28 febbraio 2011

Tipi di ingresso

Cari lettori,
ho parlato poco tempo fa della casa vittoriana e della sua conformazione, mi sarebbe piaciuto scrivere un post sintetico ed esaustivo, ma l'argomento è piuttosto ampio e come sapete le mie capacità di sintesi decisamente scarse.
Mi ritrovo quindi ad integrare con altro materiale: nel corso delle mie ricerche, per esempio, mi sono imbattuta in una splendida illustrazione che mostra tutti i tipi di ingresso in voga o utilizzati durante il periodo ottocentesco e che vi illustro volentieri a seguire.


L'immagine è a scopo illustrativo. Essendo splendidamente disenata vi consiglio di ingrandirla cliccandoci sopra per una maggior visione dei dettagli che, altrimenti, nel processo di zoom vanno un po' persi.

Baci




Mauser

Struttura e architettura della casa vittoriana

Seguendo il suggerimento di una lettrice, ho deciso di approfondire un po' la disposizione delle stanze nella casa vittoriana e l'architettura tipica di questo periodo.
Bozzetto di un quartiere popolare di Londra
Secondo me si tratta di un argomento molto affascinante, spero che piaccia a tutti voi, ho però deciso di dividerlo in due post differenti, uno per quanto riguarda la struttura esterna e l'architettura (presente post) e uno per le stanze e la loro disposizione all'interno dell'edificio, cosa che vedremo nel prossimo intervento; l'ho fatto per una questione di chiarezza espositiva e per non allungare troppo lo scritto che altrimenti sarebbe diventato terribilmente pesante per chi legge.


Disposizione delle case
Londra e le grandi città vittime dell'inurbamento dovuto alla seconda rivoluzione industriale hanno avuto tutte lo stesso problema: la mancanza di spazio. Nelle aree strategiche della città, verso la metà del secolo erano nate le fabbriche e i magazzini, per il grande stoccaggio di merci: con la tecnologia sempre più avanzata e la rapidità nei commerci e negli spostamenti tutto ciò che era stato creato per il trend commerciale di prima era troppo ridotto, anche se nel Cinquecento tra Lega Anseatica e l'inizio della colonizzazione, l'Inghilterra aveva conosciuto un grande sviluppo.
A Londra questi nuovi magazzini erano situati nell'attuale zona dei Docks, vicino al fiume così da essere accessibili dalle navi in carico e scarico e allo stesso tempo non distanti dal cuore economico della City.
Oltre alla capitale, molti altri centri abitati costieri e industriali subirono questa sorte: Liverpool e Manchester sempre in Inghilterra, Dresda e Amburgo, San Pietroburgo, New York, Rotterdam...

Le fabbriche, si sa, non sono bei posti e abitarci vicino non è salutare, c'è inquinamento, polvere, rumore, traffico, passaggio di persone. Vicino all'industria non potrà mai esserci un quartiere residenziale e dove anche questo ci fosse stato in precedenza, l'industria o il porto facilmente ne affosserebbero la nomea. Basti vedere la periferia della mia città, Genova, prima del boom industriale della fine dell'Ottocento e dell'arrivo di Ilva e Ansaldo era tutta un susseguirsi di ville di villeggiatura per le famiglie ricche o patrizie della città, ma da quando l'industria pesante si è stabilita nel ponente, il bel quartiere attorno è diventato il più degradato della città, abitato da personaggi dubbi in quelli che una volta erano bei palazzi tardo-ottocenteschi o dei primi del Novecento con importanti modanature alle cornici delle finestre e maestosi poggioli. Villa Bombrini, sede del municipio di quartiere ha avuto per anni come sfondo una cisterna del gas, fortunatamente adesso abbattuta per il recupero dell'area industriale [non certo quella cittadina -.-].

Tutto questo per dire che vicino alle fabbriche non abitava la creme della città. Tracciate un cerchio con la fabbrica al centro e al perimetro più esterno troverete i quartieri di lusso. È come La regola dell'amico, non sbaglia mai.

Nei quartieri alti, altolocati, le case assomiglivano a ville, maestose, bianchissime e contornate da un curato giardino all'inglese con zone d'ombra e di luce, una serra di vetro e molte aiuole di fiori multicolori, gazebo e dondoli in metallo.
Ciascuna casa aveva a disposizione tanto spazio intorno, un piccolo parco, inoltre la strada di accesso era spesso un viale alberato tenuto con maniacale precisione dove si vedevano solo carrozze di lusso e, come dice Biagio, il Vagabondo del film Disney, i cassonnetti per l'immondizia avevano il coperchio e la gabbietta.

Vialetto e architettura di una villetta vittoriana dei quartieri alti.
da notare il viale alberato e il grande giardino intorno all'abitazione

Erano i quartieri di Kensington, Chelsea e, ancor di più, Mayfair, contorati da splendidi parchi come Hyde Park, e strade del calibro di Regent Street, Bond Street (the old) e Piccadilly, la zona dello shopping di lusso (Piccadilly Circus si trova però nel quartiere di Fulham e Hammersmith).
Erano i quartieri preferiti dai borghesi arricchitisi con i commerci e sono tutt'ora rimasti il simbolo del lusso della capitale. Ogni casa è un'ostentazion di ricchezza e potere, cito da All'improvviso tu di Lisa Kleypas:
La carrozza si muoveva in direzione del quartiere alla moda di St. James. Anche se non era mai stata a casa di Jack Devlin, aveva sentito parlare di quel posto da Oscar Fretwell. Jack aveva acquistato la casa dell'ex ambasciatore francese, che per la sua vecchiaia aveva deciso di ritirarsi sul Continente e vendere i suoi possedimento sul territorio inglese.
La casa si trovava in un'area piena di dimore eleganti, appartamenti di scapoli benestanti e negozi esclusivi.
[...]
La casa era magnifica, imponente, una residenza in stile georgiano con mattoni rossi sulla facciata, colonne bianche, frontoni e file di finestre palladiane molto ampie. I lati dell'edificio erano coperti di diramazioni di tasso e faggio che riconducevano ad altri alberi sotto cui erano stati piantati decine di ciclamini bianchi.

Lisa Kleypas, All'improvviso tu
(forse qualcosa del genere)


Un'ottima rappresentazione del tipo di case di queste zone potrebbe essere quella della villa del film Disney Lilli e il Vagabondo, oppure quella dove vive la famiglia Banks di Mary Poppins, dopotutto il padre dei ragazzini non era uno qualunque, ma un alto funzionario di banca e la vicenda è ambientata proprio a Londra.

Un viale di raccordo per le ville dei quartieri alti
Scendendo nella scala sociale, i quartieri assumono forme meno signorili, più la classe scende e minore era lo spazio da dedicare alla casetta, si abbassava la qualità delle rifiniture, il giardino non era più un parco, la strada di fronte non aveva gli alberi e probabilmente non era neppure lastricata, ma in terra battuta come quasi tutte quelle della capitale. Le case rimanevano comunque separate le une dalle altre e con quel minimo di spazio vitale che noi abitanti delle periferie del terzo millennio non sappiamo più cosa sia [tutti i giorni sento la vicina del piano di sopra litigare col marito e quando affianco a noi abitava una coppia di pazzi era decisamente poco salutare sentire quando questi si tiravano l'un l'altro vasi e piatti che si infrangevano contro il muro...].

