31 gennaio 2012

I gioielli sopravvissuti della Reine

Cari lettori,
prendendo spunto da un commento ricevuto di recente torno un po' sulla tematica dei gioielli, soffermandomi su un personaggio che sapete non adoro molto, Maria Antonietta, ma che fu indubbiamente una donna di una certa rilevanza anche in ambito estetico e culturale e che è conosciuta per aver posseduto una buona collezione di gioielli.
Nonostante questa nomea e lo scandalo della collana che da tre secoli incombe sul capo (ormai mozzato) della Reine, Antonietta spendeva molto più di abiti, accessori e divertimenti piuttosto che di gioielli, personaggi come l'Imperatrice Eugenia o alcune principesse russe sono riuscire a totalizzare tre volte la cifra della Regina di Francia in materia di gioielleria.

Maria Teresa d'Austria,
madre di Toinette con
vistose perle al collo
Si sa che Antonietta amava le perle e la si può vedere spessisimo ritratta con al collo uno, due o tre fili di perle, quasi tutte di grossa dimensione.
Quasi tutte le donne Asburgo amavano questo genere di gioiello a cominciare dalla madre, infatti nelle caricature di Maria Teresa questa è spesso raffigurata con perle grosse come uova di piccione che le stringono il collo e cammei come pendenti. Come dimostra la fotografia affianco e potete accertare voi stessi, c'era di che ispirarsi per una caricatura di un'imperatrice che quanto a potere e girovita poteva fare concorrenza a Cixi, il "Grande Buddha" (cito dal film di Bertolucci L'ultimo imperatore).

Comunque i ritratti e i presunti gioielli non sono il tema del presente post dove vorrei invece parlare dei sopravvissuti. Ovvero di quei gioielli che sono scampati alla Rivoluzione e noi possiamo ammirare e veder sbrilluccicare dietro teche di vetro protettivo.


Orecchini a pera
Li avevamo già conosciuti in precedenza nel post a loro dedicato (lo ammetto, mi hanno stregata), quindi non credo sia il caso di soffermarci oltre e proseguire con i prossimi candidati. Una cosa che mi ero dimenticata di dire nel post a loro dedicato era che quella Zenaida Yusuppova che li ottenne fu la moglie di un certo Felix Yusuppov che, a quanto pare, organizzò la congiura per uccidere Rasputin, guarda un po' come è piccolo il mondo...


Tiara e collana
Un particolarissimo abbinamento di una tiara moderatamente piccola (anche se molto preziosa) con una collana enorme. Non si tratta di gioielli per le occasioni ufficiali, ma sfoggiati durante particolari eventi a Versailles che richiedevano formalità e corone senza scomodare il tesoriere reale.


Il diamante blu
Questo splendido anello che ad un occhio inesperto può apparire uno zaffiro può invece vantare incastonato uno splendido diamante grigio-blu.
La Reine lo portò con sè dall'Austria alla corte di Francia e non fece mai parte della collezione dei gioielli della corona, ma trattandosi di un pezzo "personale" viene considerato parte della collezione privata della Regina. Poco si sa circa la sua provenienza, dopo Antonietta l'anello passò nelle mani di una sua cara amica, la Principessa Lubomirska la quale, alla morte senza un figlio maschio, divise il patrimonio tra le quattro figlie femmine. Riapparve nel 1955 alla mostra a Versailles Maria Antonietta: Arciduchessa, Delfina e Regina. Nel 1893 venne battuto all'asta da Christie's, ma rimase invenduto.
Fa (giustamente) parte della lista dei più famosi diamanti del mondo.


La collana medievale con perle

Una splendida creazione dal sapore vagamente medievale e dalla foggia "a stella" ornata di diamanti e grosse perle ad ogni punta. A mio avviso si tratta di un'opera molto graziosa e ricorda un po' certe creazioni vintage e steampunk moderne.
In realtà solo le perle appartenevano a Maria Antonietta che le diede a Lady Sutherland insieme ad una borsa di altri suoi gioielli di minor valore da portare con sè in Inghilterra (come moglie dell'ambasciatore inglese godeva dell'immunità diplomatica e fu rimpatriata all'inizio della Rivoluzione) nella speranza di riaverla una volta conclusa la bagarre politica.
Le cose andarono diversamente e, certi che non sarebbe certo tornata a reclamarle, la famiglia Sutherland nel 1849 aggiunse le perle ad una splendida collana in occasione di un matrimonio.
La collana è in oro giallo con rubini e perle.


La piuma del compromesso
Questa meravigliosa spilla in diamanti fu regalata da Luigi XVI alla moglie perchè smettesse di indossare piume tra i capelli. Secondo il re questi ornamenti erano antiestetici, oltre che molto costosi: pare che il re sperasse con questo dono che la moglie limitasse le sue bardature alla sola spilla, tra l'altro fatta realizzare con diamanti appartenenti alla collezione di Luigi quando era Delfino e che, quindi, non sarebbero andati ad incidere sul bilancio (già disastroso) della casa reale.
D'altra parte in casa serve sempre qualcuno che tenga sott'occhio le spese...


Il diamante Hope
Molti credono che questo gioiello porti sfortuna. Superstizione a parte, il diamante è appartenuto alla collezione della reine che lo sfoggiò in diverse occasioni ufficiali. Il diamante fu sequestrato dopo la tentata fuga dei reali dalla Francia (finita male), ma nel 1792 venne rubato. Se ne ritrovano le tracce solo dieci anni dopo a Londra dove pare fu acquistato da Giorgio IV e poi rivenduto per saldare i debiti (Giorgio IV era notoriamente spendaccione e con debiti per tutto il regno) finendo nelle mani di Henry Philip Hope, da cui prese il nome. Fu nuovamente venduto a causa di debiti nel 1901 dal nipote di Hope e per tutto il Novecento passò da un proprietario all'altro e quasi tutti lo rivendetto per non fare bancarotta, finchè nel 1958 fu acquisito dallo Smithsonian Institute.


Il diamante Régent

Il diamante Régent è uno dei più famosi ed enormi diamanti del mondo. Fu scoperto nel 1701 in India e successivamente acquistato dal governatore di Madras Thomas Pitt per 100.000$.
Successivamente il diamante fu acquistato per 135.00£ da Filippo II, Duca d'Orleans all'epoca Reggente della corona e da allora entrò a far parte dei gioielli della corona di Francia; proprio dal suo primo acquirente francese la pietra prese il suo attuale nome.
Successivamente venne impiegato per l'incoronazione di Luigi XV e la vanitosa Maria Antonietta ne fece una decorazione per il suo cappello di velluto nero. Dopo la Rivoluzione il diamante continuò ad essere usato da Napoleone che lo incastonò sull'elsa della spada; venne usato anche da Carlo X alla sua incoronazione e il diadema greco dell'Imperatrice Eugenia fu riprogettato per ospitare la gemma. Attualmente si trova conservato al Louvre di Parigi.


Purtroppo non sono riuscita a reperire altre informazioni sui gioielli superstiti, ma se voi ne avete fatemi sapere, aggiornerò molto volentieri il post ^__^

Un bacione e a presto




Mauser

27 gennaio 2012

John Stuart Mill e Harriet Taylor

Cari lettori, nella mia storica rubrica delle biografie raramente mi sono soffermata a parlare di coppie, un po' perchè il tema del matrimonio nel passato non era un esempio edificante di amore e devozione e un po' perchè di coppie veramente affiatate se ne incontrano davvero poche.

Oggi cambiamo registro, parliamo di una coppia, due persone non molto conosciute e discretamente importanti nella filosofia britannica vittoriana che si possono definire come un connubio quasi perfetto di caratteri e passioni.
John Stuart Mill e Harriet Taylor
Introduciamo ai nostri gentili lettori John Stuar Mill e Harriet Taylor.
Sono certa che il primo, in un modo o nell'altro, l'avrete sentito nominare, specialmente se nella vostra vita avete avuto contatti di una certa profondità con le opere sociali di Dickens, come Tempi difficili. John Stuar Mill è infatti uno degli appartenenti del cosiddetto pensiero utilitarista che sponsorizzò per tutta la vita sostenendo che la finalità di tutto ciò che si fa deve essere finalitta ad ottenere una qualche forma di utilità materiale nella vita, un pensiero duramente condannato da Dickens, il quale ribadiva che l'immaginazione e la fantasia fossero componenti imprescindibili della natura umana ed esemplifica la sua posizione proprio nel romanzo detto poc'anzi, nel quale l'unico personaggio non del tutto assoggettato a questa filosofia, Sissy, è l'unica che ottiene un finale degno rispetto ad altri i cui i deali vengono completamente distrutti, e non perchè si sia in qualche modo conquistata la felicità, ma perchè è la vita che l'ha premiata per il suo modo di essere e fare piuttosto che ricondurre tutto ad un guadagno di qualche tipo, sebbene non necessariamente economico.


John Stuart Mill
Indubbiamente dei due coniugi John è il più famoso e conosciuto. Il nostro Stuart Mill nacque a Pentonville nel 1806; la filosofia è nella sua vita fin dall'infanzia essendo a sua volta figlio di un filosofo, James Mill.

