalla pianta di violetta.
Per un secolo e mezzo e forse di più, essa è stata uno degli accessori essenziali della donna, una fragranza molto particolare che coglie perfettamente il profumo che si può inspirare direttamente dalla corolla del fiore. Non è certo un profumo forte, un po' perchè in passato non si riusciva a dare alle eau de toilettes oppure alle eau de perfume una fragranza particolarmente carica (mancanza di mezzi scientifici e conoscenze di chimica, per intenderci), ma è un profumo molto rilassante, sia da annusare che da portare; non è certamente impegnativo, non bisogna essere Miranda vestita Prada per potersene spruzzare un gocce, d'altra parte, l'Acqua di Parma, che è famosa in tutto il mondo tranne che in Italia, non è neanche un accessorio di cui dimenticarsi così in fretta, avendo fatto parte del tavolino da toeletta di regina, principesse e imperatrici, specialmente del periodo Regency e Vittoriano.

Il mito intramontabile dell'Acqua di Parma è indissolubilmente legato ad una donna altrettanto importante: Maria Luigia d'Asburgo, seconda moglie di Napoleone.

Luisa arrivò a Parma dopo la prima sconfitta di Napoleone, il ducato, creato appositamente per lei, rappresentò la sua ancora di salvezza e riconoscendogli questo ruolo nella sua vita, l'ex Imperatrice dei Francesi tributò a quelle terre e alla popolazione tutta la sua dedizione di guida.
Amò profondamente il parmense e le sue caratteristiche, tra queste anche le piante tipiche della regione, una su tutte la violetta odorata, una variante particolarmente profumata.
È proprio dalla violetta che si ricava l'Acqua di Parma, divenuta fin dalla sua creazione un must have per le donne dell'epoca.

Curiosamente anche Giuseppina Beauharnais, la prima moglie di Napoleone, amava la viola, tanto da ricamare questo fiore sull’abito nuziale.
Maria Luigia però va oltre la semplice predilezione: la violetta diventa il suo simbolo, si ritrova incisa o dipinta su piatti, vasellame, ventagli, ditali, carta da lettera, arrivando al punto di sostituirne la firma o il monogramma; a corte i valletti si vestono di viola e lei stessa porta mantelli di questo colore. Una passione tutt’altro che intima, di cui vuole anzi far partecipe il popolo, tanto da elargire denaro a chi le dona mazzetti di violette durante le sue passeggiate.

Maria Luisa
duchessa di Parma, Piacenza e Guastalla
Luisa stessa commissionò ai monaci di Parma del convento dell'Annunciata la realizzazione di un'essenza alla violetta; dopo molti tentativi si giunse finalmente ad un profumo molto particolare che consiglio a tutti di annusare, almeno una volta nella vita e, se ne sarete innamorati, di portarlo abitualmente.

Nel 1870 Ludovico Borsari, figlio di un falegname e proprietario di un negozio di barbiere, riuscì a farsi dare dai frati la ricetta per l'Essenza di Violetta voluta da Maria Luigia, fino ad allora gelosamente custodita nel monastero e prodotta solo per l'uso personale della duchessa (produzione poi cessata con la sua scomparsa); ottenutala, iniziò la produzione del profumo che ancora oggi conosciamo e che si ritrova nei negozi specializzati o in quelli di souvenir in flaconcini di un caratteristico verde.
L'industria Borsari, attiva ancora oggi sebbene non negli eredi dei Borsari, ha nell'Acqua di Parma il suo cavallo di battaglia e a lungo è stata una ditta conosciuta e famosa, come testimoniano i bellissimi manifesti liberty che sponsorizzano il prodotto.
L'Acqua di Parma, esportata in tutto il mondo, è particolarmente adoperata in Inghilterra e Germania, viene considerato un profumo di gusto che esprime classe ed eleganza senza risultare eccessivamente pesante.

La sua fragranza, è il caso di avvisarvi, risulta un po' retrò come lo Shalimar (è un esempio, il profumo non si assomiglia) di Guerlain poichè figlia di un tempo e di un gusto differente.
Anche se ha questa caratteristica, a mio avviso non è un profumo da vecchia, ma lo si può portare a qualsiasi età.


Note sull'Acqua di Parma
Portata in passato anche dagli uomini, ecco cosa ci scrive Oscar Wilde nel suo famoso romanzo Il ritratto di Dorian Gray

...Quella sera, alle otto e mezza, vestito con squisita eleganza e con un mazzolino di violette di Parma all'occhiello, Dorian Gray fu introdotto da servitori cerimoniosi nel salotto di Lady Narborugh.
Oscar Wilde, Il ritratto di Dorian Gray


Non metterei la mano sul fuoco che fosse portata abitualmente dai gentiluomini considerando le inclinazioni omosessuali di Wilde, tuttavia di sicuro lo era saltuariamente e per le occasioni particolari.

A Parma la violetta, dopo questi episodi, divenne il simbolo della città.