Emma, dall'omonimo manga, stende
i panni sul retro di una casa medio

borghese

Poi c'erano i quartieri medi, le case erano addossate le une alle altre, i muri confinanti, ma mantenevano la loro parvenza signorile, i loro scalini all'ingresso, le finestrature decorate e non si innalzavano mai più di quattro piani. Vi abitavano famiglie borghesi di basso livello, negozianti che non avevano fatto i milioni, contabili, notai. Erano comunque case degne e le persone che vi vivevano potevano permettersi del personale per i lavori domestici, magari una cuoca e due o tre cameriere. Ciascuna di queste case era abitata da una sola famiglia che occupava tutti i tre o quattro piani insieme alla servitù.
Queste case, sebbene non disponessero di giardino vasto come le dimore dei ricchi, avevano comunque a disposizione un fazzoletto di terra, di solito sul retro, dove si affacciava l'entrata di servizio e dove si stendevano i panni, si battevano i tappeti e, in generale, passava la servitù; questo era contornato da uno steccato in legno, non necessariamente dipinto, oppure da un muro di cinta in mattoni, non intonacato.

Passiamo poi ai quartieri commerciali, ormai eravamo quasi alla soglia della povertà degli abitanti: le case erano a tre o quattro piani, senza basamenti né rifiniture e al posto del signorile ingresso con gradini e portone, al piano terreno c'era la bottega.
Casa e negozio erano un tutt'uno e se il garzone del negozio dormiva nel retro, su un pagliericcio, i padroni ai piani di sopra non stavano certo meglio, ma almeno avevano la possibilità di essere all'asciuto (se andava bene) e al caldo (se potevano permetterselo).

La strada dei macellai a Whitechapel, il quartiere è dei più disagiati, ma esistevano
forme di ricchezza che si esprimevano nella casa privata, nella bottega o nei
minimali fregi alle finetre. Molte costruzioni erano in legno e bruciavano con facilità.
A Covent Garden le case del genere erano ovunque, non era una consuetudine così rara che i padroni del negozio vi abitassero sopra, si tratta di un'abitudine diffusa in quasi tutte le culture, sia europee che orientali (basti vedere Il profumo della papaia verde).
Questa particolare tipologia di case era cosiderata come "i quartieri alti della povertà", ad esempio fruttivendoli e macellai dei quartieri più disagiati potevano permettersi questi lussi, cioè di possedere il negozio e la casa soprastante, mentre tutti gli altri erano in affitto in bugigattolo.

Scendiamo infine inesorabilmente verso Whitechapel, una delle zone più degradate della città situata vicino al porto e al puzzo del Tamigi, all'epoca forse più inquinato di oggi. I magazzini del fiume e le fabbriche erano poco distanti, le persone che ci abitavano autentici poveracci.
Il degrato e la povertà del quartiere di Whitechapel
intorno al 1850. Acquaforte.
Le case erano anche a quattro piani, ma vi abitava una famiglia ciascuno e spesso lo spazio era sacrificato tra la zona per dormire e la cucina. Ricordiamoci com'erano le famiglie del tempo: povere e numerosissime, con quattro o cinque figli minimo, spesso troppo piccoli per lavorare. Quasi tutti quelli che abitavano queste zone erano impiegati nelle fabbriche di tè o negli scaricatori del porto, ma alcuni avevano la fortuna di poter lavorare nell'indotto del quartiere, ad esempio nei negozi di prima necessità come verdurieri e macellai, era una fortuna perchè di queste cose c'era sempre bisogno e la gente non poteva fare a meno di comprare da mangiare, quindi si avevano più possibilità di mettere da parte il denaro con costanza. Il sogno di molte persone dei quartieri poveri era aprire un proprio negozio e poi fare fortuna, basti vedere Fiona e Joe, i protagonisti de I giorni del tè e delle rose, che all'inizio del libro stanno risparmiando per aprire una propria drogheria con spaccio di tè.
A Whitechapel la gente era così povera che si comprava carne solo per metà della famiglia, tipicamente gli uomini perchè andavano a fare i lavori di fatica, e si viveva tutti insieme, anche più famiglie per volta per risparmiare sugli affitti che, per quanto miserabili, per quelle persone erano esorbitanti e spesso dovevano rimandare di mese in mese, procrastinando finchè non avessero trovato un lavoro abbastanza remunerativo oppure finchè i padroni di casa non li sfrattavano per inquilini più rapidi nei pagamenti.

In questo post mi soffermerò particolarmente sulle abitazioni di città dei victorians, trascurerò quindi temporaneamente le ville di ristoro fuori Londra per dedicarmi alla struttura delle prime. Lascio da parte anche le case dei poveri: erano così modeste che non c'è davvero molto da dire.


L'architettura esterna
Come per la moda, per l'arte, la musica ecc, l'architettura delle case vittoriane non rimase la stessa durante tutto il periodo ottocentesco, ma mutò diverse volte nel corso del secolo, dando vita a scenari e costruzioni dallo splendido al mediocre.
Non solo, per tipologie di case diverse si impiegavano stili diversi, ad esempio nella prima metà dell'Ottocento lo stile preferito per le grandi ville fuori città, nelle Midlands inglesi, era il palladiano, oppure lo stile italiano, che poi era una copiatura del rinascimentale fiorentino, entrambi appartenenti alla corrente neoclassica; nelle abitazioni private cittadine, invece, si preferiva un neogotico abbastanza moderato per le villettine e uno stile semplice e lineare di tipo nordico per le case a schiera.

La struttura architettonica delle case singole vittoriane prevedeva che l'abitazione si sviluppasse nella maggior parte dei casi su tre piani; il pavimento della casa, in legno, non posava mai sul terreno, ma si ergeva di circa mezzo metro grazie ad un basamento anch'esso in legno o muratura che correva per tutta l'aria dell'edificio; questo poteva essere costituito da assi incrociate, mattoni, cemento oppure solo il perimetro in mattoni e il resto riempito con materiali edili di scarto (muri sbriciolati, materiale di scavo, sassi, ecc.).

Il basamento di una casa vittoriana
Il basamento permetteva di arginare i danni provocati dall'umidità che filtrava dal terreno e che andava a corrodere la struttura della casa, in gran parte di legno, esso permetteva inoltre di tenere la casa più calda e di ricavare spazi utili come cantine o ripostigli nel sottosuolo.

Casa in stile coloniale, probabilmente sita negli Stati Uniti del Sud
Prospicente alla casa c'era la veranda, anch'essa rialzata e sormontata da un colonnato che costituiva il basamento della balconata del primo piano. questa caratteristica è particolarmente accentuata nelle case in stile coloniale americane, dove l'intero edificio è preceduto da un largo portico ombreggiato dove la famiglia si sedeva nelle ore più calde della giornata.
L'idea del colonnato così comune nelle case coloniali e in quelle vittoriane è un'eredità del Neoclassico, a sua volta ispirato dall'arte e dall'architettura ellenica e classica, dalla quale aveva copiato la struttura dei templi degli dei pagani.
Le larghe colonne lignee delle case coloniali, tipicamente pitturate di bianco come i templi, in America rimasero immutate nel corso dei secoli e divennero l'emblema della casa tipo, sopravvivendo a stili diversi e culture differenti, basti prendere come esempio la Casa Bianca dove la facciata richiama chiaramente il timpano e l'ingresso del Partenone dell'Acropoli.
In Inghilterra, invece, lo stile si barcamenò tra alterne vicende, modificandosi e adattandosi al neogotico che era entrato nel gusto collettico, ecco quindi che due stili si miscelano armoniosamente e le colonne di uno si affusolano fino a diventare sottili e filiformi per adattarsi ai canoni dell'altro dando vita ad un'idea nuova, ma esteticamente molto gradevole. la casa neogotica vittoriana con colonnato e portico sarà uno degli emblemi architettonici della seconda metà del XIX secolo.