James Mill, forse il primo a realizzare il pensiero utilitarista sviluppato da Bentham, fa del suo figlio maschio l'esemplificazione di questo credo, crescendolo ed educandolo secondo rigidi e rigorosi principi di rettitudine morale e di guadagno da qualsiasi circostanza.
Non si sa se per particolare influenza paterna o per inclinazione personale, JS Mill fu un bambino molto preoce nelle materie scientifiche, a tre anni, per esempio, aveva già assimilato importanti concetti e nozioni matematiche. Continuò a studiare fino ai vent'anni dimostrandosi volenteroso all'eccesso, dedito alla consultazione e al commento dei classici latini e greci quando era poco più che ragazzo ed entrando nel mondo della filosofia appena sedicenne con l'aiuto degli amici paterni Ricardo e Say, la sua vena filosofia divenne particolarmente evidente durante il suo soggiorno francese.

A vent'anni, però, cade vittima della depressione e di alcune opinioni religiose che gli impediscono di frequentare le due università più famose del Regno Unito (Oxford e Cambridge). Per molto tempo lavorò presso la British East India Compagny, seguendo le orme paterne e mantenendo l'impiego fino al suo definitivo trasferimento francese presso Avignone dove intrattenne rapporti con Auguste Comte e Alexis de Tocqueville, entrambi eminenti filosofi del positivismo e del liberalismo.

Dopo la morte dell'amatissima consorte, JS Mill tornò in Gran Bretagna dove per anni fu rettore della St. Andrews, la più importante università di Scozia [e dove, cito per gossip, si sono laureati anche il Principe William e Kate Middleton].
Il suo pensiero utilitarista subì una deviazione dal canone classico, specialmente in materia economica e in merito al consequenzialismo (per il quale l'unico criterio normativo sono le conseguenze e perciò si oppone alle etiche deontologiche che invece si fondano sul senso del dovere di chi agisce e che intendono la morale come autonoma, che ha cioè la legge di sé in se stessa e che non può essere condizionata da nulla che intervenga dall'esterno) definito da Bentham, dal quale si distaccò pubblicamente.

Sebbene il filosofo venga spesso definito un liberale classico, ci sono opinioni discordanti in merito a causa di alcune sue posizioni in materia di libero mercato che lo allontanano dalla dottrina classica.

Ritratto di John Stuart Mill
Ma il filosofo più grande e che maggiormente influenzò il suo pensiero e i suoi scritti fu senza dubbio la moglie Harriet Taylor, di idee ugualitarie e femministe che riuscì a convertire il marito alla propria filosofia portandolo a sostenere una tesi di uguaglianza e totale parità dei sessi all'interno dei matrimonio.
È da dire che le intenzioni di Harriet erano davvero delle migliori e non basate sul mero raggiungimento di un'ideologia di uguaglianza, ma soprattutto della sua messa in pratica; esse erano incentrate sulla creazione di un clima familiare pacifico e senza ricatti di posizione. Uscita infatti da una famiglia autoritaria e governata da un padre-padrone, entrò in un primo matrimonio non precisamente idilliaco pur di sfuggire all'autorità paterna. Il matrimonio però si rivelò una catena impegnativa quando incontrò Mill del quale si innamorò: ci vollero vent'anni prima che i due innamorati riuscissero a coronare il loro sogno d'amore e questa circostanza si presentò solo a seguito della morte del primo marito di lei.
Sebbene meno conosciuta di Mill, Harriet Taylor è un personaggio ugualmente molto importante e non solo per il legame con il filosofo.


Harriet Hardy Taylor Mill
Nata nel 1807 da Harriet e Tom Hardy, un medico e veterinario di campagna, Harriet non si configurò da subito come filosofa, scrittrice o letterata, ma mantenne un certo anonimato fino all'ufficializzazione della sua relazione con Mill.

A diciassette anni Harriet, oppressa da una famiglia patriarcale dove il genitore aveva qualunque potere decisionale sulla moglie e i figli (erano in sette) decise di sposare John Taylor, un borghese influente e molto più grande di lei che le diede tre figli, ma con cui il matrimonio non rappresentò mai il coronamento di un amore o di una passione.
La prima formazione filosofia di Harriet le venne dalla religione: essendo di fede unitaria come il primo marito, la donna si accostò al loro pastore spirituale, il quale oltre che religioso era anche un filosofo che si dedicava alla pubblicazione su una rivista, il Monthly Repository, il quale sponsorizzava anche le prime idee femministe in corcolazione in Inghilterra.
Proprio il pastore William Johnson Fox la presentò per la prima volta a Stuart Mill, dando inizio ad una delle storie d'amore più belle e reali della filosofia.
Stuart ed Harriet erano legati dalla medesima visione dell'esistenza, da posizioni simili e da comuni vedute politiche e di ideali. Senza un matrimonio di troppo ad ostacolarli sarebbe potuta essere la passione perfetta, ma così non fu infatti Harriet non fu mai intenzionata a porre fine al suo primo matrimonio, specialmente per via dei tre figli avuti da Taylor, inoltre le sue condizioni di salute aggravate dalla tisi contribuirono ad allungare la tremenda separazione dei due innamorati.
Nel 1833 John ed Harriet Taylor si separarono lentamente, sebbene mai ufficialmente, lei visse insieme alla figlia Helen, della Lily, mentre il marito cresceva i due eredi maschi: Herbert e Alvernon. Durante il periodo di separazione dal marito la Taylor e Mill continuarono a frequentarsi, ciò portò a diversi scandali nella società benpensante dell'epoca nonostante i due sostenessero entrambi che la loro era una relazione puramente intellettuale, questa posizione era scarsamente riconosciuta anche per i molteplici viaggi che Mill e Harriet condussero insieme.

Nel 1849 John Taylor morì di cancro e due anni dopo, osservando il periodo di lutto canonico, la sua vedova sposò Stuart Mill dopo un "corteggiamento" durato quasi vent'anni. Dopo un primo periodo londinese entrambi si trasferirono in Francia, ad Avignone.

Harriet Taylor
Specialmente durante la sua vita adulta e in contatto col mondo filosofico di Mill, la Taylor abbozzò le sue idee femministe, riuscendo a convertire il marito al proprio ideale. Il suo obiettivo al riguardo era di raggiungere una completa parità dei sessi su tutti i fronti, definiti nell'istruzione, nel matrimonio e nella giurisprudenza.
La sua influenza sul marito è particolarmente evidente nella sua ultima opera: L'asservimento delle donne, così come nella sua ammissione che la moglie scrisse e redasse un intero capitolo del suo Principles of political economy, dimostrando al mondo non solo la devozione di un marito innamorato, ma anche un grande rispetto per la sua intelligenza e le sue idee.

Harriet non fu donna particolarmente prolifica, si ha infatti ben poco di suo a parte alcune parti dei libri del marito, ma come produzione propria essa è estremamente limitata. Di questa sono particolarmente significative le sue lettere di protesta contro giornali e quotidiani contro casi di vessazione e violenza domestica nei confronti delle donne o di ingiuste risoluzioni giuridiche sullo stesso tema. Il più famoso episodio è quello apparso sul Westminster Review sotto il nome di John Stuart Mill (in realtà scritto da lei) e intitolato The Enfranchisement of Women.

Harriet si spense ad Avignone nel 1857 a causa della tubercolosi e la sua perdita fu pianta inconsolabilmente dal marito.
Insieme i due coniugi avevano dato vita ad una filosofia "a due" molto progredita per il tempo e nel loro ambiente domestico erano riusciti a ricreare quella parità di cui ancora si favoleggiava nei circoli delle suffragette. Agli occhi di Stuart Mill sua moglie era a tutti gli effetti una sua pari. 

Caso più unico che raro, in Italia è stato portato da Einaudi uno splendido saggio intitolato Sull'uguaglianza e l'emancipazione femminile scritto a quattro mani dal filosofo e dalla moglie, purtroppo rimasto incompiuto a causa del decesso; lo scritto venne poi ultimato dal filosofo in collaborazione con la figlia di Harriet, Helen Taylor, a sua volta suffragetta e attiva nel campo dei diritti femminili. 
Sebbene quasi sconosciuto ai non introdotti nel campo filosofico, Sull'uguaglianza e l'emancipazione femminile è un titolo davvero molto interessante da leggere e la questione dell'emancipazione viene trattata non solo idealmente, ma anche con riscontri pratici del vantaggio che essa può portare ad un nucleo familiare, come una migliore distribuzione dei compiti domestici o lavorativi in un modo che ricorda il mondo moderno dove anche gli umini cucinano e quasi tutte le donne lavorano fuori casa e il loro ruolo non è più subordinato né relegato alla cura della casa e dei figli.
Un altro punto su cui Harriet era molto critica era la dipendenza economica delle donne che solo in pochi casi avevano la possibilità di guadagnarsi il denaro necessario per sopravvivere o per contribuire alle spese di casa. Questa forma di dipendenza era degradante per la società e per il sesso femminile che si vedeva sempre e comunque sottomesso.
Non solo ma in un clima egualitario, secondo Mill e Harriet, si potrebbero diminuire i casi di abuso e soppruso tra le mura domestiche dovuti al senso d'inferiorità che caratterizza la condizione femminile vittoriana. Se la donna ha pari diritti e dignità di un uomo, probabilmente non si sentirebbe costretta a sopportare in silenzio certe forme di violenza.