L'Acqua di Parma, famosa all'estero tanto da richiamare turisti venuti appositamente per comprarla, è quasi sconosciuta in Italia..

A Parma esiste il Primo Museo Italiano della Profumeria ma è chiuso da anni.

Oltre alla fragranza chiamata abitualmente Acqua di Parma esiste anche una casa profumiera che porta questo nome, ma che non ha a che vedere con la produzione dell' voluta da Maria Luigia, è anzi specializzata in acqua di Colonia.

A Parma è possibile gustare anche un tipico gelato alla violetta di Parma caratterizzato dal classico colore lilla e realizzato con i fiori di questa pianta. Per chi stesse storcendo il naso sull'ultima affermazione, vorrei ricordare che da sempre l'uomo consuma non solo le foglie e i frutti, ma anche i fiori delle piante, basti vedere quelli di zucchino, lo sciroppo di rosa, ecc.

Oltre al gelato, è una caratteristica tipica della città la violetta candita, da molti considerata una consumazione raffinatissima, quest'ultima però è gustabile anche nelle pasticcerie di altre città, specialmente quelle storiche (a Genova: Romanengo e Klaingutti le preparano entrambi).


Pregi dell'Acqua di Parma
Oltre che come profumo da signora, l'Acqua di Parma ha moltissime proprietà che spaziano in diversi campi.
Espettorante, antinfiammatorio, decongestionante, antisettico, stimolante della circolazione. L'olio essenziale di Violetta aiuta l'eliminazione del catarro, calma la tosse, decongestiona le pelli con problema di couperose ed è efficace nei casi di acne, foruncolosi ed eczemi. La Violetta agisce inoltre come decongestionante delle mucose della bocca e della gola. L’essenza viene usata per preparare profumi di qualità, poiché è molto costosa, e come sostanza aromatica nell'industria alimentare e in quel la liquoristica.

Contro la tosse:
In un recipiente con 1/2 litro di acqua bollente mettete 4 o 5 gocce di olio essenziale di Violetta. Copritevi il capo con una salvietta e aspirate il vapore per due minuti, riposatevi per un altro paio di minuti; ripetete l'operazione per tre o quattro volte.

Per acne, eczemi, dermatosi:
L'olio essenziale di Violetta non è irritante e potete applicarlo di rettamente sulla pelle. Meglio forse sarebbe diluire in 1 cucchiaio di olio di Mandorle dolci 3 gocce di essenza e massaggiare delicatamente la zona che presenta il problema..

Bagno per riattivare la circolazione:
Nell'acqua della vasca aggiungete 15 gocce di olio essenziale di Violetta. Rimanete immersi per un quarto d’ora, venti minuti.

Violette candite
Lenire il dolore:
In caso di dolori muscolari sono efficaci massaggi con un olio a base di essenza di violetta.
L'acido salicilico contenuto lenisce i dolori e diminuisce i crampi e le tensioni muscolari.

Contro i gonfiori:
Un massaggio delicato con l'olio di violetta diluito, eseguito sull'addome, aiuta ad andare di corpo e ridurre i gonfiori di stomaco.

Senza contare che...
Il profumo dell'olio essenziale di violetta è considerato afrodisiaco.


Sitografia
Parma Color Viola
Parmaitaly.it - Violetta di Parma
Ciao.it - Opinioni sulla Violetta di Parma
Ciaffi - Le violette di Maria Luigia
Forumalfemminile - Violetta di Parma Borsari/Discussione sul target
Olio essenziale di violetta
Essenza di violetta

Spero che l'approfondimento sia stato interessante, ci sentiamo presto, baci a tutti!




Mauser

22 settembre 2010

Cremorne Gardens

Ciao a tutti!
Spero che stiate bene, io sono un po' euforica perchè oggi ho preso decisamente più caffè di quanti sarebbe consigliabile per la salute di chiunque.

Nello specifico, vorrei iniziare con una domanda: quanti giardini di delizie pensate siano stati a Londra tra Settecento e Ottocento?
Non vuole essere una domanda polemica, ma dopo aver scritto dei Vauxhall Gardens, di cosa ne fu e, successivamente, dei Ranelagh Gardens, comincio davvero ad averne piene le tasche di questi parchi giochi.
Ma questi victorians non facevano altro che andarsene a spasso e divertirsi in tempietti cinesi, padiglioni con musica e fuochi d'artificio?

Vabbè, gironzolando per la rete, mi sono imbattuta negli ennesimi giardini, ecco quindi che oggi parlaremeo dei Cremorne Gardens.


Sotria e costruzione
Anche questa volta il nome dell'attrazione deriva da una persona, nello specifico Thomas Dawson, Lord Cremorne; sua era infatti la terra di alcune iarde ad ovest del vecchio Battersea Bridge, dove sorgeva la struttura. Attualmente il terreno che all'epoca era assegnato ai giardini si trova nel quartiere di Chelsea, incastrati tra Chelsea Harbour e King's Road.