L'ingresso con gradini all'abitazione
L'ingresso dell'abitazione poteva essere sia dalla veranda o dal porticato che da una porta posta affianco. In entrambi i casi, comunque, bisognava salire alcuni gradini per via del basamento di cui abbiamo detto sopra, e la porta si apriva rigorosamente verso l'interno, ciò spiega come mai sotto questo punto di vista il manga Emma sia poco attendibile: quando la nostra cameriera apre l'uscio e manda a gambe all'aria il protagonista William Jones, peccato che se lo sfortunato spigolo non fosse andato a collidere con la fronte del "signorino", non avremmo avuto i presupposti per la bella storia narrata, ma questo è un particolare di cui la stessa Kaoru Mori parla nelle sue note a fine volume.


Il tetto
Due tipi di tetto in voga durante il periodo vittoriano
Il tetto era tipicamente spiovente, una caratteristica nata dalle condizioni climatiche della città, gli inverni continentali tipici dell'Inghilterra portano infatti neve in abbondanza e la neve appesantisce molto la struttura della casa che rischia di crollare sotto il peso aggiuntivo, mentre se il tetto è in discesa, l'accumulo è distribuito in maniera omogenea sui muri perimetrali e non sul centro del tetto, mentre la forza di gravità attira inesorabilmente la neve facendola scivolare al suolo. questo è anche il motivo per cui le case di montagna hanno sempre tetti a capanna dalla pendenza molto elevata e in alcuni casi, specialmente dei paesi scandinavi, questi sono acuminati e coprono l'intera struttura abitativa, arrivando fino a terra ed innalzandosi di molto sopra la fine della dimora per ottenere l'inclinazione necessaria.
Nel caso di tetto a capanna la parte superiore poteva essere sia a punta che tagliata, ovvero oltre una certa altezza questi era piatto o sormontato da un terrazzino, dettaglio tipico della cultura germanica dove è molto diffuso.
Oltre a queste si potevano trovare anche tetti a guglia in esperiementi particolarmente vicini al neogotico, oppure a cipolla, sebbene questa particolarità sia visibile solo in rari casi e soprattutto in America, raramente in Inghilterra.
Una caratteristica molto comune era una torretta laterale, ripresa tipicamente dal gotico, qui spesso si avevano il salottino o lo studio di casa per via dell'esposizione particolarmente luminosa.
Al seguente link troverete una panoramica dei tetti in voga durante l'epoca vittoriana
Victorian Roof and Gable Shapes


Le finestre e la porta
Varie tipologie di cornici per finestre
in stile neoclassico
Le finestrature potevano essere sia a sesto acuto che rettangolari, spesso incorniciate da infissi in legno; la forma più comune era quella a scorrimento: la finestra era costituita da due componenti distinte che costituivano la parte superiore e inferiore del riquadro e si sovrapponevano solo a metà, in quel caso la parte inferiore scorreva verso l'alto lasciando filtrare l'aria all'interno.

I decori esterni delle finestre erano quasi tutti in stile neoclassico palladiano. La finestra poteva essere sormontata da un timpano triangolare oppure rettangolare; spesso questi due erano entrambi presenti e le finestre erano alternate.
In mancanza di terrazzi, che non fanno parte della cultura anglosassone, specialmente di quella abitativa, esisteva un effetto ottico per cui nella facciata era inserita la ringhiera del poggiolo, ma questa era attaccata alla parete, non sporgente.

La porta di casa era anch'essa in stile palladiano come gli infissi delle finestre, poteva essere sia sormontata da timpano, sia ad arco a tutto resto, oppure arco a botte e in molti casi era contornata da due colonne doriche molto lineari e non troppo sporgenti. La porta aveva un colore decisamente più vivido rispeto al resto dell'intonaco, spesso sui colori pastello o sul rosso mattone, mentre questa era blu, marrone scuro, verde, ecc.


La porta sul retro
Era un passaggio di cui non dobbiamo assolutamente dimenticarci.
La porta sul retro, o porta di servizio, era adoperata dal personale di casa e adoperata per tutto quell'andirivieni informale della casa che non stava bene comparisse sotto gli occhi di tutti.
Servitori e cameriere passavano da qui, da qui venivano fatte le consegne di frutta e latte a domicilio, così come la posta per il personale e per i padroni che arrivava attraverso il comune sistema postale. Mentre se la posta era portata da un valletto, questa passava dalla porta principale sul davanti.

Le cameriere della padrona erano autorizzate ad adoperare l'ingresso principale solo quando uscivano con lei e la accompagnavano per spese, in carrozza o nei viaggi, altrimenti passavano da dietro.
Alla porta sul retro si consumavano anche gli amori dei domestici, tra cameriere, garzoni, postini e ragazzi delle consegne, e ci si scambiavano pettegolezzi con i servitori della dimora affianco.

L'ingresso sul retro riservato al personale di servizio.
Era molto più dimesso e disordinato rispetto a quello principale.
Anche la porta sul retro era dotata di scalini, ma questi spesso scendevano perchè la cucina era l'unica stanza che in alcuni casi era costruita a livello del terreno e non sopra il basamento, per una questione di sicurezza, così quando si accedeva si doveva scendere in una specie di seminterrato.
Se la casa era tutta allo stesso livello, invece c'erano tre o quattro gradini a salire come per l'ingresso principale, ma meno signorili, spesso contornati da cassette di frutta vuote o ciocchi di legna per il camino e la stufa della cucina, in modo che fossero a portata di mano senza andare nella legnaia tutte le volte.



Spero che il post sia stato interessante, ci vediamo presto con un nuovo approfondimento sulle stanze e la loro disposizione.

Baci




Mauser

20 febbraio 2011

Bedford College

Cari lettori, come vedete sto cercando di recuperare un po' il tempo in cui sono stata senza pubblicare e visto che sto scrivendo molto, per variare un po' le letture sia a me che a voi ho scritto di diversi argomenti lasciati in sospeso, cercando di analizzare diversi aspetti tra i più differenti.
Riprendo quindi molto volentieri la sezione Istruzione ed Educazione, cosa di cui, in quest'epoca abbiamo davvero molto bisogno.
E argomento odierno è il Bedford College, il primo istituto inglese per l'istruzione superiore alle donne.


Storia
A differenza di quanto si può credere dal nome, il Bedford College non si trova a Bedford, bensì a Londra.
Araldo del Bedford College fuori
dal primo alloggio in Bedford Square
Rispetto ad altre scuole inglesi, autentiche autorità in materia di istruzione, il Bedford College è di fondazione recente, l'anno della sua apertura è infatti il 1849 ad opera di Elizabeth Jesser Reid (nata Sturch), nota riformatrice sociale, anti-schiavista, filantropa e pioniera del movimento per l'educazione delle donne.
Il Bedford College è un'istituzione che da sempre si occupa dell'istruzione superiore delle allieve (e successivamente anche degli allievi), non sono quindi contemplati corsi inferiori di scuola primaria o media come accade per altri istituti, che find alla loro nascita hanno previsto tre gradi di istruzione per i loro iscritti, peccato che queste scuole, tra cui Eton oppure Westminster, abbiano radici che risalgono ai periodi del Medioevo inglese. Giusto quel migliaio d'anni di differenza...

Mrs Reid, nota filantropa, alla morte del marito, John Reid, ereditò una considerevole fortuna con la quale decise di aprire un istituto di istruzione superiore per le donne. Ricordiamoci che i tempi erano veramente bui per la scuola (cfr. La scuola pubblica), le ragazze raramente studiavano dopo aver preso la licenza elementare, ma molte di loro non la possedevano, avendo frequentato solo pochi anni. La riforma che renderà obbligatoria l'istruzione di base per TUTTI arriverà solo dopo una ventina di anni, precisamente nel 1870.