Purtroppo la stessa Storia che ci parla di Stuart e Harriet Mill è anche maestra di come questa teoria, per buona che fosse, implicava concetti difficili da accettare nella società, il Novecento ne è stato l'esempio quando finalmente le donne ottenero pari diritti degli uomini, ma questo riconoscimento non fu accettato dagli uomini dell'epoca; il passaggio e lo scambio culturale, si sa, sono temi difficili da introdurre e ancor più da applicare. Perfino oggi, anni Duemila, dove il ruolo femminile è riconosciuto al massimo, dove una donna può ricoprire tutte le posizioni di un uomo ci sono padri e mariti che costringono le mogli e le figlie a forme di mortificazione fisica o psicologica.

Se foste interessati ad approfondire l'opera di questi due personaggi così affascinanti, vi lascio diversi testi di consultazione


Bibliografia e sitografia
Harriet Taylor, John Stuart Mill, Sull'uguaglianza e l'emancipazione femminile 
John Stuart Mill, La libertà, l'utilitarismo, l'asservimento delle donne
John Stuart Mill, Saggi sulla religione
Jo Ellen Jacobs, The voice of Harriet Taylor Mill

Stanford Encyclopedia of Philosophy | Harriet Taylor Mill
Bollettino telematico di filosofia politica | J.S.Mill, H. Taylor, Sull'uguaglianza e l'emancipazione femminile
Spartacus Educational | Harriet Taylor
Macalester College | Harriet Taylor Mill
eNotes | Harriet Taylor Mill

Spero che l'approfondimento sia stato interessante e, per gli addetti del settore filosofia, spero davvero di non aver detto castronerie troppo grandi, purtroppo io non ho mai avuto la possibilità di approfondire questa materia a scuola e quindi sono vittima di gravissime lacune.

Un bacio grande e alla prossima




Mauser

24 gennaio 2012

Versatile blog award 2011

Cari lettori,
oggi niente approfondimenti per noi, ma un grande ringraziamento a Erica del blog La Leggivendola, Silvia di Banana e cioccolato, Arianna di Libri, le ali della fantasia e Harue di BookEmpathy per aver citato il Georgiana's Garden per il  Versatile blog award, un premio per i blog più apprezzati.

Sono estremamente orgogliosa e onorata di averlo ricevuto, specialmente da persone tanto colte, ma anche simpatiche, che scrivono delle splendide recensioni letterarie che sfuggono dai soliti canoni di scelta dei titoli, ma spaziano in mille e più generi e argomenti. Adoro i questi blog perchè è freschi e alla mano e si possono scoprire un sacco di volumi interessantissimi per allungare ancora un po' la wishlist con cui potrei già tappezzare il tragitto Roma-Tokyo un paio di volte.
Grazie di cuore!

Tra l'altro sono anche tanto simpatiche da non farmi pesare il fatto che ogni tanto faccia delle gaffes spaventose e non sappia più concordare una banale frase soggetto-verbo-complemento (scusatemi)
m(_ _)m <- mi prostro umiliata

Il regolamento del premio prevede inoltre i seguenti punti:
- Ringraziare chi ha elargito il premio
- Selezionare altri 7 blog a cui passarlo
- Scrivere 7 cose di sé

ed io sono strafelice di cominciare la mia opera cominciando con un po' di fatti miei.
Ammetto ormai di essere abbastanza a corto di idee, ma farò del mio meglio.

1) Lo smalto che ho sulle mani è lo specchio del mio umore.
Ho cominciato a laccarmi le unghie veramente tardissimo rispetto alle mie caleidoscopiche amiche che sfoggiavano tinte extra-colorate e mi facevano morire d'invidia, mentre i miei genitori erano più che contrari, ma alla fine si sono dovuti rassegnare. Cambio colore a seconda della mia inclinazione d'animo e con una frequenza abbastanza alta, mi piace decorare le mie opere con disegnini e striscette e variare un po' alle volte.

2) La cosa che mi manca di più dell'ufficio quando non ci vado è il senso dell'umorismo tra colleghi. Se pensate che Camera Cafè sia solo una sit-com allora dovreste fare un giro da noi, siamo tutti abbastanza pazzi (o stravaganti) da far spanciare dal ridere.

3) Mi piacciono le scarpe col tacco, specie se alte, particolari e di colori strani perchè sono una persona dallo stile classico e ogni tanto bisogna spezzare un po'; le porto un po' per cammuffare la mia altezza non precisamente definibile con quel termine, e un po' per il senso di sicurezza e superiorità che riescono ad infondere.
Ultimamente sto sviluppando una certa inclinazione per le scarpe rosse e per le mary-jane.
Le uniche scarpe a tacco alto che non mi piacciono sono le peep-toe perchè mi danno l'impressione di volgarità e odio quando dalla fessura spunta un dito con la cucitura della calza: osceno.

4) Un uomo che non sa indossare camicia e cravatta non è un uomo. Questo è il mio credo.

5) Il mio film Disney preferito è La bella e la bestia perchè non si ferma a giudicare alle apparenze ma guarda ai sentimenti e a ciò che si ha nel cuore.

6) Sono molto schizzinosa sulla roba da mangiare,  prevalentemente carnivora non solo per scelta ma perchè trovare un verdura a mio avviso commestibile è difficilissimo.
Il mio piatto preferito è la pasta al pomodoro, liscia, classica. Il mio dessert la torta all'arancia, anche quella Bofrost, anche se devo ammettere che ultimamente ho una pessima inclinazione al tiramisù

7) Mi piace cantare mentre sono in macchina, ma da sola perchè credo di essere la persona più stonata dell'universo conosciuto. Non ho alcun talento per la danza e la mia coordinazione braccia-gambe ha raggiunto picchi storici di inesistenza.



Sette blog da premiare
- Cipria e Merletti: l'intimo salottino di Irene e Alessia è un vero toccasana dopo una pesante giornata di lavoro! I loro post sono sempre curati, deliziosamente sensibili e ricchi di spunti e osservazioni. È uno dei luoghi più adorabili della blogosfera

- Non sarei una vera amante delle scarpe se non mettessi un blog di scarpe, ecco quindi Il gomitolo di Lodi che mi ha fatto scoprire le mie nuove fav shoes: le mary-jane double straps di Miu Miu, collezione 2007

- Sempre seguendo le mie passioni cito anche The Book-Lover, una scoperta assolutamente affascinante e fantastica ricca di anteprime, curiosità e informazioni sui libri usciti o in uscita. Davvero non so come si possa stare dietro ad una simile mole di materiale!

- Ancora per l'ambiente letterario nomino Romanticamente fantasy, urban fantasy, paranormal romance & co. ricco di spunti per delle letture che coinvolgano tutti i tipi di creature fantastiche.

- Ancora libri con Reading at Riffany's, anche questo un delizioso angolo della blogosfera dedicato ai libri e ai loro appassionati e ricco di interessanti anticipazioni e recensioni.

- Legato ai libri, ma in maniera trasversale è Allan Kass Book Covers, un blog dedicato a tutte le splendide realizzazioni di questo autore di cover da romance. Lo trovo adorabile e aspettosempre trepidante le nuove uscite.

- Fastidious Notes on Morbid Fanfictions è il miglior blog/sito di recensioni online del Tempio delle Fanfic, specializzato nel potterverse e nello sviscerare storielle al limite della demenza tra le quali spero sempre di non riconoscere anche le mie =)
Ilarità garantita per tutta la durata della lettura.

Un baciog rande a  tutti i lettori




Mauser

16 gennaio 2012

La cravatta Ascot

Cari lettori, oggi voglio entrare un minimo nel dettaglio dell'argomento cravatta che avevo già trattato qualche tempo fa, andando ad analizzare una particolare foggia di questo accessorio che fu molto in voga durante l'epoca Georgiana prima e Vittoriana poi.
La cravatta Ascot.

Il nome di cravatta Ascot arriverà solo con l'estrema popolarità che la corsa dei cavalli omonima acquisì a partire dalla Reggenza e dal fatto che fosse impiegata non solo dai presenti, per i quali sussisteva una rigida etichetta di outfit, ma anche dai fantini che gareggiavano, la cravatta Ascot è infatti diffusa ancora oggi nel mondo dell'equitazione, specialmente di quella in abito storico.

Un'illustrazione tardo-vittoriana mostra
un uomo che indossa la cravatta Ascot
Prima dell'epoca tardo-vittoriana o edoardiana in cui acquisì il nome di cravatta Ascot, questo particolare indumento era definito plastron ed era ugualmente molto diffuso, sebbene con qualche differenza estetica.
Il nome dice chiaramente che non si trattava di un'invenzione britannica, ma francese, e la sua entrata in auge nella moda maschile è secentesca.

In origine il plastron era una sciarpa da collo maschile, i materiali in cui era fabbricata variavano dalla seta al cotone, broccato e damasco erano molto in voga, i colori un po' meno dato che il  bianco era l'unico consentito dall'etichetta.
La sciarpa era più larga verso i lembi, tagliati diritti e ornati di pizzo alla maniera iberica, e sottile nella parte dove rimaneva sotto il colletto.
Il plastron era passato sotto gli ampi colletti quadrati dell'epoca e annodato tramite un nodo piatto sul davanti, dove le due ali del colletto si aprivano coprendo le spalle. I due lembi così ottenuti venivano sovrapposti o annodati e lasciati penzolanti a coprire il davanti della giubba.
Il modo di annodare il plastron non differisce molto da quello che si adopera ancora oggi per i foulard da uomo infilati nella scollatura della camicia.