Dell'originale rimangono solamente alcune vestigia e il canale accanto al quale scorre la passeggiata di Cheyne Walk.

La freccia gialla indica il punto esatto


I Cremorne Gardens vennero spesso designati come i successori di Kruper's, dei Vauxhall e dei Ranelagh, questo perchè, a differenza delle attrazioni appena nominati, la loro creazione e ascesa a istituzione della bella vita londinese avvenne quando gli altri giardini erano ormai tutti quasi completamente distrutti o in piena decadenza.
I Cremorne rappresentano un revival del genere che, dopo la chiusa dei Vauxhall e il fallimento dei Ranelagh, cominciava ad essere passato di moda, un diversivo e passatempo non più apprezzato. Il loro periodo di attività si colloca infatti tra il 1845 e il 1877.

L'appezzamento in origine costituiva una residenza suburbana della famiglia del Conte di Huntigdon, che lo fece costruire nel 1750; successivamente la proprietà passò per diverse mani, finchè divenne parte delle proprietà di Lord Cremorne, visconte.



Il luogo si rivelò ideale per trascorrere momenti di pace e relax fuori dalla grande città, ma comunque sufficientemente vicini per farvi ritorno in poco tempo; questa caratteristica del trovarsi fuori ma non troppo dalla capitale fu una delle carti vincenti della struttura, che non era inglobata nel reticolo stradale cittadino, caotico e sovraffollato, ma permetteva una piacevole evasione dalla confusione metropolitana.
Lord Cremorne migliorò molto la casa e il parco, rendendolo un luogo raffinato e piacevole, ma non ancora un giardino di delizie, prospettiva che non rientrava certo nei suoi programmi.

Agli inizi dell'Ottocento la residenza fuori città di Lord Cremorne, all'epoca ancora conosciuta col suo nome originale di Chelsea Farm (farm significa fattoria, il che ci rende l'idea di quanto ancora fossimo distanti dal prodotto finale), non si era ancora convertita a polo d'attrazione, ma si trattava di una semplice villa di cui, ci viene detto, furono spesso ospiti Giorgio III, la Regina Charlotte e il Principe Reggente.

Nel 1825 la casa e il territorio furono abitati da Mr Granville Penn, un cugino di Lady Cremorne, che migliorò uleriormente le condizioni dell'abitazione e del parco.
La naturale bellezza dei giardini, del parco e la vista data dalla posizione, convinsero Mr Penn ad aprire, poco per volta la struttura.
Inizialmente solo il piccolo circolo ippico, successivamente vennero sistemate i giardini, la tavernetta venne ingrandita

Il genere di attrazioni offerte dai Cremorne non fru diverso da quello degli altri predecessori, si contavano il tempietto cinese, padiglioni con la musica, alcuni gazebo con un piccolo drappello di musicisti, spettacoli pirotecnici e giochi di luci lungo i vialetti del parco.

Il fiore all'occhiello dei Giardini, comunque, erano gli splendidi e giganteschi palloni aerostatici ancorate ai viali e su cui si poteva salire e ammirare il parco e la città dall'alto.
Le mongolfiere erano davvero grandissime e colorate e in moltissime rappresentazioni dei Cremorne's se ne vedono ritratte.

La strada principale che percorreva il parco era King's Road ed è ancora percorribile a piedi da Sloane Street; il nome deriva probabilmente dal tempo della restaurazione monarchica di Carlo II durante il XVII secolo, dopo il periodo del Protettorato di Cromwell quando, per celebrare il ritorno del governo monarchico-parlamentare, molte strade e luoghi della capitale e dei dintorni presero o il nome di sovrani oppure riferimenti evidentemente realisti.
Inizialmente King's Road era poco più di un sentiero che si snodava tra i campi coltivati e i prati, solo successivamente acquisì maggiore importanza quando venne designata come collegamento preferenziale tra Whitehall, la Casa Bianca inglese, e Hampton Court, una delle residenze fuori Londra del re. King's Road rimase una strada privata, carrozzabile solo sotto pagamento di pedaggio, fino al regno di Giorgio III


Percorrendo l'attuale King's Road si può trovare una sala da tè nominata Wolrd's End, il nome deriva probabilmente dalla casa da tè che si trovava all'interno dei Cremorne, non sopravvissuta, che portava la stessa insegna.


Note
Ispirandosi ai Cremorne Gardens di Londra, sono stati costruiti altri diversi giardini che portano lo stesso nome in giro per il mondo, di questi i più famosi sono senz'altro i Cremorne Gardens di Melbourne (del 1856) in Australia, e quelli di Richmond, in Virginia (1933).



Link e bibliografia
Wikipedia EN - Cremorne Gardens
Victorianlondon - Cremorne Gardens
British History Online - Chelsea ~ Cremorne Gardens


Bene, anche per oggi ci salutiamo qui,
io spero che l'approfondimento sia stato interessante, baci a tutti





Mauser




Mappa completa dei Cremorne Gardens nel loro momento di massima estensione


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