Grazie all'impegno di questa donna il collegio si insiediò nella sua prima sede, situata nel quartiere di Bloomsbury, a Londra, al numero 47 di Bedford Square.
Il primo nome dell'istituto fu Ladies College in Bedford Sqare, appunto; ecco quindi spiegato l'arcano mistero del nome del collegio, si tratta dell'ennesima scelta dell'ufficio toponomastica del bureau di Londra che aveva assegnato a quella piazzetta il nome di una delle importanti città inglesi, così come in Italia possono esserci Via Ventimiglia, Corso Milano, Piazza Venezia.

La prima organizzazione della scuola fu abbastanza sommaria, un po' come questo Festival di Sanremo a cui stiamo assistendo, Mrs Reid, infatti, coinvolse nel progetto un gran numero di amicizie e conoscenze persuadendole ad entrare nel comitato direttivo, ad insegnare alle allieve o ad occuparsi delle varie problematiche della scuola.
Per quanto non brilli come management, il risultato fu apprezzabile e fin da subito si video ottime prospettive pr quell'istituto, anche se alcuni tradizionalisti arroccati nelle loro idee continuarono a sostenere che l'istruzione della donna fosse un abominio. Opinione opinabile.

Aula della biblioteca
Nel 1853, scandalizzata dal livello di preparazione con cui le ragazze entravano da alunne al Bedford College, Mrs Reid decise di aprire una struttura gemella poco distante che offrisse alle allieve dei corsi inferiori la preparazione primaria (da scuola elementare e media) e alzasse di un poco non solo il livello della sua scuola, ma anche quello della cultura generale.
Le ragazze che continuavano a studiare, infatti, potevano vantare conoscenze paritarie con quelle acquisite nelle storiche strutture maschili, sebbene non soggette ad una così ferrea disciplina, e una volta iscritte alle scuole superiori potevano ulteriormente migliorare la preparazione partendo da un livello degno.
Coloro invece che lasciavano definitivamente gli studi potevano comunque vantare quel minimo di nozionismo e preparazione che garantisse una vita degna senza lacune evidenti. Ricordiamoci che la preparazione superiore offerta da strutture come il Bedford College era una rarità tra le donne e solo pochissime proseguivano gli studi: aristocratiche e popolane no di certo, le prime impegnate nel mercato dei matrimoni e delle relazioni già dall'infanzia, le seconde, invece, troppo impegnate a raccattare quel che bastava per vivere nella difficile esistenza di Londra della metà del XIX secolo.
La vera speranza di scuole come quelle di Mrs Reid erano le borghesi, le cui famiglie volevano il meglio per le loro figlie, condizione garantita dal denaro che i commercianti possedevano, ma non volevano neppure mogli stupide e insignificanti, i borghesi mantennero sempre, infatti, un certo attaccamento che la donna doveva mostrare alle faccende domestiche. Un borghese fatto dal nulla col sudore della fronte, come quelli di cui era affollata la capitale, apprezzava infatti i valori domestici tipici del popolo e li trasmetteva ai suoi discendenti, richiedendo quelle stesse capacità alla moglie e alle figlie.

Mrs Reid morì nel 1866, lasciando la conduzione della scuola nelle mani di un comitato esecutivo che si occupasse di far prosperare la struttura e di portare l'educazione delle giovani a livelli più alti. Tra molte difficoltà e diversi fallimenti clamorosi tra cui una temporanea chiusura nel 1868, il Bedford College sopravvisse al cambio di secolo e di sede, aumentando notevolmente il numero di iscritti e il livello di preparazione fornito, ma anche quello richiesto: fu infatti nei tardi anni settanta dell'Ottocento che venne introdotto un esame di ammissione per l'ingresso all'istituto.


Il grande trasloco
La prima sede del college in Bedford Square
La sede dell'istituto, come accennato, cambiò nel 1874 quando gli spazi adibiti a dormitorio ed aule divennero decisamente insufficienti per l'utenza della scuola, aumentata esponenzialmente. Questa crescita della popolazione delle allieve era principalmente dovuta alla borghesizzazione della società tardo-vittoriana, che abbracciava i principi di ricchezza commista a valori popolari di cui abbiamo detto prima.
Da Bedford Square l'istituto si spostò ai numeri 8 e 9 di Baker Street.

Baker Street dovrebbe sicuramente richiamarvi qualcosa alla memoria, essendo stata, ed essendo ancora, luogo di molte attrattive per l'appassionato di Ottocento: lì risiedeva infatti il cervellotico genio investigativo Sherlock Holmes col suo "cane fedele", il dottor Watson, entrambi usciti dalla penna di sir Arthur Conan Doyle; sempre in Baker Street ha sede il famosissimo Museo delle cere di Madame Tussaud.
Molto più prosastico, ma comunque tangibile, è la sede che Mark&Spencer ha avuto in questa strada.

Trascurando la mondanità, il collegio di Mrs Reid continuò ad espandersi ed ampliarsi annettendo spazi e laboratori per sopperire alle sempre più numerose richieste dei Ministeri sulla preparazione scolastica e sui metodi di insegnamento.


L'annessione all'Università di Londra
La conquista più grande del Bedford College fu la sua annessione all'Università di Londra. Questa conquista avvenne nel 1878 quando l'università in questione aprì l'ingresso alle lauree anche alle donne.

Una delle aule: inizialmente
assomigliavano
molto a stanze studio piuttosto
che a classi
scolastiche
Una nota, cattiva ma dolorosa, è da fare: questa data appena citata è la miglior smentita per tutti quei libri e quei film poco realistici dove le donne studiano, si laureano e parlano come gli uomini a pari diritti.
La conquista del diritto all'istruzione, per una donna, è recentissima, ha meno anni dell'Unità d'Italia e, parafrasando Benigni, se l'Italia unita è una bambina [praticamente una minorenne], nei suoi soli 150 anni, figuriamoci cos'è l'ammissione femminile ai corsi di studio: una neonata!

Ma non perdiamoci in altri discorsi e proseguiamo con la storia.
Nel 1900 l'Università di Londra trasformò la propria autorità diventando un'università anche di insegnamento, e non solo un corpo di analisi e di premiazione come era stato fino ad allora: il Bedford College, già parte del corpo universitario da un ventennio circa, fu uno dei College Costituenti della struttura e ancora oggi mantiene questo onorevole status.

Con questo nuovo riconoscimento, il college assunse anche un nuovo nome nel 1909, acquisendo la dicitura di Bedford College for Woman.
Il collegio era ancora esclusivamente femminile, ma essendo in un periodo dove l'istruzione persistefa in forme rigidamente separate a seconda del sesso dei propri allievi, la cosa non ci deve scandalizzare, così come il fatto che questa caratteristica sia addirittura ostentata nel nome dell'istituto.
Questa caratteristica muterà solo nel 1965, quando la scuola divenne ufficialmente mista, perdendo quindi quel "for woman" nel nome e assumendo la dicitura tutt'ora conosciuta di Bedford College.

La storia di questa scuola manca, però, ancora di un tassello, che si acquisirà nel 1985, quando verrà ufficialmente unita con un altro istituto di istruzione femminile (all'atto di creazione), conosciuto come Royal Holloway College. Sebbene inizialmente le due scuole fossero assolutamente paritarie e il nome per esteso dell'istituto fosse Royal Holloway and Bedford New College (RHBNC), col passare del tempo l'ente organizzativo dell'università decise di semplificare la nomenclatura (ma solo quella!) trasformandolo in Royal Holloway, University of London.