A tal proposito il nome plastron deriva dall'impiego miliatare di suddetto ornamento, dove i due lembi, che cadevano coprendo il petto, nascondevano proprio una parte dell'armatura definita piastra per la sua foggia, termine che in francese era plastron.

Durante l'epoca Regency la moda variò, anche se minimamente.
La cravatta Ascot concesse più sfumature bianco panna o grigio chiaro oltre al canonico candore immacolato. I lembi divennero a punta anzichè tagliati dritti e persero i loro ornamenti in pizzo e macramè irrimediabilmente passati di tendenza con lo stile minimalista e impero.
Un tutorial a figure per annodare la cravatta Ascot
La moda regency in fatto di fazzoletti e cravatte era molto più elaborata di quella vittoriana che prediligeva linee diritte e sobrietà nella piega.
Il modo di annodare il fazzoletto/cravatta, che all'epoca non aveva ancora subito la sua separazione definitiva (cfr. La cravatta), rimase simile al passato, ma il materiale e la nuova moda dei fazzoletti da collo alti e importanti, particolarmente apprezza da Lord Brummell, fece sì che la parte non annodata fosse rimboccata nello scollo della redingote o della giacca, conferendo all'indumento un'aria soffice e voluminosa sotto il collo, esattamente ciò che facciamo anche noi con la sciarpa invernale quando è annodata.
Poichè difficilmente la cravatta sarebbe rimasta in quella posizione a lungo [causa forza di gravità], per mantenerne la forma e il volume si incominciò ad adoperare una spilla o spillone che la bloccasse in una precisa forma. Lo spillone non doveva essere vistoso e la capocchia sufficientemente discreta da non essere giudicata pacchiana, generalmente era formato solo da un'asticella di metallo con un fermaglio che rimaneva sotto l'accessorio e una perla a vista di dimensioni accettabili..

Col trascorrere del tempo e l'inizio dell'epoca Vittoriana la cravatta Ascot mutò nuovamente. La lunghezza si accorciò notevolmente e i due lembi che in origine arrivavano anche sotto il petto si ritirarono di lunghezza fino allo sterno. La lunghezza di una cravatta Ascot può essere identificata come una via di mezzo tra la cravatta classica e il farfallino.
L'accessorio era sempre infilato sotto il colletto e annodato sul davanti in modi molto più aristocratici o complicati, masi mantenne l'effetto finale delle punte incrociate sul davanti e fissate tramite spilla.
Descriverlo è un po' difficile, ma sono certa che le immagini di realizzazione siano molto più chiare e i video più esplicativi di come annodare il tutto.
La spilla che fino a quel momento era stata portata in verticale iniziò ad essere disposta per orizzontale.



La nuova cravatta Ascot era adoperata sia dagli uomini che dalle signore, specialmente nella tenuta da amazzone che prevedeva linee più severe e diritte degli abiti a crinolina e tournure.
La cravatta Ascot, molto più rigida di prima, venne prodotta in diversi colori, il bianco decadde in favore di tinte più forti, blu, rosso, verde, anche se il canone per la storica gara di cavalli rimase sempre e solo il grigio e nessun altra nuance era consentita nel palco reale.

Oggigiorno le occasioni di indossare una cravatta Ascot sono davvero poche, anche perchè la sua foggia così aristocratica fa apparire la persona come una snob e pertanto si preferisce evitarla.
Nei circoli elitari di Ascot rimane ovviamente l'unico accessorio maschile concesso, sebbene sempre più personaggi emersi dalla plebaglia si presentino alle corse in cravatta o, cosa anche peggiore, smoking da pinguino bianco e nero che è un abito da sera, non da giorno.
Una cravatta Ascot indossata alla maniera vittoriana
L'abbinamento corretto sarebbe con il tight, pantalone lungo a volte a righini, panciotto e giacca a coda, ma le code non piacciono a tutti e bisogna saper indossare il tight senza sembrare ridicoli o un cameriere
finendo per fare la solita gaffe della camicia gialla all'Ikea, quindi un sempre maggior numero di persone cade nel tranello e s'infila lo smoking riciclato del matrimonio della sorella che non va assolutamente bene neppure ai matrimoni! Infatti il nero lo si porta di sera, mentre per il giorno è suggerito un grigio (dal tortora all'antracite) o un blu. Gli americani optano per colori più terricoli come verde scuro e marrone, ocra e siena, tuttavia i puristi, specialmente gli inglesi, li disdegnano senza ripensamenti trovandoli grezzi e provinciali.
Ad ogni modo per un Capodanno non troppo informale o una cena di lusso, a patto di saperla indossare con sufficiente disinvoltura, la cravatta Ascot fa sempre la sua figura. Naturalmente la regola è mai strafare. Assolutamente inappropriata per l'ufficio o un appuntamento dove rischierebbe di dare un'impressione troppo aristocratica e snob, ideale invece per le feste in giardino di stampo chic, ad esempio un matrimonio all'aperto o in una villa d'epoca, ma in quel caso prestare attenzione a non mettere in ombra lo sposo che potrebbe aversene a male. Generalmente la cravatta Ascot fa un effetto meno disdegnoso se indossata da uomini che hanno passato la sessantina, con capelli ingrigiti: a quanto pare il taglio della cravatta si abbina splendidamente al grigio dei capelli e a barba e baffi.

So che a fronte di quanto appena detto può apparire un po' strano, ma in passato la cravatta Ascot era considerata un accessorio maschile assolutamente informale.

Un'usanza che ha preso piede di recente è quella di impiegare la Ascot come cravatta da matrimonio per lo sposo. A differenza del nodo di cui abbiamo parlato prima, però, questa variante recente viene arrangiata con un tipico nodo da cravatta, un Windsor, un Albert o un Victorian. L'effetto finale è una cravatta dall'aspetto più voluminoso e più corta, il noso risulta arricciato e infatti nei paesi anglosassoni questo particolare effetto viene chiamato scrunchie, che significa arricciato.
In questo video un ragazzo spiega e mostra come creare questo particolare nodo


Io adesso vi saluto, spero che questo breve approfondimento sia stato interessante.
Vorrei ringraziare in particolare il mio papà, grande appassionato e fonte di millemila strambe cravatte, per l'aiuto che mi ha dato, ma soprattutto, per la sua faccia inorridita quando gli ho detto che per quel che ne sapevo io la cravatta Ascot era una cravatta da matrimonio... ecco da dove è nato tutto, il suo senso del dovere nello spiegarmi che in effetti non era esattamente così.




Mauser

10 gennaio 2012

Una proposta indecente (di riclassificazione) by Emma Wildes

Avrete senz'altro notato che di recente sto pubblicando diversi post piuttosto easy su film e romanzi.
Sono il frutto di queste vacanze natalizie all'insegna del cinema e dei libri e sintetizzano bene il mio modo di reagire alle situazioni d'ansia (sto facendo i conti con un problemino che mi dà qualche pensiero di troppo), spero solo che questo 2012 appena iniziato non sia una continuazione dell'instabilità e precarietà che aveva caratterizzato l'anno precedente.
Dicevo, ho letto molto e guardato molti film e ho deciso di propinarvi alcune recensioni mentre mi dedico alla stesura di un post più impegnativo su uno degli argomenti più complessi che ho trattato fin'ora.
Il libro che ho deciso di recensire oggi è Una proposta indecente scritto da Emma Wildes.

Questo romanzo è stata una scelta piuttosto diversa dai libri che solitamente piazzo in libreria, so bene che spesso titoli romance si trovano sul mio scaffale di aNobii, con allarmante frequenza oserei dire, ma di solito non mi accosto a titoli che si propongono come romanzi erotici piuttosto che come mere storie d'amore perchè li trovo un po' incompleti. In questo caso non siamo davanti ad un simile libro, ma ammetto che confonderlo è fin troppo semplice e lo vedremo più avanti quando parlerò della Riclassificazione del volume.

La copertina italiana
I romanzi erotici (e non parlo di romance con scene molto hot come certi romanzi della Lindsey, ma di veri romanzi erotici) non sono il mio pane, anzi ci giro piuttosto al largo trovandoli volgari nella stragrande maggioranza dei casi, ma soprattutto insipidi perchè penso che sia riduttivo ricondurre un libro intero ad una questione fisica dove tutto vi ruota intorno: dove sta la trama? A me piacciono i libri pieni di intrighi, di difficoltà, di persone che brigano e s'impicciano e di faide tra clan e famiglie! Certo ci vuole anche l'amore, anche quello fisico, anche quello che a volte spiazza per descrizioni fin troppo vivide, ma non solo!
La trama è raccontare come si evolve il rapporto dal semplice sesso all'amore?
Anche il romance ha bisogno di essere adeguatamente contestualizzato, altrimenti rischia di risultare banale e, soprattutto, noioso a dispetto delle quindicimila scene spinte che può propinare.
Ecco quindi anche perchè molti romance risultano mediocri.
Un autore che ha compreso l'importanza del background e sceglie di dedicarsi al romance storico ricostruendo una certa ambientazione, deve lavorare sui personaggi e documentarsi molto altrimenti il risultato è pessimo, irreale, anacronistico, fastidioso nella sua sommarietà narrativa. E l'intera storia da cestinare.
A meno che non scatti l'empatia con i protagonisti, cosa che accade, la maggioranza dei romance storici è da buttare e io ne sono l'esempio lampante continuando a cercarne ed imbattendomi in orripilanti esempi di bassezza narrativa, come La saga dei Dillhorne oppure Intrighi a Penny House di cui vi avevo resi edotti in passato. Espedienti narrativi poco brillanti, situazioni che più triste non si può, luoghi comuni a iosa non fanno che peggiorare una trama debole tirata su solo per dire che Tizio si è innamorato di Caia perchè questo è quello che vuole leggere il lettore, solo che quest'ultimo spera sempre di riuscire, almeno un minimo, ad entrare nella vicenda, cosa che invece non accade assolutamente.
Il coinvolgimento del lettore è un passo importante nella narrazione, se esso fallisce il libro è da buttare.
Ovviamente riferito alla mera narrativa, la saggistica e la poesia sono casi differenti.