Laboratorio della fine dell'Ottocento
Benchè la modifica interessasse solo ed esclusivamente la parte nominale, il Bedford College sentì lesa la sua autorità e, di fatto, cancellata la sua presenza, sottomessa a quella dell'altra scuola. Così, a tutti gli effetti fu: nessuno ricorda ormai questa scuola che fu pioniera nell'istruzione femminile e nell'insegnamento, dimenticata nel processo di semplificazione che tanto piace ai moderni gestionali amministrativi.


Organizzazione e insegnamento
La struttura amministrativa e organizzativa del Bedford College rispecchiava appieno quella che era la politica in fatto di scuole private.
L'ingresso delle allieve era a fronte di una retta semestrale pagata dalle famiglie, ma il sostentamento dell'intera struttura si basava anche moltissimo sulle donazioni di famose patronesse dell'istituto e filantrope dell'epoca [che brutta parola è "filantrope" -.-]. Solitamente la stessa struttura era nata dal lascito o dall'interessamento di una figura specifica che aveva poi richiamato le altre, distribuendo i compiti tra i vari comitati organizzativi ed esecutivi.
Nel caso del Bedford College le cose non furono diverse, la figura della filantropa venne giocata da Mrs Reid, di cui abbiamo parlato poc'anzi, che con la sua popolarità e spiccata condizione sociale interessò altre donne altrettanto ricche e disponibili alle "opere di bene e di carità" oppure suffragette nell'animo, al progetto.
Secondo lo statuto redatto all'apertura, il collegio era così costituito:
  • Ladies Committee, comprendeva donne influente e dalla posizione sociale particolarmente spiccata che si occupavano della parte propriamente "di relazione", cioè curavano quello che oggigiorno definiremmo marketing e PR, interessando altre loro pari alla scuola e ai suoi progetti e sponsorizzandone l'insegnamento in modo che figlie, nipoti e quant'altro frequentassero i corsi presso di loro piuttosto che altrove. Era il Comitato più importante della scuola, sebbene quello che, materialmente, faceva di meno, ma la scala sociale è fondamentale nella storia vittoriana e i soldi che queste potevano investire decisamente più di tutti gli altri.Oltre alla rappresentanza, il Ladies Committee si occupava della gestione organizzativa e amministrativa e del coordinamento delle attività del personale.
  • General Committee, costituito da tutto il personale della scuola, quindi insegnanti, amministrativi, segreteria ecc. Il Comitato si chiamava Generale proprio perchè comprendeva le persone dai ruoli più disparati all'interno della struttura scolastica. Ufficialmente il Comitato Generale era subordinato solo in parte alle decisioni del Ladies Committee, tuttavia quest'ultimo era così potente da non poter essere assolutamente scontentato e, di fatto, si trattava solo di impiegati di poco conto.
  • Lady Visitors era un gruppo di donne (in origine), autentica emanazione del Ladies Committee che si curava della salute, dello stato sociale e della supervisione dell'educazione delle allieve, delle attività extrascolastiche e della disciplina all'interno della scuola.
    Queste donne fungevano anche da accompagnatrici per tutti gli eventi singoli o a gruppi che coinvolgevano le allieve, quindi eventuali feste, la consueta messa quotidiana ecc., erano garanti di ciò che veniva promesso dalla scuola in termini di educazione e preparazione, una responsabilità non da poco.

Il ginnasio della scuola alla fine
dell'800
una rarità in una scuola
femminile
dell'epoca
La struttura iniziale della scuola, che si trovava ancora a Bedford Square, prevedeva che al piano terreno dell'edificio fossero ubicate le aule di insegnamento, mentre al primo piano si trovava il dormitorio, sia quello delle allieve che delle insegnanti (quelle che risiedevano nell'edificio). La struttura venne riveduta diverse volte quando la scuola si trasferì un Baker Street, specialmente per via dell'annessione di nuovi edifici atti a laboratori, palestra, teatro, ecc.
Inalerata rimase invece la struttura esterna in Regent's Park, dove sono ancora visibili e utilizzabili oggi, come imbarcaderi, campetti ecc, che fanno parte di una istituzione più ampia chiamata Regent's College che comprende i rimasugli di diverse scuole inglesi.


Materie e insegnamento
Il Bedford College forniva alle sue allieve una preparazione di tutto rispetto e molto all'avanguardia per l'epoca. Si insegnavano le stesse materie dell scuole maschili, con grande scandalo dei bempensanti che si dicevano oltraggiati dagli studi in medicina e chimica di alcune donne e le osteggiarono in ogni modo.
Oltre alla preparazione propriamente accademica, il Bedford College aveva anche un corso di economia domestica che trasformava le proprie allieve in ottime padrone di casa in grado di gestire una dimora con o senza servitù, garantendo che le sue allieve sapessero cucinare, rammendare, cucire, cantare, suonare e danzare.

La squadra di hokey del Bedford,
classe
1886 - 1887
Era una rarità che le donne facessero sport
Lezioni di livello particolarmente alto furono quelle di matematica, algebra e geometria tenute negli anni novanta dell'Ottocento al Bedford College, quando le sue allieve raggiunsero davvero l'eccellenza in queste materie, surclassando Eton, Westminster ecc.

A differenza di altri istituti, lo sport assunse sempre un ruolo primario nella struttura del Bedford e la mantenne a lungo: canoa, atletica e diverse altre attività motorie furono non solo incoraggiate, ma il principale divertimento delle ragazze della scuola.


Personaggi famosi
Non solo da Eton uscirono grandi nomi della storia inglese, il Bedford College diede i natali culturali a diverse personalità di spicco

  • George Eliot fu sicuramente l'allieva più famosa, sebbene non fosse iscritta ai registri con questo nome, ma con il suo vero di Marian Evans.

  • Sophie Bryant fu un'importante matematica britannica, membro della Mathematical Society e degna rappresentante delle materie scientifiche come Eliot lo fu di quelle
    umanistiche.

  • Altra matematica molto nota proveniente da questa scuola fu Kathleen Lonsdale, divenuta poi la prima professoressa donna dell'Università di Londra.

  • Kathleen Lonsdale
  • Il Bedford vanta anche un'esploratrice tra i suoi nomi, fu infatti educata presso questo istituto Edith Durham, nota viaggiatrice.

  • Oltre ad Eliot, altra importante romanziera fu Eba Ibbotson nata Maria Weisner.

  • Non fu solo l'arte della scrittura a far parte del Bedford, ma anche la pittura consta diversi rappresentanti, molto famosa fu Kate Perugini, ultima figlia di Charles Dickens e moglie di Charles Collins, fratello di Wilkie Collins prima, e del pittore Charles Perugini.
    Per altre info su di lei rimando al post di Cipria e Merletti.

Spero che il post sia stato interessante,
a presto, baci





Mauser

17 febbraio 2011

Returning from covent Garden Market: il dipinto

Carissimi,
questo quadro che vi presento oggi vorrei ricollegarlo ad un post di un sacco di tempo fa che avevo intitolato La venditrice di fiori.


Scheda tecnica:
Titolo dell'opera: Down Piccadilly: Returning from Covent Garden Market one June morning 1882
Traduzione: Lungo Piccadilly: ritorno dal mercato di Covent Garden, mattinata di giugno 1882
Autore: Maria Brooks
Anno: sconosciuto
Tipo di pittura: olio su tela


Il quadro è bellissimo, a mio avviso, solare e pieno di luce e vita e ci dà qualche bel dettaglio di vita quotidiana: innanzi tutto i fiori.
I fiori erano molto presenti nella vita ottocentesca, non solo nelle classi alte dove si regalavano mazzi alle amate con una certa frequenza e più il fiore era raro e fuori stagione più faceva colpo, le donne solevano comprare mazzolini con cui adornare gli scialli o i capelli
La donzelletta vien dalla campagna/
in sul calar del sole,/
col suo fascio dell'erba; e reca in mano/
un mazzolin di rose e viole,/
onde, siccome suole, ornare ella si appresta/
dimani, al dí di festa, il petto e il crine.