Riclassificazione del romanzo
Detto questo, sapete che in prima battuta non avrei letto Una proposta indecente se non dopo diecimila altre cose,un libro che come trama si prefigge di raccontare la scelta di una dama che deve decretare quale tra due gentiluomini sia il più abile in campo sessuale, capirete, non può essere altro che un certo tipo di romanzo e non lascia molto spazio ad un certo background storico... e così su due piedi senza lo storico che cosa compro a fare un romanzo ambientato nell'Ottocento? La cosa mi fa un po' storcere la bocca.

In realtà questo romanzo è più vittima di fraintendimenti e decontestualizzazione perchè non si tratta di un vero romanzo erotico, come si crede. Bisognerebbe riclassificarlo perchè sebbene la scommessa e la relativa competizione sia l'evento scatenante della vicenda, la trama è un'altra, ma visto che è poca (e molto allungata per far durare la lettura più a lungo), se la raccontassero tutto il libro sarebbe riassunto nel frontespizio e nessuno lo comprerebbe.

Ok, quindi segnatevi quanto segue:
1) Una proposta scandalosa non è un romanzo erotico.
2) Una proposta scandalosa ha una trama, sebbene appena abbozzata.
3) La quarta di copertina di Una proposta scandalosa è una mera provocazione al lettore per indurre all'acquisto di un prodotto che si crede trasgressivo (uno dei pilastri della moda letteraria del momento), ma che a conti fatti non lo è.
4) LA VICENDA NON RUOTA INTORNO ALLA SCELTA DEL MIGLIORE TRA I DUE AMANTI.
L'ultimo punto è fondamentale.

Adeguatamente smistato nella categoria dei romance il libro della Wildes acquisisce tutta un'altra dignità.
Secondo me tutto il fraintendimento è nato da una cosa non detta, ovvero dal passato di lei, il che ci porta al paragrafo Trama perchè la presente contestualizzazione è stata fatta a seguito della lettura e non dell'incipit.


Trama
Leggereditore, che ha pubblicato il romanzo in Italia, ci dice quanto segue.

Tutti ne parlano in città, è il pettegolezzo più succoso del momento…
I due scapoli più ambiti di Londra hanno fatto una scommessa per determinare chi sia il migliore degli amanti. Ma quale donna dotata di bellezza, intelligenza e giudizio accetterebbe mai una simile sfida? Sicuramente non lady Caroline Wynn, uno degli esseri più pudici e riservati che la buona società abbia mai conosciuto. Nessuna macchia adombra il suo passato, ma smentendo ogni previsione, la donna si fa avanti. Nel corso di due settimane, ciascuna trascorsa con uno dei due uomini, Caroline dovrà decidere chi tra di loro sia l’amante più raffinato. Tuttavia, ciò che sembrava una proposta immorale e destinata semplicemente a scandalizzare gli animi, diventerà una lezione di vero amore. 

La copertina dell'edizione originale
Detto così non mi stupisce che sussista un fraintendimento di categorizzazione, si parla solo del fatto che lei debba giacere con due uomini, tra l'altro noti libertini, e decretare un vincitore! Uno si aspetta che lei sia una di quelle donne che mascherano bene le proprie libidini, che sia una donna dedita al piacere, seppur nascosto.
Questo perchè manca un passaggio fondamentale per la corretta catalogazione: il passato di LEI.
Basta accennare che lei non è una donna viziosa e subito tutto cambia.

La nostra lei, infatti, non è per nulla una donna che consuma i propri piaceri, bensì una creatura terrorizzata dal contatto fisico che ha quindi costruito un'armatura di difesa contro il genere maschile, armatura che si esprime con un comportamento gelido e distaccato. Caroline, questo il suo nome, ha un passato non troppo distante che comprende un marito brutale e oppressivo che le usava violenza anche in camera e un padre completamente disinteressato a lei, se si aggiunge ciò, la trama cambia subito connotazione, ecco quindi che quella che sembrava la trama di un romanzo erotico diventa un romance del tipo più classico, dove c'è sì il sesso, ma ciò che fa da fulcro alla trama è la progressiva acquisizione di consapevolezza di sé che coinvolge Caroline grazie all'intervento di uno dei due uomini, ma soprattutto al fatto che lei se ne innamori durante i tempi previsti dalla scommessa. E che l'altro candidato stia veleggiando con la mente verso altri lidi.

Ecco quindi come occorrerebbe riscrivere una trama veritiera dei contenuti del romanzo.
Nicholas e Derek, coppia di amici dalla fama di libertini scommette su quale dei due sia l'amante migliore.
Indipendente e fredda vedova sessualmente repressa di un marito violento e oppressivo decide di fare da giudice nella contesa per riuscire a superare i demoni che infestano il suo talamo.
Loro usano lei per decidere, lei usa loro per vincere le sue paure, ma Derek, iniziatore della scommessa, è costretto a riflettere sui veri problemi che lo hanno indotto ad iniziare una simile contesa che è solo un modo per esorcizzare un altro genere di problematica che lo attanaglia: l'incapacità ad unirsi sentimentalmente e duraturamente ad una donna, consapevolezza con cui sta cercando di fare i conti dopo l'annuncio che la ragazza da lui desiderata sposerà un altro proprio a causa dei suoi trascorsi eccessivamente liberali.
Nel frattempo le circostanze che hanno portato Caroline e Nicholas ad avvicinarsi, sebbene con una precisa intenzione, sfocheranno lentamente i contorni verso un altro tipo di rapporto nel quale viene coinvolta soprattutto la fiducia. La situazione mutata per tutti e tre i protagonisti permetterà ai due giovanotti di ritrattare le proprie posizioni circa l'amore, il matrimonio e anche il sesso.

Va bene, ammetto che è tutta minestra riscaldata, scene già viste, situazioni già vissute, però un piatto riscaldato non è detto che faccia schifo e alla fine, sebbene ci siano diverse somiglianze con alcuni libri della Balogh (tipo Un'estate da ricordare), il romanzo è scorrevole e piacevole, ci si arrabbia coi protagonisti (a tratti cocciuti come muli), si combatte con loro e si sospira quando le cose vanno per il verso giusto.


Considerazioni
Ho appurato che il presente libro, un autentico romance coi controfiocchi e nulla di diverso, come tale deve essere giudicato, ma a questa conclusione sono giunta solo mentre leggevo perchè, come precedentemente spiegato, la quarta di copertina è stata quantomai fuorviante.
Presentandolo come erotico, dandone quindi una definizione peggiore di ciò che il libro è in realtà (badate bene: il genere non è peggiore in sè, è solo l'idea che se ne ha), la casa editrice e l'autrice hanno sfruttato la carta della modestia.
Uno compra il romanzo e lo legge aspettandosi la trama più sottile e insignificante possibile e un'infinità di beatitudine sessuale, non ha speranze di un certo genere narrativo, a parte quelle di scoprire qualche nuova tecnica del Kamasutra, di conseguenza tutto il di più che ci viene offerto in termini di psicologia dei personaggi (per quanto minimal) arriva come la manna del cielo o la pioggia nel deserto, non lo si aspetta e improvvisamente... "Oh toh, hanno anche un cervello e ogni tanto lo fanno funzionare! Che sorpresa!", qualcosa di simile.
Il lettore disilluso viene stupito dal fatto che in un romanzo simile ci sia dell'altro oltre al sesso.
Miracolo!

È stato così anche per me e solo a seguire mi sono accorta che non è un miracolo, è solo disinformazione; se la trama fosse stata espressa diversamente, se fosse stato possibile aspettarsi qualcosa di più romance, uno avrebbe cominciato a leggere con aspettative diverse e probabilmente il suo metro di giudizio sarebbe stato diverso, gli standard più elevati, al di là che la trama rimanga la stessa.
Questo è condizionamento, un'ottima spiegazione per la parzialità dei giudizi che mi hanno spiegato i colleghi del reparto Marketing della mia società: se uno ha basse aspettative, tutto il di più è un guadagno rispetto alla scala di partenza, tuttavia l'aspettativa non deve essere troppo bassa, altrimenti il prodotto rischia di essere snobbato.


Cambiando metro di giudizio strada facendo mi sono spesso chiesta se classificandolo come romance non avrei finito per cestinarlo per le ragioni che mi spingono con altri della categoria: inconguenze, frettolosità, costruzioni traballanti delle vicende.
Chibi Regency
una splendida illustrazione molto graziosa by okinuchan
che potrebbe rappresentare Nick e Caroline


Grazie al Cielo questo non è accaduto, anche se ha rischiato: la trama scarna, priva di eccessivi orpelli narrativi, ha fatto da contraltare al tranello degli abbozzi (ovvero di voler inscatolare nella vicenda principale altre informazioni, problematiche, reticoli di reazioni che non vengono mai portati a termine per carenza di spazio o isignificanza narrativa), in cui è il caso di dire che l'autrice sia finita senza mezzi termini cercando di parlare di un sacco di cose, matrimoni combinati, carenza d'affetto, violenza nell'ambito coniugale, tradimento, genitori impositivi, doveri legati alla posizione, doveri legati alla figura del libertino, scommesse pazze, amori non corrisposti, desiderio di compiacere l'amata, rottura improvvisa di fidanzamenti.
Non ci facciamo mancare niente, anche se l'eccesso di abbozzi è pericoloso in quanto fa nascere nel lettore delle aspettative che non giungeranno mai ad un epilogo perchè soffocate dal peso della trama principale da concludere con il dovuto dispendio di pagine e di interminabili amplessi da record, a quanto pare imprescindibili.
Posso dire che il libro ne soffre e si vede, ma sa ancora reggere.

Sebbene nessuna delle due vicende Nick/Caroline e Derek/Annabel brilli di originalità, la seconda è decisamente più frizzante e divertente, pertanto l'ho apprezzata maggiormente, specie nei primi passi della storia.
Derek/Caroline, invece, presentano un'introspezione che si riconoscere solo a macchia di leopardo, di certo non continuativa, e un eccesso di melassa da diabete istantaneo. A mio avviso danno il meglio di loro nel finale, piuttosto che nel durante.

Una parte che mi è piaciuta molto, inoltre, è quella dell'iniziale titubanza di Caroline quando si trova nell'Essex e si apre per la prima volta ad un briciolo di fiducia. La scena in cui lei ammette che un uomo ha ferito i suoi sentimenti e Nick le chiede senza nemmeno pensarci se poteva aiutarla, al di là del fatto che si conoscono appena, mi ha commossa perchè fa capire quanto brav'uomo (uso le parole successivamente dette da Caroline) sia lui, quanto alla fine la nomea che ha appiccicata sia una facciata costruita ad arte e più che altro da persone esterne.
Questo quadretto vale più di tutto il sesso del romanzo, anche se ammetto che senza questa componente risulterebbe un po' sciapo.

Il consiglio è: quando vi stufate di leggere certe scene sempre uguali, tutte simili, saltatele (quello che avrebbe dovuto fare la scrittrice in verità), privata di oasi appartate e letti a baldacchini di troppo vedrete la narrazione risulterà molto più scorrevole e ne gioverà sia il libro che la vostra pazienza.

E qui faccio un appello a tutte le autrici di romance che mi capitano tra le mani.
Sarebbe preferibile che suddette signore usassero un po' del tempo dedicato alla minuziosa descrizione di quanto fosse virile lui e cedevole lei per esplicitare meglio certe componenti della trama, sono sicura che i titoli sarebbero indubbiamente migliori.
Se le scene spinte sono un modo per far parlare protagonisti alla fine del lavoro, credo che la soluzione migliore sia usare altri espedienti, questo è estenuante e mette in luce come un'autrice non riesca a costruire un dialogo che regga per un paio di pagine senza scadere nella banalità. 


Accuratezza storica
Direi medio bassa, ma forse principalmente perchè a parte l'ambientazione, gli accenni a usi, costumi e modi di fare sono pochi. Si tira avanti di quello che il lettore sa o crede dell'epoca che, tra l'altro, è pure incerta. Sì perchè sulla copertina c'è scritto 1820 e nel romanzo 1812. Qual è delle due?

Presumo la seconda perchè Nicholas fa un certo accenno alla richiesta di truppe nel continente da parte di Wellington, peccato che in quel caso la mia domanda sia: e tu perchè non sei a combattere per la patria? Come mai una Londra in stato di semi-assedio da parte dei francesi (dopotutto Napoleone aveva messo l'embargo) è popolata di gente così spensierata e di così tanti uomini giovani e prestanti che sarebbero ottimi soldati al fronte?
Ma andate a lavorare!

Eppoi tutti questi giovanotti così impegnati alla Camera Alta dei Lord che si permettono settimane di vacanza in campagna nonostante l'Inghilterra fosse nella crisi politica più nera... nel maggio 1812 Spencer Perceval, Primo Ministro d'Inghilterra, venne assassinato, immaginate che clima allegro circolasse, Tories e Whig si sarebbero azzuffati come cani e gatti su chi dovesse temporaneamente sostituirlo.
Una bella coppia regency innamorata
by Mapvee

Non solo, ma la guerra in Europa al fianco dell'Austria, della Russia e della Germania a cui nessuno dei protagonisti maschili partecipava stava spaccando la classe alta, Tories a favore con il Principe, Whig contrari. Tra i sostenitori ricordiamo Charles Grey, il famoso amante di Georgiana Cavendish. Erano questioni importanti, nessun nobile dell'influenza di un duca (il gradino più alto di nobiltà sotto la casa reale) o di un conte come Nicholas o Derek si sarebbe sognato di lasciare Londra proprio quell'estate dove la tensione la si tagliava col coltello per fare il proprio comodo, specie con il Paese in quelle condizioni... e sarebbe stato giusto: se non andavano a combattere che almeno pensassero a governare con criterio!

Ho dedotto che il libro fosse di ambientazione estiva perchè le corse di Ascot sono a giugno, quindi, dato che le vicende iniziano subito dopo, penso che sia ragionevole classificarlo per luglio.

Senza contare che, se il romanzo è davvero ambientato nel 1812, trovo assai difficile credere che le gonne delle dame fossero così ampie da coprire le gambe di un uomo in un ballo... vorrei ricordare che in epoca regency andavano gli abiti stile impero, vita alta e gonna tubolare. Zero corsetti, zero crinoline.
È sempre difficile far entrare in testa questi particolari alle autrici, tutti pensano che nell'Ottocento ci fossero le gonne ampie come in Via col vento, ma non è sempre stato così, lo so che la gonna alla moda della Guerra Civile Americana era favolosa, ma se non si caratterizza bene il periodo storico non la si può usare a piacimento. In definitiva bisogna decisamente rivedere il tipo di vestiario di Caroline soprattutto e in parte anche Annabel.

Eppoi... parliamo un attimino del valzer?
Nick e Caroline lo ballano come se niente fosse, ma all'epoca era considerato ancora uno scandalo. Senza contare che addirittura i due lo danzano stretti e abbracciati, una cosa che deve aver lasciati allibiti gli spettatori, come minimo avranno creduto che la ex compita Lady Wynn, ora nuova Duchessa di Manning, fosse posseduta dal demonio. Per tutte le info sul ballo vi rimando all'apposito approfondimento che scrissi diverso tempo fa.

Una cosa però questo romanzo la racconta bene, almeno nel personaggio di Caroline, ed è la scarsa considerazione in cui erano tenute le donne nella società.
Può sembrare eccessivo che il padre di lei se ne disinteressi completamente e trovi addirittura fastidioso doversi occupare anche del suo matrimonio, ma i genitori spess non erano affatto rallegrati dalla nascita di una femmina, specie se non c'erano fratelli maschi. Non solo ma anche il comportamento del marito di lei che sembra deplorevole non era po' così distante dalla realtà quotidiana di molti, la violenza domestica era diffusissima al tempo e legittimata.
La Caroline creata dalla Wildes è una donna che fa fronte a questo sentimento di inettitudine e cerca di reagire sapendo bene qual è il suo posto, ma continuando a non trovarlo giusto, perciò decide di partecipare alla scandalosa scommessa, credo che, sebbene eccessive, le sue azioni siano condivisibili. Io, per esempio, sarei mortificata dall'accusa di essere frigida come accade alla protagonista, ma non sono tanto sicura che, esattamente come lei, me ne starei del giudizio di costui, specie se è una persona per cui non provo il minimo rispetto. Inoltre la costruzione della sua muraglia di ghiaccio nei confronti degli uomini, sebbene un cliché abbastanza classico, è anche un comportamento umano comunissimo per difendersi dopo essere stati profondamente feriti nell'orgoglio.

A contrasto di Caroline c'è Nick che dovrebbe essere l'uomo impassibile perchè in passato è stato ferito. Nel suo caso la caratterizzazione caratteriale è piuttosto banale, scontata, insignificante e poco credibile, molto più reale invece la sequenza di pensieri assolutamente terroristici che passano nella mente di Derek all'idea del matrimonio e la sua progressiva accettazione del suddetto in virtù della donna amata. Molto poetico, ma anche dolce.

In definitiva, il libro ottiene tre stelline e un
6
Salvato soprattutto dal capitolo finale che, per quanto scontato, è sempre emozionante, e da certe introspezioni di carattere della coppia Nick/Caroline (quando non impegnate in amorosi convegni) che sanno trasmettere davvero la reciproca fiducia (anche se finiscono nel classico turbine di incomprensioni no, lui è un libertino e quindi non mi vorrà mai. No, come faccio a dirle che l'amo se ho avuto più donne che calzini).
La Wildes si è prodigata fin troppo con abbozzi inutili, ma posso sperare che dopo questo libro un po' confusionario abbia imparato a gestire meglio le sue trame e, soprattutto, la loro classificazione, la suadefinizione caratteriale, invece, è già buona e ben costruita, direi che deve lavorare soprattutto sul plot.