Giacomo Leopardi, Il sabato del villaggio dai Canti XXV
Poesia completa


...e questa è solo una citazione così, delle prime che mi vengono in mente...

Non solo le donne acquistavano mazzolini dalle venditrici ambulanti di cui abbiamo parlato in un post (quello citato all'inizio), ma, ove possibile, coltivavano un loro piccolo giardino composto di rose e piante ornamentali con qualche erba officinale o sapori per la cucina.
I fiori del giardino venivano poi raccolti e posti in bellissimi vasi che adornassero la casa e con questo tocco di colore e di vita anche la più squallida delle dimore riceveva subito un'altra luce e un altro fascino, sembrando gradevole ed accogliente.
Questa passione per il giardinaggio è ancora molto sentita nella cultura anglosassone, basti pensare ai cottage delle Midlands inglsi, oppure ai bellissimi dipinti di Thomas Kinkade (rimando al post di Cipria e Merletti al riguardo) e si esprime nel Chelsea Flower Show, una delle più importanti manifestazioni di floricoltura a livello mondiale.

Non solo i colori del dipinto sono dati dai molti fiori presenti, ma anche dall'arcobaleno di abiti che le signore indossano. Abiti, sottolineo, tipicamente popolari, si riconoscono fantasie floreali particolarmente spiccate che nessuna gentildonna o borghese si sarebbe mai permessa perchè troppo vistose (avrebbero preferito tinte unite o pastello), si vedono gli scialli di lana e feltro, indumenti naturalmente poveri, e cappellini privi di classe, ma graziosamente appuntati di fiori per rallegrare la semplicità della fattura, chiaramente economica.
Poi si riconoscono i grembiuli, non certo l'indumento che porterebbe in vista una signora di una certa levatura, ma invece lo fa una popolana che ostenta la sua devozione alla casa, alla famiglia e al lavoro e alle faccende.


I colori chiassosi sono una caratteristica del popolo, basta spulciare qualche antologia del costume o degli abiti tradizionali e folkloristici delle nostre regioni per accorgerci subito che il massimo del desiderio, per una fanciulla, era poter portare gonne a righe di molti colori, adornate con monete, sonagli o pendenti in metallo, legno, stoffa e passamaneria, coprendo il tutto con scialli a fiori o con altre righe, certo di colori diversi, e indossanto in testa un fazzoletto o un velo, anch'esso fantasia.
E l'effetto d'insieme non è certo orribile, a me piacciono tanto, per esempio, le stoffe provenzali o gli abiti gitani, sono splendidi. E questa caratteristica la si ritrova in tutto il mondo, per fare qualche esempio si possono accostare i costumi tradizionali messicani, indiani del Rajahstan, cinesi, cechi, tutto senza dimenticare le settecento varietà di tartan scozzese, naturalmente, che può facilmente rientrare nella categoria.

Infine le ceste per la spesa.
Recentemente hanno promosso una campagna per l'abolizione dei sacchetti di plastica [ottima iniziativa], ma prima di loro i sacchetti erano di carta (nel dopoguerra) ed erano rari e le sporte della spesa erano in stoffa, come quelle della Coop che ancora si vedono in giro.
E prima ancora eravamo ai tempi di Cappuccetto Rosso (il quadro è di Millais) con il suo canestro al braccio.
Era così che si andava a comprare nell'Ottocento, le donne uscivano per acquistare, spesso a credito perchè la paga era di sabato, gli alimenti col paniere sotto braccio e lo riempivano, se possibile; per questo il detto rompere le uova nel paniere è usato quando qualcuno fa un dispetto, perchè non solo ha fatto la sua bravata, ma l'ha anche fatta bene senza farsi scoprire, dato che il paniere sta sotto braccio, quindi con particolare destrezza.

Poi c'è l'omnibus: si tratta di uno dei pochi mezzi pubblici disponibili all'epoca insieme alla diligenza di John Wayne e si spera che fosse un po' più puntual dei mezzi moderni e un po' più sicuro dagli attacchi degli indiani Apache.
L'omnibus è il teatro dove si svolge la scena, ricorda un po' gli autobus moderni, magari di quelli che si inerpicano verso i quartieri più campagnoli delle città, che fanno tornanti su tornanti carichi di signore che scendono "a valle" a far compere il giorno del mercato, quelle come la mia nonna che all'ometto del banco delle pentole, di età assortita tra i cinquanta e i sessanta, si rivolge ancora con il tipico giovanotto che mi fa accapponare la pelle e a lui quanto me. Ecco, così, quelle donne che sembrano uscite da un libro di storia e che i paesaggi di Pane, Amore e Fantasia li hanno visti sul serio.

E poi la pubblicità, appena agli inizi della sua carriera mediatica, che già compariva sulle pareti a sponsorizzare qualsiasi prodotto.


La parte molto ben raffigurata, poi, è quella degli atteggiamenti, alcune delle signore stanno parlando e confabulando tra loro, magari scambiandosi pettegolezzi, dopotutto sono delle paesane, campagnole rispetto alla citta, altre attendono più tranquille di arrivare a casa, ma sembra davvero di essere in mezzo a loro, nel trambustodel mezzo pubblico, tra gli schiamazzi delle donne che parlano quel dialetto strascicato tipico di coloro che non hanno seguito corsi di pronuncia e dizione fin dalla culla, i termini un po' più coloriti, i gesti non proprio raffinati, eppure così quotidiani.

Adoro questo quadro per la vita, la vivacità e l'incontro di anime che è riuscito a rappresentare e credo che non sia una cosa da nulla.





Mauser

15 febbraio 2011

Il giorno del bucato: il dipinto

Un annetto fa avevo scritto diversi post riguardanti il bucato casalingo, come era fatto nelle tinozze o nei trogoli di paese, quali fossero i saponi o gli smacchianti più efficaci e, grossomodo, avevo descritto l'intero procedimento.

Il giorno del bucato

La cenere e la lisciva

Ricette per i saponi di una volta

In questi giorni, girovagando per la rete alla ricerca di materiale per alcuni approfondimenti, mi sono imbattuta in un quadro che fa davvero al caso nostro per mostrarvi il riassunto di tutto quanto era stato detto all'epoca e sono davvero contenta di averlo trovato.


Scheda tecnica
Titolo dell'opera: Washing day
Traduzione: Il giorno del bucato
Autore: Pierre Edouard Frere
Anno: sconosciuto
Tipo di pittura: olio su tela

Come si vede chiaramente dalla tela, il quadro si colloca nella corrente dei realisti e ritrae con accuratezza la scena tutta domestica di una famiglia che fa il bucato.
La casa è modesta, ma non povera: tutti sono decentemente vestiti, i mobili non sono marci e si vedono addirittura dei soprammobili sopra il caminetto, così come una cesta piena di panni da lavari.

Le donne di casa si occupavano del bucato e così la madre e le due figlie sono tutte e tre chine su una tinozza ciascuna, con i panni commisurati a forza ed esperienza (la figlia maggiore distente quello che può assomigliare ad un fazzoletto).

La maggior parte dei dipinti che scelgo è caratterizzata da una particolare cura per i dettagli che permette di inserirsi in quelle scene tutte quotidiane ritratte dagli artisti. Anche in questo caso l'autore è un maniaco ossessivo compulsivo della perfezione tecnica e si fossilizza a ritrarre i panni già lavati e stesi nella stanza, sgocciolanti sul pavimento.