Spero che questa recensione, anche se confusionaria ed estremamente prolissa sul tema della riclassificazione del libro sia comunque stata interessante (non aspiro al divertente, non ha niente a che vedere con quanto scritto su Clare Darcy).


Links
aNobii | Proposta indecente

Diario di pensieri persi | Recensione di "Una proposta indecente" di Emma Wilde
Ho molto apprezzato la recensione del romanzo scritta da Diario di pensieri persi, l'ho trovata concordante con la mia e opportunamente sintetica, una cosa che a me non riesce tanto =)

Un bacio e a presto




Mauser

6 gennaio 2012

Anna dai capelli rossi by Yumiko Igarashi

Al nome di Yumiko Igarashi qualcuno di voi immagino avrà fatto gli scongiuri.
Io sarei stata la prima.
Io detesto Candy con tutta me stessa perché un tale concentrato di sfiga e amore sfortunato deve stare il più lontano possibile dalla sottoscritta che, in quanto a relazioni sentimentali, sta messa piuttosto male e non ha certo bisogno di aiuti supplementari.
La sua autrice, Yumiko Igarashi appunto, è considerata una delle maestre del manga anni Settanta e nell'arco del suo manga più famoso è riuscita a dare libero sfogo ad una tale sequela di disgrazie che credevo solo le CLAMP sapessero preparare per i loro dannati protagonisti [per maggiori info al riguardo e qualche risata si veda Kill Clamp by Wren].


 Come sapete ho una certa passione per i manga, i manhwa e anche i manhua, rispettivamente fumetti giapponesi, coreani e cinesi/taiwanesi e adoro vedere come gli orientali hanno saputo caratterizzare le storie tipiche della letteratura da ragazze, questo era molto più frequente prima degli anni Novanta, quando molte autrici, oltre ad attingere a piene mani al feuilleton di fine Ottocento e primo Novecento, producevano anche proprie creazioni altrettanto tragiche [vogliamo parlare di Milly oppure Georgie?] facendo concorrenza a molte autrici del genere sentimentale del XIX. Tra le molte anche Lady Oscar può essere considerata della partita.

Dalla letteratura ottocentesca a cui attingevano, le mangaka del Novecento hanno ereditato anche la passione per il dramma, cosa che negli anni Settanta era parzialmente tornata di moda per l'influsso di molti sceneggiati televisivi dell'epoca sempre ispirati dallo stesso periodo e dalle stesse storie.
Se posso permettermi un'osservazione personale, non influenzata da libri o teorie altrui, trovo che il genere sentimentale ottocentesco sia di parzialmente di derivazione shakespeariana e presenta una certa inclinazione al dramma di stampo teatrale, miriadi di eroine sono state condannate a morire di tifo, parto o in miserevole disgrazia per il gusto letterario dell'epoca, una fine che gli scrittori del Novecento hanno adottato per le loro creazioni solo se strettamente necessario dalla trama e dal contesto, perfino Michael Faber, autore dell'acclamato Il petalo cremisi e il bianco ha graziato la sua Sugar quando solo che un secolo prima avrebbe fatto una fine ben più lacrimevole e disperata, mentre la povera Tess dei d'Uberville, nata in altro periodo, non ha avuto la medesima buona sorte.

Anna Shirley
illustrazione di copertina (1° vol.)

by Yumiko Igarashi
Tornando al discorso principale, questo è principalmente il motivo per cui la Igarashi ha scritto Candy Candy e la sua opera ha avuto tanto successo: ella ha cercato con una buona dose di sfiga di scimmiottare il genere in voga durante il periodo in cui ha ambientato la sua storia.
Oserei dire che, a scapito dei suoi poveri protagonisti, è riuscita pienamente nel suo intento, coronato da un briciolo di speranza solo sul finire della vicenda -e della pazienza dei lettori-
Ma quando la nostra mangaka abbandona la propria fervida fantasia in favore di storie scritte da altri e in periodi più luminosi, storie di qualcuno che, magari, non dovrebbe essere internato d'urgenza per maltrattamenti, sa essere una delle più meravigliose autrici e illustratrici del nostro secolo. Se Candy Candy mi fa venire l'orticaria al solo pensiero per i motivi elencati all'inizio e tre dei più classici cliché (l'orfanella, l'amore disperato e le cattiverie date dall'invidia), ci sono altre sue opere che, invece, hanno saputo ampiamente incontrare la mia approvazione ed una di queste è Anna dai capelli rossi.
Scritto da Lucy M. Montgomery e ambientato nell'idilliaca isola canadese di Prince Edward, il romanzo di Anna è un must have immancabile nella biblioteca di qualsiasi donna. Poiché è stato scritto già nell'ottica del Novecento, Anna non muore tra atroci sofferenze, il che è un autentico sollievo.
Molto spesso è un romanzo che viene letto da ragazza perché fa parte di quel genere di narrativa definita (oserei dire un po' troppo alla buona) da signorina, ma credo che, per quanto ormai datato, sia un'opera veramente eccellente e ideale per il periodo adolescenziale in quanto affronta in maniera istruttiva e costruttiva problemi e tematiche anche profonde con garbo e la dovuta dose di drammaticità; non mancano le lacrimucce, certo, ma è molto positivo e speranzoso nel suo messaggio di fondo, il che a quindici anni e circondati dai problemi della crescita non è un male.
Certo, essendo un romanzo d'altri tempi non parla di droga o di gravidanza, ma per quello ci sono mille altri romanzi adatti, lasciate Anna coerente col suo tempo, opportunamente casta e religiosa.

La storia di una delle più famose orfanelle canadesi (l'altra è Emily Murray Starr della medesima autrice e del libro Emily della luna nuova) e d'America (cfr. Pollyanna) ha saputo attraversare un secolo e mezzo in piena evoluzione tecnologica.
Nato come libro, è diventato un prodotto televisivo di grandissimo successo durante gli anni Settanta/Ottanta con svariati passaggi sulle reti nazionali anche italiane di film, serie e, soprattutto, dello splendido cartone animato a cui lavorò in gioventù perfino il maestro Hayao Miyazaki.
Probabilmente con il futuro in continuo turbine tecnologico, Anna saprò cavarsela anche tra i computer, l'interattività e le amenità hi-tech che non abbiamo ancora visto e neppure immaginiamo.
In tutta questa evoluzione, il prodotto della Igarashi si colloca nel mezzo, tra il libro e il cartone. Il manga infatti è una produzione a metà, fedele all'originale della Montgomery, ma illustrato e a figure che possono richiamare quello che è diventato l'anime.

L'autrice e il manga
Nonostante la sua collocazione in terra di mezzo, il manga è seguente alla messa in onda del cartone animato, risale infatti al 1997 ed è una delle ultime creazioni di quest'autrice.
Anna Shirley e Diana Barry
illustrazione di copertina (2° vol.)
by Yumiko Igarashi
La serie intera scritta da Yumiko Igarashi è composta da tre volumi iniziali che riassumono la storia del primo romanzo, correttamente tradotto in Anna dai versi abbaini, a questi si devono aggiungere altri 2 tankobon (volumetti) che seguono, rispettivamente, le vicende di Anne presso la scuola superiore (il libro è L'età meravigliosa) e presso l'università (Il baule dei sogni). per un totale di 5 volumi che seguono la nostra Anne Shirley dal suo arrivo all'Isola fino al matrimonio, quindici anni di vita meravigliosamente tratteggiata.
Senza contare che per gli anni (e i romanzi seguenti) ci ha pensato Chieko Hara, altra autrice del genere della Igarashi e dal tratto molto simile (è quella che scrisse Faustine inspiegabilmente tradotto in Fostine, vabbè, i traduttori italiani sono tremenderrimi, basti vedere come il secondo libro di Anne da Anne of Avonlea sia diventato L'età meravigliosa ¬_¬).
Purtroppo solo i primi tre libretti sono giunti nel nostro Paese perché le nostre case editrici sono estremamente coerenti e hanno preferito pubblicare solo metà della storia.  
Sgrunt!
Scusate, ma ci voleva...

Anna dai capelli rossi non è l'unico manga della Igarashi ispirato alla cultura e alla letteratura europea, infatti durante gli anni Ottanta quest'autrice ha letteralmente saccheggiato sia le favole (da Andersen a Perault ai fratelli Grimm) eseguendo lavori che parlassero di Biancaneve, della Bella addormentata nel bosco, della Sirenetta e perfino di Pollicina e Cenerentola!
Non solo, ma ha eseguito anche adattamenti di Flaubert (Madame Bovary) e di alcuni autori russi come Tolstoj con Anna Karenina, oltre che al classico shakespeariano Romeo e Giulietta.
D'altra parte le stesse storie partorite dalla mente dell'autrice non sono poi così distanti dal canone europeo, si veda quanto detto sopra sui feuilleton.