Ma anche la cesta colma dietro le donne, le tre tinozze di cui quella della madre in metallo, cosa non certo a buon mercato, e si premura anche di ricreare a pennellate il vigore che bisogna usare per riuscire a smacchiare la biancheria, non bastava certo insaponarla e sciacquarla in acqua: le macchie di terra, erba o cibo, come ci ricordano le pubblicità Omino Bianco, non vanno mai via del tutto e sicuramente i detersivi di una volta, per quanto puliti e non inquinanti, non erano anche altrettanto efficaci dei nostri super prestigiosi composti chimici più corrosivi dell'acido muriatico.
Non penso che in una famiglia del genere sarebbero stati tanto schizzinosi da impensierirsi per l'alone di salsa di pomodoro sul davanti della camicia, ma di certo forse si sarebbero preoccupati se la camicia in questione sembrasse aver appena fatto un giro nella porcilaia...

Un altro dettaglio molto popolare che Frere ci riporta è il fazzoletto che la madre delle due ragazze porta annodato intorno alla testa.
Il fazzoletto in testa era un'abitudine delle contadine, delle lavandaie e serviva per coprirsi i capelli, tenendo al contempo in ordine la pettinatura.
Una volta era normale andare in giro col capo coperto così come al giorno d'oggi in Medio Oriente le donne islamiche indossano l'hijab, il copricapo che avvolge il viso. Ancora oggi, se si visitano alcuni villaggi di campagna o dell'entroterra, le signore anziane sedute a prendere il fresco sotto gli alberi della piazza della chiera hanno in testa il classico fazzolettone a fiori legato sotto il mento o dietro la nuca e anche i costumi tipici di morte regioni come Sicilia, Sardegna, Marche e Puglia lo prevedono, lo si riconosce anche nell "divisa" delle mondine, le ragazze delle risaie della Pianura Padana o della zona di Varese che, chine sui canali e sulle piantine, hanno in testa il fazzoletto a bandana.

Spero che il quadro vi piaccia,
baci a tutti!




Mauser




10 febbraio 2011

Il segreto di Lady Audley: recensione

Ciao carissimi,
come state?
Abbandono solo temporaneamente i miei approfondimenti per scrivere qualche recensione di libri ottocenteschi o di qualche ambientazione vittoriana/georgiana, giusto per non sbilanciare troppo il tipo di scrittura: ci tengo che questo sia un blog vario che tratta i periodi a cui siamo interessati con occhio critico e obiettivo attraverso tutti i punti di vista, quindi non solo quello enciclopedico della maestrina che scrive tante belle parole, ma anche attraverso il tratteggio che i romanzi contemporanei fanno dell'Ottocento e del Settecento e, cosa che mi piace moltissimo, confrontare tutto ciò con la raffigurazione che romanzi per l'epoca "contemporanei" facevano del loro periodo di svolgimento. Un po' come se scrivessimo un contemporaneo oggi, chessò, Follett prima versione...

Una caratteristica a cui sono affezionata e di cui mi piace vantarmi è parlare di libri che sono poco conosciuti al grande pubblico; tutti sappiamo chi fu Jane Austen e grossomodo tutti conosciamo le sorelle Bronte, in molti avranno letto Dickens [Ave, Maestro! A differenza di molte di voi la passione per questo periodo storico per me è nata con lui e non con la zia Jane...], ma, ho anche coscienza che non così fortunati sono stati altri autori: in pochi ricordano Thackeray oppure Eliot [rabbrividisco ancora al chiedermi quanti sappiano che George, non Clooney, fu una signora].
Eppure, in tutto questo mucchio di scrittori senza tregua e con le dita perennemente sporche d'inchiostro, di quello della peggior specie che per mandarlo via occoreva lavarsi a fondo le dita con il limone acido e il bicarbonato, so che in tanti si dimenticano di grandissimi artisti che invece potrebbero tenerci compagnia.
Mi prendo il merito di aver portato un po' più vicina alla scoperta la mia amata Elizabeth Gaskell, specialmente dopo aver trovato i suoi libri nelle wish list di alcuni di voi oppure negli scaffali delle librerie online, ho parlato in passato anche dell'odiato Thomas Hardy e oggi vi narrerò di un romanzo e di un'autrice che in pochi conoscono: Mary Elizabeth Braddon.
Alzi la mano chi l'ha sentita nominare.

...ma dopotutto meglio così, che non la conosca quasi nessuno intendo, siamo qui per questo; se tutti sapessero tutto sapete che noia! Vivere in un mondo senza il gusto della scoperta sarebbe davvero estenuante, una barba infinita, tutto che ti annoia e mentre qualcuno parla attacchi la solfa mentale del "sì, sì lo so già, sì qui le cose sono andate così e colà, no il dettaglio era diverso, il pizzo era blu e non color antracite, sì però si poteva dire meglio.." un po' come quando amici e colleghi ripetono all'infinito sempre le solite tre esperienze che dopo un anno conoscete a menadito. E in più tocca tacere per non offendere l'interlocutore.
Ok, passiamo oltre.


Il romanzo incriminato questa volta è Il segreto di Lady Audley e come si evince già dal titolo, i misteri la faranno da padroni per tutta la narrazione.
Frutto della collaborazione molto stretta tra l'autrice e Wilkie Collins, altro scrittore britannico estremamente prolifico e avvincente, Il segreto di Lady Audley è un vero e proprio mystery di ambientazione vittoriana, ma, a differenza di quelli che ci vengono propinati oggi sul mercato, è autentico, autenticamente scritto nell'Ottocento con obiettività e occhio "contemporaneo" e, si sa, se in un periodo ci si vive si hanno molte più possibilità di tratteggiarlo con accuratezza storica, soffermandosi anche sui dettagli meno noti che in una narrazione moderna tenderebbero ad essere dimenticati in favore dei clichè che tutti si aspettano da determinati prodotti.


Il segreto di Lady Audley si inserisce perfettamente nel filone letterario vittoriano dedicato alla risoluzione di misteri e fatti, antenato dei più famosi detective british del primo Novecento, e caratterizzato da un particolare tipo di narrazione con intreccio serrato e avvincente, spesso ricco di misteri irrisolti, segreti nascosti, parentele e indagini da parte di personaggi non precisamente impiegati nel campo dell'investigatore.

La struttura narrativa della Braddon si adatta perfettamente alle pubblicazioni periodiche del tempo su riviste e giornali, in ciascun episodio si faceva accadere qualcosa di inaspettato: scoperte, nuove persone, discussioni, ciò creava una suspance continua nel lettore e ciò spiega anche il numero esorbitante di avvenimenti di cui questo libro, così come altri della stessa autrice, è infarcito.

La Braddon, scrittrice estremamente prolifica, pubblicò per questo particolare sottogenere della narrativa buona parte dei suoi settanta romanzi [mica pizza e fici, eh!], quasi tutti editi a puntate sulla rivista Belgravia, di cui fu anche direttrice, che poi finì per dare il nome all'intero sottogenere letterario costituito dai seguenti canoni o punti fissi, cioè quelle caratteristiche imprescindibili che si ritrovano in ciascun libro così etichettato:
+ ambientazione vittoriana
+ mistero
+ indagine
+ segreti di famiglia
+ ambiguità
+ passato tormentato
----------------------------
= Belgravia

Nello stesso tipo di scritti si possono racchiudere anche alcune produzioni del già citato Wilkie Collins, una su tutte La pietra di luna, ma di lui e dei suoi romanzi avremo modo di parlare più approfonditamente in futuro, non abbiate fretta di conoscerlo, anche lui è uno di quei poveretti che troppo spesso viene dimenticato ^__^

Una nota doverosa: lo stile Belgravia della Braddon e di altri autori rappresentò per l'epoca vittoriana quello che il romanzo gotico fu per il primo Ottocento.
Esso infatti incarnava quello che la gente voleva trovare nei libri non troppo impegnati (lasciamo tempoaneamente Schopenhauer fuori dalla conversazione), che già fu nel romanzo gotico e che, via via, rimaneva inalterato tra cambi di moda e ambientazioni: se era l'occulto ad affascinare il primo Ottocento, non altrettanto si poteva affermare della metà, quando l'ingessata religiosità vittoriana non permetteva certo allusioni troppo liberali a peccati impuniti, anime vendute, monaci dall'anima nera.
Nella seconda metà dell'Ottocento ciò che la fa da padrone è il moralismo e il sogno di ricchezza che si nota anche in motlissimi scritti di Dickens; i lettori vogliono vedere persone comuni arrabattarsi per cercare la propria strada per scalare la società, sia nel bene che nelmale (Moll Flanders arriva ad un indicibile successo), Hardy, Eliot e Thackeray propongono i loro componimenti. Ecco, questa è l'ambientazione anche del nostro Segreto di Lady Audley, sebbene a far da sfondo non sia la caotica, puzzolente e discinta grande città, ma la campagnola villetta degli Audley, più consona al metodo d'indagine vittoriano.
Eppure rimane invariato quanto già faceva la fortuna del romanzo gotico, quello che Marty ha brillantemente riassunto nella Teoria delle tre S: ovvero Suspence, Sangue, Sesso.
Troverete tutti e tre, sebbene non nelle misure descritte in libri come Il monaco oppure Vathek.


Trama
Uscito a puntate tra il 1861 e il 1862 sulle pagine delle riviste letterarie del tempo, riscuotendo uno straordinario successo di pubblico, il racconto è caratterizzato dal meccanismo dell'indagine a ritroso. L'eroina del romanzo, abbandonata dal marito, riesce a rifarsi una vita inventandosi una nuova identità. La ritroviamo Lucy Audley, moglie di un rispettabile gentiluomo. Ma la sua nuova sicurezza rischia di andare in pezzi quando il giovane e sfaccendato rampollo di casa, Robert Audley, incontra un vecchio compagno di scuola che non vede da anni e che si rivela essere proprio George Talboys, il precedente marito della protagonista. D'un tratto George scompare misteriosamente. Sarà l'amico Robert a intraprendere le indagini...
Scheda aNobii - Il segreto di Lady Audley


Analisi e temi
Poichè la sezione di Santa Wikipedia al riguardo è molto precisa e interessante, ho deciso di ricopiaverla direttamente, non penso sarei riuscita ad esprimere meglio concetti e sottigliezze.

Il segreto di Lady Audley gioca sulle inquietudini vittoriane riguardanti la sfera domestica dove la casa è considerata essere un rifugio dai pericoli esterni. Tuttavia, in questo racconto, la donna apparentemente perfetta si rivela essere una violenta criminale che non solo ha cercato di commettere omicidio, ma ha anche commesso bigamia e abbandonato il suo bambino. I crimini di Lady Audley perturbano la sfera domestica e rimuovono la sicurezza della casa.

Inoltre, le crescenti preoccupazioni causate dall'urbanizzazione della Gran Bretagna sono evidenti: Lady Audley è in grado di cambiare la sua identità in una città, dove ognuno è effettivamente anonimo. La piccola cittadina di Audley non è più un rifugio dove ognuno conosce i suoi vicini. Gli abitanti di Audley devono accettare ciò che Lucy Graham racconta di se stessa, in quanto essi non hanno altro modo di identificarla. Altre inquietudini sulla sua identità instabile compaiono in tutto il romanzo.


Personaggi, ambientazione e stile
Se decidete di leggere la Braddon, scordate Arthur Conan Doyle e anche Agatha Christie, il genere investigativo che piaceva ai victorians era diverso dagli schemi poi approfonditi in seguito, giusto Sherlock Holmes, Ellery Queen o Poirot, i personaggi portati in scena dall'autrice sono spesso caratteri comuni che conducono un'esistenza ordinaria secondo i canoni sociali dell'epoca.
Questo può piacere come no, specialmente perchè a costoro manca la didattica dell'investigatore, cioè basano le loro indagini più sul sestro senso e sull'intuizione che sul reperimento meticoloso di prove e testimonianze, il loro puzzle, tutto combinato, assume la forma finale solo dopo due terzi del libro, non essendo costoro capaci di creare i collegamenti logici necessari a ricomporre la figura intera.
La loro incapacità, in senso buono, o forse sarebbe meglio definirla poca professionalità, allunga la narrazione, crea spesso dei falsi positivi, cioè delle piste da seguire che infine si rivelano errate e portano solo ad un minomo progresso e, in certi casi, esasperano il lettore.

Ma c'è un altro dettaglio non trascurabile: l'importanza che l'indagine ricopre per l'investigatore. Dico non trascurabile perchè a volte un detective troppo superficiale o troppo poco coinvolto suscita una certa irritazione nel lettore, che invece vorrebbe che il suddetto si impegnasse più a fondo e facesse progredire la trama e anche l'investigazione.
Qui accade proprio questo, l'indagine che il protagonista porta avanti è vissuta più come un passatempo, un'alternatima alla monotona routine campagnola che come un impegno morale, sebbene certo questi abbia sofferto per la perdita subita e soffra anche per la possibilità che non sia stata accidentale.
Ma insomma, da autodidatta si può dire che il nostro detective è coinvolto e spronato fino ad un certo punto, più dalla curiosità personale che dalla morale.
Risucite a tollerarlo?

Nonostante questo difettuccio voluto e benchè i personaggi non siano il punto di forza né di questo romanzo né degli altri targato Braddon (un po' il suo marchio di fabbrica), sacrificati in favore di un intreccio veramente articolato, è comunque piacevole trovare nel conduttore dell'indagine quel briciolo di umanità che, invece, manca sia al supergenio cocainomane Sherlock Holmes, che nella realtà letteraria ha davvero poco in comune con quello interpretato da Robert Downey Jr [per quanto io preferisca quest'ultimo] sia al perfettissimo, pedante, ficcanaso e snob Hercule Poirot.
Non proprio i primi che passano per strada, mettiamola così.
Se proprio volessimo fare un paragone, accosterei molto candidamente il presente Segreto di Lady Audley con un libro della Christie a mio avviso un po' anomalo: Perchè non l'hanno chiesto a Evans?.

Se forse personaggi e stile sono un po' carenti e un po' figli del loro tempo, il libro non è privo di lati positivi: un intreccio tanto complesso, fantasioso e denso di avvenimenti come questo, misteri e mezze verità è una finestra sull'epoca vittoriana che ho spalancato volentieri, ritrovandomi proiettata nella piena quotidianità d'epoca che nei romanzi moderni sembra sempre un po' affettata e fasulla, purtroppo per via degli eccessivi clichè che gli autori adoperano sapendo di far piacere alla fascia media di lettori [la scena della preparazione di un ballo è immancabile, peccato che solo in un caso su dieci sia coerentemente ritratta dalla penna di turno: inutile parlare di corsetti in epoca Regency].


Se vi può interessare, sul "caso Lady Audley" è stato girato anche un film, come per la maggior parte della letteratura classica inglese.

Beh, spero che questo approfondimento sia stato un po' meno ironico di quelli fatti in passato per la Saga dei Dillhorne oppure per Penny House, ma che sia stato ugualmente interessante o curioso.

Adesso scappo, ciao a tutti e a presto!





Mauser


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