Nonostante sia passata un'eternità da Candy e anche da Georgie, entrambi prodotti anni Settanta con il relativo tratteggio di moda all'epoca, le linee sottili e gli occhi grandissimi, la Igarashi ha mantenuto una certa coerenza nel suo tratto e, soprattutto, nella caratterizzazione estetica dei suoi personaggi.
Poichè nei primi libri Anna porta costantemente lunghe trecce rosso fuoco, i capelli boccolosi in lei sono stati accantonati, ma non per questo definitivamente debellati, visto che li sfoggiano molte delle amiche dell'esuberante orfanella, a cominciare dalla dolce Diana, che nel cartone eravamo abituati a riconoscerla per le due trecce a forma di bretzel portati ai lati del capo e che qui, invece, sembra una principessa in puro stile CLAMP.
Analogamente una criniera lunga e morbida col ricciolo finale, marchio di fabbrica della dolce Georgie è la pettinatura della snobbissima amica Ruby Gillis e di qualche altra comparsata.

Anna Shirley con Matthew e Marilla Cuthbert
illustrazione di copertina (3° vol.)
by Yumiko Igarashi
A mio avviso il tratto pulito e leggero della Igarashi si sposa alla perfezione sia con i personaggi della Montgomery che con gli splendidi paesaggi dell'Isola.
Ovviamente solo tre volumi, per quanto bellissimi, non riescono a riproporre la stessa Anne del libro, così come alcune scene sono state tagliate, altre non rendono appieno la comicità delle imprese dell'orfanella o la loro sconsideratezza. Il manga soffre, soprattutto, di una certa frettolosità e impersonalità, probabilmente dovuta al fatto che la figura di Anne non è una creazione dell'autrice che la sta disegnando e che, quindi, non sente come sua, come una delle sue pupille.

A dispetto di tutto, credo che i due volumi seguenti a quelli dell'infanzia, quelli ambientati alla Queen's Academy e poi all'università di Redmond, rendano molto di più alla trama in quanto la Anne più adulta e matura descritta dalla Montgomery si abbina meglio sia con la brevità della narrazione e con il messaggio che trasmette piuttosto che col mare emozionale che investe il lettore quando la protagonista è solo un'undicenne iperattiva.
Disegnare la freschezza, l'esuberanza e la fantasia di una bambina di undici anni che può vivere per la prima volta libera e spensierata penso sia un'impresa difficile per qualunque illustratore e artista, l'anime per rendere appieno questo compito ha prodotto qualcosa come duecentomila puntate, non si tratta di una bazzecola risolvibile in poco spazio... la Igarashi riesce solo in parte nel suo intento.
Una nota pregevole va, invece, alla ricerca costumistica fatta dall'autrice per riproporre con correttezza storica abbigliamento e modi di una ragazza o ragazzina. In un punto in cui fin troppe storie cadono, la Igarashi, ormai espertissima dopo Georgie e Candy Candy ha saputo portare a termine il suo compito con correttezza. Le maniche sono correttamente a gigot e i cappellini di paglia come usava in campagna. Non posso fare alcuna critica alla sua coerenza storica e credo che questa sia una novità per me e anche per voi che leggete, fin troppo spesso si ha a che fare con una storia valida rovinata dalla superficialità culturale riferita al periodo di ambientazione...


Anne in Italia
Uno dei commenti più odiosi che ho letto sulla rete riguardo il presente manga recita, pressappoco, che quegli stupidi giapponesi dovrebbero smetterla di servirsi delle storie dell'Occidete, la loro carenza letteraria dimostra quanto siano culturalmente inferiori e proprio per quello non dovrebbero permettersi di "interpretare" opere che non capiscono.
Trovo che siano parole dure.
Copertina originale del quarto volume
Anna no seishun

dal libro
L'età meravigliosa
E piene d'ignoranza perché se c'è una cosa che non si può dire degli orientali è che siano culturalmente indietro. Mai.
Sarebbe buona cosa che chi non sa cosa dire non si riempisse la bocca di sciocchezze che fanno scena da intellettuale: ma per piacere! Che assurdità! Come diceva la prof di Lettere: hai appena perso una buona occasione per stare zitto.

La loro letteratura cinese e giapponese che noi stiamo scoprendo solo di recente, diversa dalla nostra e per questo difficile da comprendere, viene spesso malamente interpretata dagli ignoranti e il fatto che solo pochi la conoscano non significa che sia scarsamente presente, solo scarsamente pubblicizzata. Perché siamo in un Paese dove a volte la pubblicità conta più della cultura.

Forse questa odiosa persona che si permette parole tremende con tanta leggerezza, dovrebbe farsene una, di cultura, visto che evidentemente manca di sapere una cosa fondamentale: se Anna dai capelli rossi è arrivata in Italia è solo grazie al cartone animato che tutti conosciamo. E nulla più. Non certo per il suo contributo.
Nessuno sponsor e nessun riconoscimento da parte della comunità culturale italiana per spingere alla traduzione di Lucy Montgomery, rimasta nel dimenticatoio per più di mezzo secolo.
Un misero anime in tv seguito da migliaia di appassionati.

Già, perché l'Italia moderna è sempre stata famosa per arrivare in ritardo agli appuntamenti con la cultura...

Negli anni Ottanta, infatti, la Montgomery era pressoché sconosciuta nel nostro paese, mentre all'estero, Giappone compreso, era famosa e ammirata. Anne, in particolare, era un vero personaggio di culto nel Paese del Sol Levante, come lo diverrà la Alice di Carroll a seguire e lo era perché la sua spontaneità cozzava con l'ideale di donna mite e repressa con cui le giapponesi stavano combattendo nel dopoguerra per affermare la propria emancipazione.
In Giappone la Montgomery ed Anne arrivarono negli anni '50, dopo la fine della II Guerra Mondiale, quando il Giappone sconfitto iniziò un'intensa opera di apertura e modernizzazione, importando specialmente dall'America tutto ciò che poteva servire a portare il Paese a quel livello di progresso e industrializzazione. Con il materiale culturale arrivo pure l'orfanella canadese. Anne era il loro mito perché viveva a sua volta il dramma della figura femminile ottocentesca sottomessa a quella maschile, svilita per i suoi natali di donna, ma Anne reagiva con forza a tutto questo senza abbattersi e senza piegarsi ed era un comportamento positivo e ammirevole e lo riconoscevano anche le donne nipponiche del tempo.
Ma in Italia no, la Montgomery non arrivò.
Quando, negli anni Ottanta, le televisioni iniziarono a mandare in onda i primi cartoni animati giapponesi, le scelte caddero su ciò che poteva maggiormente interessare il pubblico. I robottoni erano ideali per un pubblico maschile, ma per le femmine? Una storia di stampo ottocentesco poteva facilmente attirare le ragazze e le bambine, specie con richiami alla letteratura riscoperta da poco (molte autrici americane arrivate per la prima volta in Italia negli anni Settanta) e per questo venne proposta Anna dai capelli rossi, il qual cartone bissò tutte le più rosee aspettative di share, rendendolo un cult televisivo.
Copertina originale del quinto volume
Anne no aijoun

dal libro
Il baule dei sogni
(sono Anne e Gilbert, non sono
meravigliosi insieme?)
L'improvviso successo portò alla luce il retroscena: Anne non era frutto della fantasia dello sceneggiatore (anche se all'epoca non so se si sapesse che anche gli anime ne avevano uno), bensì di un'autrice come la Burnett e la Porter, rispettive madri di Mary Lennox (Il giardino segreto) e di Pollyanna, e... NON ERA STATA MAI TRADOTA. Scandalo! E gran gioia per l'editoria che aveva per le mani un pesce piuttosto grosso.
Ovviamente le case editrici capitanate dall'allora famosissima Mursia si affrettarono a pubblicare buona parte della bibliografia della Montgomery.

Alla luce di ciò, non mi sento di condannare un manga che si rifà alla storia di Anne, così come di dire che che è indubbiamente un'opera miseramente inferiore, come ho letto in giro.
L'Italia deve alla Anne Nipponica più di quanto piaccia ammettere, bisognerebbe sponsorizzare di più il contributo che un misero cartone animato, tacciato di infantilismo per di più, ha dato al nostro Paese per il reperimento di un prodotto culturale che all'estero era già consolidato.
Ma Anna dai capelli rossi, che è un romanzo imprescindibile di libreria femminile e ci pare vecchio di secoli, lettura perfino delle nostre nonne è, in Italia, più recente di quanto ci piace ammettere. In pratica ha solo qualche anno più di Sailor Moon.

Sebbene il fatto che solo mezza serie sia stata portata in Italia, e ciò mi dà moltissimo fastidio perché mollare le opere a metà è frustrante, io consiglio comunque questa lettura a tutti gli appassionati e a coloro che in tempi più rapidi e in un modo diverso desiderano rivivere le vicende della dolce e stravagante Anne.


Links
Animeclick | Akage no Anne
Animeclick | Anne no seishun
Animeclick | Anne no aijou
Shoujo Manga Outline | Anna dai capelli rossi
Nekobonbon | Yumiko Igarashi
Nekobonbon | Chieko Hara
Shoujo-Love | Yumiko Igarashi
Shoujo-Love | Anna dai capelli rossi
Jigoku | Anna dai capelli rossi
Wikipedia | Yumiko Igarashi

Per finire, dure parole su Gilbert.
TI ADORO
Sono due, no?
=]



Mauser


Hai qualche idea?
Vorresti approfondire un argomento particolare?
Ci sono curiosità di cui vorresti scrivessimo?

Manda una mail a
georgianagarden@gmail.com